Le cose per Sánchez si sono complicate
Con il conteggio dei voti dei residenti all'estero sono arrivate brutte notizie per il primo ministro spagnolo uscente: le sue possibilità di formare un nuovo governo si sono ridotte
In Spagna è terminato lo spoglio delle circa 234mila schede depositate dai cittadini e dalle cittadine residenti all’estero che avevano votato per le elezioni anticipate tenute il 23 luglio. Il loro conteggio ha portato a una redistribuzione dei seggi assegnati al Congresso dei deputati: il Partito Popolare, il principale partito di centrodestra, che ha ottenuto più voti di tutti ma non abbastanza per formare un governo, ha guadagnato un seggio a scapito del Partito Socialista di Pedro Sánchez. Questa modifica, pur minima, porterà a ulteriori difficoltà nella creazione di una possibile futura coalizione di governo. Sánchez, in particolare, per giurare di nuovo come primo ministro avrà bisogno non solamente dell’astensione degli indipendentisti catalani, ma del voto favorevole di almeno uno di loro.
Il Congresso dei deputati di Spagna è la camera bassa composta da 350 seggi che vota la fiducia al capo del governo: il voto è a maggioranza assoluta nella prima votazione (pari a 176 seggi che nessuna possibile coalizione, né di destra né di centrosinistra, riuscirebbe a ottenere) ed è a maggioranza semplice dalla seconda votazione in poi, quando i “sì” devono essere semplicemente più dei “no”.
Dopo lo spoglio delle schede dei residenti all’estero, il Partito Popolare ha guadagnato un seggio a Madrid arrivando a 137 seggi in totale. Il partito di estrema destra Vox ne ha ottenuti 33: PP e Vox insieme hanno dunque 170 seggi. Un possibile partito con cui ampliare la maggioranza conservatrice potrebbe essere l’Unione del Popolo Navarro che ha ottenuto un seggio. Conteggiando quest’ultimo, ora il blocco della destra a sostegno della candidatura a primo ministro del leader dei Popolari Alberto Núñez Feijóo arriva a 171 seggi.
Dall’altra parte, per la formazione di un governo di centrosinistra il Partito Socialista di Pedro Sánchez (sceso a 121 seggi dopo il conteggio dei voti dei residenti all’estero) e il raggruppamento di sinistra Sumar (31 seggi) dovrebbero coinvolgere le forze indipendentiste regionali di Catalogna e Paesi Baschi: Sinistra repubblicana di Catalogna (Erc, 7 seggi), Eh Bildu (6 seggi), Partito nazionalista basco (Pnv, 5 seggi) e Blocco nazionalista galiziano (Bng, 1 seggio). L’obiettivo di chiudere i negoziati con queste formazioni non è semplice, ma ipotizzando che i Socialisti e Sumar ci riescano il loro blocco avrebbe esattamente lo stesso numero di seggi di quello guidato dai Popolari: 171.
Questi nuovi numeri non migliorano le possibilità del leader conservatore Alberto Núñez Feijóo di diventare primo ministro, ma peggiorano quelle di Sánchez.
Prima dello spoglio delle schede dei residenti all’estero e della conseguente perdita di un seggio, l’opzione di Sánchez per rimanere a capo del governo prevedeva l’accordo con i parlamentari nazionalisti e separatisti catalani e baschi e poi la semplice astensione dei sette eletti di Uniti per la Catalogna (JuntsxCat), il partito indipendentista catalano di Carles Puigdemont che nel 2017 dichiarò la secessione della Catalogna dalla Spagna dopo avere organizzato un referendum per l’indipendenza giudicato illegale dallo stato spagnolo. Le forze combinate dei partiti nazionalisti e separatisti sommate ai 153 parlamentari dei Socialisti e di Sumar avrebbero infatti consentito a Sánchez di contare su 172 voti, due voti in più dei 170 che componevano il blocco della destra. Ora i possibili voti a favore di Sánchez sono scesi a 171: esattamente pari a quelli contrari.
