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  • Mercoledì 2 agosto 2023

Attorno al colpo di stato in Niger

Chi sta con il regime golpista e chi no in Africa occidentale, e perché si parla di una possibile guerra

(EPA/ISSIFOU DJIBO via ANSA)
(EPA/ISSIFOU DJIBO via ANSA)
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Il colpo di stato compiuto la settimana scorsa in Niger, in Africa occidentale, ha avuto conseguenze che potrebbero avere un impatto non solo nel paese ma in tutta la regione dell’Africa occidentale. Pochi giorni dopo, la Comunità economica degli stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS), organizzazione di 15 stati africani, ha minacciato di intervenire militarmente in Niger per reinsediare il presidente democraticamente eletto Mohamed Bazoum, deposto dai golpisti. In risposta, altri stati africani si sono detti pronti a intervenire in difesa della giunta militare responsabile del colpo di stato.

Al momento la situazione è ancora confusa e sono state fatte molte ipotesi sui suoi possibili sviluppi, inclusa quella di una guerra regionale, per ora ritenuta comunque poco probabile.

Il colpo di stato in Niger è stato compiuto giovedì 27 luglio da un’influente unità d’élite dell’esercito del Niger, la Guardia presidenziale, di cui il presidente deposto Bazoum aveva cercato negli anni di ridurre potere e influenza. I militari hanno motivato il golpe con la necessità di porre rimedio a una serie di problemi di sicurezza, economici e di corruzione nel paese: Bazoum è stato arrestato, sono stati chiusi i confini di terra (parzialmente riaperti solo martedì), e il generale Abdourahmane Tchiani, il capo della Guardia presidenziale del Niger noto anche come Omar Tchiani, si è autoproclamato nuovo leader del Niger.

Il golpe ha portato a manifestazioni da parte dei sostenitori dei militari e a proteste da parte di chi si opponeva. Ci sono state interruzioni di corrente in diverse città dovute al blocco dei rifornimenti energetici da parte della Nigeria, enorme stato africano con cui il Niger confina a sud.

Fin da subito diversi governi stranieri, tra cui molti occidentali che considerano Bazoum un leader affidabile e compatibile coi propri interessi nell’area, hanno iniziato a fare pressioni sulla giunta militare affinché restituisse il potere a Bazoum, definendo in vari modi il golpe un atto illegittimo e pericoloso per la stabilità del paese. Ma le pressioni più forti, e quelle col maggior livello di concretezza, sono arrivate da governi africani, in particolare dall’ECOWAS. Dopo il colpo di stato l’organizzazione ha imposto una no-fly zone e sanzioni economiche contro i membri della giunta militare, e domenica scorsa, tre giorni dopo il golpe, ha diffuso un comunicato in cui ha parlato di «tolleranza zero» nei confronti del colpo di stato e ha minacciato un intervento armato se non verrà ristabilito l’ordine democratico entro sette giorni.

La riunione di emergenza dell’ECOWAS, il 30 luglio 2023 in Nigeria (AP Photo/Chinedu Asadu)

Non è la prima volta che l’ECOWAS minaccia di intervenire militarmente per ristabilire l’ordine in uno stato africano in cui il sistema politico democratico viene minacciato.

In alcuni casi l’organizzazione è effettivamente intervenuta. Fu il caso del Gambia nel 2017, quando il presidente Yahya Jammeh, sconfitto alle elezioni, si rifiutò di cedere il potere al suo successore Adama Barrow, il candidato di opposizione che le aveva vinte. Dopo alcune minacce l’ECOWAS avviò l’operazione Restore Democracy, inviando migliaia di soldati provenienti da diversi stati africani nella capitale del paese, Banjul, e costringendo Jammeh ad andarsene e a cedere il potere a Barrow.

In altri casi le minacce non avevano avuto seguito. Fu per esempio il caso della Costa d’Avorio nel 2010, quando in una situazione simile a quella del Gambia l’ex presidente Laurent Gbagbo, che aveva perso le elezioni, si era rifiutato di cedere il potere al suo successore, Alassane Ouattara. L’ECOWAS minacciò di intervenire con 6.500 soldati, ma poi non lo fece.

Da poche settimane l’organizzazione è presieduta da Bola Tinubu, il presidente della Nigeria, uno dei paesi più grandi e importanti dall’Africa. Nel suo primo discorso da presidente dell’organizzazione, lo scorso 9 luglio, Tinubu ha espresso parole molto dure nei confronti dei colpi di stato. Ha citato quelli avvenuti in vari paesi dell’Africa occidentale negli ultimi tre anni (Mali, Guinea e Burkina Faso) e ha detto di non essere disposto a tollerarne altri. Ha poi aggiunto che l’ECOWAS non poteva continuare a essere un «bulldog senza denti» e che avrebbe agito con molta durezza se ce ne fosse stato bisogno. Più in generale, Tinubu ha presentato il contrasto ai colpi di stato come uno degli aspetti più importanti della sua politica estera: il colpo di stato in Niger è la prima occasione in cui potrebbe dimostrarlo.

