Come Vienna sta evitando la crisi abitativa
Da un secolo l'amministrazione locale costruisce complessi residenziali all'avanguardia in cui mantiene bassi gli affitti, con un sistema che interessa a diverse altre capitali
di Viola Stefanello
Uscendo dalla fermata Rennbahnweg, sulla linea U1 della metropolitana di Vienna, ci si trova davanti una serie impressionante di palazzoni bianchi, dipinti qua e là di colori pastello. Si chiamano Trabrenngründe, e furono costruiti tra il 1972 e il 1977, durante uno dei primi momenti di riqualificazione del patrimonio immobiliare della città, in una zona all’epoca ancora piuttosto periferica.
Al loro posto c’era un ippodromo: nell’arco di qualche anno fu trasformato in quello che al tempo era il più grande complesso residenziale di tutta l’Austria, con circa 2400 appartamenti sviluppati attorno a sei ampi cortili. Oggi ci vivono circa settemila persone, servite da asili e scuole di tutti i gradi, palestre e campi sportivi, farmacie, supermercati, parrucchieri, diversi ristoranti, nonché un centro comunitario che organizza corsi di lingua e pittura e partite a scacchi. Gli affitti costano in media 7 euro al metro quadro: un appartamento da 60 metri quadri costa quindi poco più di 400 euro al mese. La proprietaria delle case è la città di Vienna.
Da qualche anno Vienna è considerata la città più vivibile del mondo, ed è anche una di quelle che crescono più velocemente in Europa. Efficiente, pulita e molto comoda per raggiungere il resto del continente, la capitale austriaca è però un luogo così attraente anche perché finora è riuscita a evitare la crisi abitativa che ha reso le altre grandi città dell’Europa occidentale spesso inaccessibili per chi non è ricco. Nel 2021, i viennesi che vivevano in alloggi privati hanno speso in media il 26 per cento del proprio reddito (al netto delle imposte) per pagare affitto e costi energetici. Quelli che vivevano in case pubbliche o sovvenzionate ancora meno, il 22 per cento. Secondo il Sole 24 Ore, invece, a Milano l’affitto rappresenta in media il 51,6 per cento dello stipendio medio.
Il sistema che rende possibili affitti così abbordabili si basa su una fitta serie di politiche locali e nazionali che si sono stratificate nel corso di decenni, dovute anche al fatto che il governo locale, controllato quasi ininterrottamente dal partito socialdemocratico da un secolo, da sempre mette il diritto alla casa al centro delle proprie priorità.
Intanto, il 43 per cento di tutti gli alloggi disponibili in città è “isolato dal mercato”, nel senso che i prezzi degli affitti riflettono gli effettivi costi di costruzione e mantenimento degli edifici in cui si trovano o delle tariffe fissate per legge, e sono quindi al riparo dal fenomeno della speculazione. Questi edifici possono essere di proprietà del municipio – come Rennbahnweg – o costruiti con l’aiuto di ingenti sovvenzioni municipali dalle cosiddette “ Gemeinnützige Bauvereinigungen” (GB), cooperative edilizie “a scopo di lucro limitato” che per legge possono affittare le proprie unità abitative soltanto a un prezzo che rifletta i costi di costruzione e manutenzione. In base a questo modello, introdotto a livello nazionale nel 1910, gli investitori possono acquistare azioni delle cooperative, generalmente per aiutare a finanziare la costruzione iniziale, e ottengono piccoli dividendi annui. Tutti i profitti superiori a una certa soglia devono obbligatoriamente essere reinvestiti nella costruzione di nuovi alloggi nelle stesse modalità.
Per poter accedere a queste unità di “social housing” – che hanno un affitto più basso di quelli proposti dai privati e spesso sono di maggiore qualità – basta vivere stabilmente a Vienna da almeno due anni e non avere un reddito netto annuo superiore ai 53mila euro da soli, o 79mila euro in due. Il 75 per cento della popolazione viennese rientra in questi parametri. Una volta che si ottiene uno di questi appartamenti, poi, il contratto non scade mai, nemmeno se si supera il tetto di reddito.
In media, dal momento in cui si fa richiesta per uno di questi appartamenti a quando se ne ottiene uno passano circa due anni: ogni anno circa 12mila persone fanno richiesta, e 10mila lo ottengono. I candidati possono rifiutare fino a due appartamenti: se rifiutano anche il terzo, devono presentare nuovamente domanda. Chi va a vivere in un appartamento gestito da una cooperativa, poi, deve pagare un contributo fisso talvolta anche piuttosto alto, che gli viene rimborsato con una piccola trattenuta in caso decida di andarsene. Se decide di restare, dopo cinque anni l’inquilino acquisisce il diritto di comprare l’appartamento in cui vive.
«Tutto questo ha un impatto economico importante» dice Gerlinde Gurtheil, della Federazione austriaca delle cooperative a scopo di lucro limitato. «L’effetto più immediato è che, dovendo spendere meno di affitto, le persone possono usare il loro denaro per comprare altre cose. E poi è stato dimostrato che la disponibilità di appartamenti sovvenzionati contribuisce a tenere più bassi anche i costi degli affitti nel mercato privato».
In questo contesto, a vivere in abitazioni private sono soprattutto le persone che hanno una casa di proprietà – una minoranza della popolazione – e quelli che non rientrano nei criteri del social housing, sia per motivi economici sia perché non abitano in città da almeno due anni, come stranieri o studenti. Anche per loro, comunque, ci sono alcuni strumenti per mantenere bassi gli affitti: in teoria c’è una legge che pone un tetto massimo agli affitti delle case costruite prima del 1945, anche se nella pratica spesso non viene applicata.