In questa nuova situazione, affinché Sánchez ottenga la maggioranza semplice alla seconda votazione, JuntsxCat non dovrebbe solamente astenersi, ma almeno uno dei suoi parlamentari dovrebbe votare a favore.
Negli ultimi quattro anni JuntsxCat è stato sempre all’opposizione, votando contro quasi tutte le proposte di legge del governo Sánchez. Già prima che i risultati delle ultime elezioni fossero definitivi la portavoce di Junts Míriam Nogueras aveva detto che il suo partito non avrebbe mai sostenuto il candidato socialista. Convincere JuntsxCat ad astenersi sarebbe stato dunque molto complicato. Convincere ora il partito indipendentista ad appoggiare esplicitamente Sánchez sembra impossibile, così come sembra impossibile che Sánchez accetti la condizione imposta da JuntsxCat.
Il fondatore di JuntsxCat, Carles Puigdemont, è attualmente in autoesilio in Belgio, ma a rischio estradizione in Spagna dopo che il Tribunale dell’Unione Europea gli ha revocato l’immunità da europarlamentare. All’inizio di questa settimana JuntsxCat ha dichiarato che sarebbe disposto a negoziare un accordo con Sánchez solo se quest’ultimo accettasse di dichiarare un’amnistia generale per tutti i politici coinvolti nel referendum del 2017, compreso Puigdemont, e se si impegnasse a organizzare una votazione per l’indipendenza catalana. L’attuale ministra delle Finanze e vicesegretaria dei Socialisti, María Jesús Montero, ha già respinto entrambe le richieste dicendo che il Partito Socialista può negoziare solo «entro i margini della legalità stabiliti dalla costituzione spagnola».
Nel frattempo il leader dei Popolari, Alberto Nuñez Feijóo, sta continuando a chiedere che gli venga affidato l’incarico di formare il governo. Domenica ha inviato a Sánchez una lettera che contiene espressamente questa richiesta. Precisando che il suo partito è stato il più votato alle elezioni del 23 luglio, Feijóo ha proposto a Sánchez un incontro per stabilire un «dialogo responsabile» al fine di evitare lo «stallo e l’ingovernabilità» del paese: «La Spagna non merita una situazione di ingovernabilità e non possiamo nemmeno permetterci un blocco in un momento così importante per la nostra economia e le nostre istituzioni, nel bel mezzo della presidenza spagnola del Consiglio dell’Unione Europea».
Pedro Sánchez ha respinto la richiesta rispondendo a Feijóo che come stabilisce la Costituzione e «in linea con i principi della democrazia parlamentare» a governare deve essere chi ottiene più consensi al Congresso, non chi ottiene più voti alle elezioni: «Sono certo che lei comprende e condivide questo principio basilare della democrazia parlamentare perché storicamente e sistematicamente è stato applicato dal suo partito a tutte le latitudini della Spagna, ogni volta che le ha permesso di raggiungere la presidenza di comunità autonome e città pur non essendo la forza con più voti, né quella con il maggior numero di seggi». Sánchez ha dunque accettato di incontrare Feijóo così come il resto dei portavoce dei gruppi parlamentari rappresentati al Congresso dopo il 17 agosto, data in cui per la prima volta si riunirà il nuovo parlamento, e dopo che il re Filippo VI avrà assegnato l’incarico di formare un nuovo governo.
In Spagna non esiste una consuetudine definita che possa guidare la scelta di Filippo VI nel dare questo incarico: potrebbe dunque toccare al leader del partito più votato, Feijóo, oppure a quello che almeno sulla carta ha più possibilità di creare una coalizione.
Se la nomina di un primo ministro non andrà a buon fine, come in molti ritengono, la Costituzione spagnola prevede che il parlamento debba essere sciolto due mesi dopo il conferimento del primo incarico di formare un governo, qualora i successivi tentativi falliscano. Le elezioni dovranno poi tenersi entro 54 giorni: si potrebbe quindi tornare a votare già a dicembre o a gennaio del 2024. Nel frattempo Pedro Sánchez rimarrebbe in carica come primo ministro ma con poteri limitati, relativi alla gestione ordinaria degli affari correnti.