Per Tinubu reagire con decisione e durezza al colpo di stato in Niger potrebbe essere utile anche per ragioni elettorali interne alla sua presidenza della Nigeria, al di là dell’ECOWAS. Tinubu è diventato presidente lo scorso marzo, in elezioni molto contestate organizzate al termine della presidenza fallimentare e piena di problemi del suo predecessore Muhammadu Buhari. Ha vinto di poco e la sua vittoria è stata contestata dal candidato di centrosinistra Peter Obi, che ha presentato una petizione per annullarla al tribunale per le petizioni elettorali presidenziali, quello che in Nigeria gestisce questo tipo di contestazioni.

La sentenza del tribunale è prevista per fine settembre: nel frattempo Tinubu può usare questo tempo per guadagnare credibilità e consenso in Nigeria, presentandosi come un leader affidabile e in grado di gestire complicate situazioni di crisi con prontezza e decisione.

Il presidente della Nigeria Bola Tinubu (AP Photo/Olamikan Gbemiga, File)

L’ipotesi di un intervento militare dell’ECOWAS in Niger è particolarmente commentata e discussa soprattutto per la possibilità che inizi una guerra che si allarghi oltre i confini del paese. Non ci sono posizioni uniformi e gli esperti sono a loro volta divisi al riguardo. Alcuni ritengono che un intervento militare sia probabile, come è il caso di Bolaji Akinyemi, politologo ed ex ministro degli Esteri della Nigeria, e Alex Vines, direttore del programma Africa del centro studi londinese Chatham House. Altri pensano invece che l’ipotesi sia assai remota: tra questi ci sono Joe Keshi, ex ambasciatore della Nigeria in Togo, Etiopia e Belgio, e Sadique Shehu, analista ed ex generale nigeriano.

La situazione potrebbe complicarsi soprattutto perché paesi come il Burkina Faso e il Mali, entrambi sospesi dall’organizzazione a seguito dei propri colpi di stato, hanno nel frattempo detto esplicitamente di essere disposti a intervenire in difesa della giunta militare che governa il Niger nel caso in cui l’ECOWAS avviasse un’azione militare. In un comunicato congiunto i governi militari dei due paesi hanno scritto che «ogni intervento militare contro il Niger equivale a una dichiarazione di guerra contro il Burkina Faso e il Mali». Anche la Guinea ha espresso la propria solidarietà al Niger. Allo stesso tempo diversi paesi occidentali hanno ribadito il proprio appoggio all’ECOWAS, pur senza accennare alla possibilità di partecipare a un eventuale intervento militare.

Chi ritiene improbabile un intervento militare dell’ECOWAS in Niger ha sottolineato come ora alla Nigeria non convenga farsi coinvolgere in una guerra. Il Niger è un paese vicino alla Nigeria anche economicamente, oltre che geograficamente: Shehu l’ha definito «il fratello più affidabile nella regione» per la Nigeria. Tra le altre cose, il governo nigeriano è attualmente impegnato nella costruzione di una linea ferroviaria che colleghi Nigeria e Niger, in cui ha investito l’equivalente di oltre un miliardo e mezzo di euro. In Niger si trovano inoltre anche migliaia di persone sfollate provenienti dalla Nigeria che hanno dovuto abbandonare il proprio paese a causa delle attività dei gruppi criminali sul territorio. Per tutte queste ragioni avviare un conflitto in Niger danneggerebbe anche la Nigeria.

Keshi, l’altro analista scettico sulla possibilità di un intervento armato in Niger, ha poi detto ad Africa Report che l’ECOWAS non ha i mezzi e le risorse per allestire un intervento militare di questa portata nel giro di pochi giorni.

Nel frattempo, il colpo di stato in Niger e i suoi possibili sviluppi stanno venendo molto discussi per via del loro possibile impatto sulla stabilità e la sicurezza di tutto il Sahel, la regione africana di cui fa parte e in cui sono attivi da diversi anni gruppi jihadisti, alcuni dei quali affiliati allo Stato Islamico o ad al Qaida. Il Niger era rimasto uno dei pochi paesi ancora governati da un presidente vicino ai governi occidentali, ed era considerato per questo una specie di «ultima speranza dell’Occidente» per il contrasto al jihadismo in quella parte di Africa, anche grazie a una strategia di Bazoum considerata di successo e innovativa, basata sul dialogo coi gruppi terroristici che doveva gestire.

Sono tutte cose che potrebbero cambiare: le manifestazioni di sostegno al colpo di stato in Niger si sono caratterizzate tra le altre cose per forti sentimenti anti-occidentali, in particolare anti-francesi. Proprio in questi giorni diversi governi occidentali hanno organizzato operazioni di evacuazione dei propri cittadini presenti nel paese, diversamente da quanto era avvenuto in altri stati africani della regione in cui c’erano stati colpi di stato.