Le origini del “sistema Vienna” risalgono al primo dopoguerra, quando la città era malsana e sovraffollata e la gente arrivava ad affittare un letto soltanto per mezza giornata, sostanzialmente facendo a turno con altre persone per dormire tra una lunga giornata lavorativa e l’altra. Negli anni Venti, dopo che Vienna era stata resa una provincia autonoma, il Consiglio comunale a guida socialdemocratica decise di tassare pesantemente terreni, attività e beni di lusso per costruire 64mila nuovi alloggi popolari sovvenzionati, aumentando del 10 per cento l’offerta immobiliare della città tra il 1923 e il 1934, nel cosiddetto periodo della “Vienna Rossa”.
I nuovi immobili furono costruiti in tutta la città e non soltanto in periferia, come spesso succede con l’edilizia popolare, e sempre ben collegati con il resto della città dal trasporto. E intorno vennero costruite piscine, asili, piazze e altri spazi pubblici; per decorarli vennero commissionati murales, statue e quadri. Vi si trasferì circa un decimo della popolazione cittadina, 200mila persone: gli affitti furono fissati al 3,5% del reddito medio del lavoratore semiqualificato dell’epoca.
La città continuò a costruire nuova edilizia pubblica man mano che cresceva la domanda, allargandosi fino a includere anche alcuni comuni che all’inizio del secolo non ne facevano parte. Tra gli anni Ottanta e Novanta, mentre moltissime città europee vendevano i terreni di cui erano proprietarie, Vienna decise di non farlo. A partire dagli anni Novanta, però, la città ha smesso di costruire direttamente grandi complessi residenziali pubblici. Oggi costruisce poche centinaia di unità l’anno, preferendo sovvenzionare lautamente la costruzione di “social housing” da parte delle cooperative: ogni anno, negli ultimi quarant’anni, hanno costruito tra le 3mila e le 5mila unità abitative nella sola città di Vienna.
«Una cosa straordinaria che fa Vienna rispetto a tante altre città è quella di sovvenzionare massicciamente l’edilizia, piuttosto che fornire sussidi economici alle persone che hanno bisogno di una casa», spiega Sarah Kumnig, sociologa della Wirtschaftsuniversität Wien che si occupa di diritto alla casa. «Con quel genere di sussidi, in realtà stai sostanzialmente spendendo soldi pubblici per aiutare le persone a pagare affitti troppo alti: sul lungo periodo è una tattica poco efficiente, anche perché incentiva i privati a chiedere sempre più soldi. È un po’ come trasferire denaro pubblico a proprietari privati. Il sistema viennese, invece, ha l’obiettivo di mantenere bassi gli affitti sul lungo periodo, usando i soldi pubblici per costruire case che siano effettivamente di proprietà del pubblico o di cooperative edilizie a limitato scopo di lucro».
Per di più, il governo statale continua a testare nuove politiche volte ad assicurarsi che il patrimonio abitativo cittadino a buon prezzo continui a crescere. Nel 2018, per esempio, ha modificato il proprio regolamento edilizio: ora, chiunque acquisti terreni in alcune zone predefinite della città è obbligato a dedicare almeno due terzi delle proprie nuove unità abitative al social housing.
Uno degli strumenti di cui la città va più fiera è Wohnfonds: una società senza scopo di lucro fondata nel 1984, finanziariamente indipendente dalla municipalità di Vienna e governata da un fondo presieduto dal consiglio comunale, il cui scopo è quello di acquistare terreni dove poi far costruire edifici che rispondano alle esigenze abitative della città.
«È stato creato in un momento in cui Vienna stava perdendo abitanti, una quarantina di anni fa: all’epoca la città ne aveva solo 1,5 milioni, ora siamo quasi 2 milioni», racconta Kurt Hofstetter, urbanista e responsabile degli affari internazionali per la città di Vienna. «Quello era veramente un ottimo momento per acquistare terreni a prezzi convenienti, tenerli in magazzino e poi metterli a disposizione nei momenti di necessità».
Nella pratica, Wohnfonds negli anni ha acquistato – e continua ad acquistare – lotti di terra grandi e piccoli sul territorio di Vienna. In suo possesso al momento ci sono ancora più o meno 3 milioni di metri quadri di terreni, su cui si stima che potrebbero essere costruiti almeno 45 mila alloggi. Per i lotti più piccoli offre soprattutto dei prestiti pubblici a basso interesse a condizione che gli alloggi costruiti siano affittati al di sotto di una certa cifra. Per quelli più grandi, che superano le 500 unità abitative potenziali, organizza delle competizioni pubbliche. A vincere non è il progetto meno costoso, ma quello giudicato migliore non solo in base alla qualità architettonica, ma anche alla sua sostenibilità ambientale e sociale: vengono premiati, insomma, gli edifici che offrono soluzioni all’avanguardia per abbattere gli sprechi energetici, ma anche per creare comunità e integrazione sociale.
È quello che è successo ad Aspern, a venti chilometri dal centro della città: un territorio che fino a quindici anni fa era soltanto un vecchio, enorme aeroporto abbandonato. Dopo anni di discussioni e competizioni agguerrite, nel 2010 si è cominciato a costruire un lago artificiale, l’Asperner See. Oggi chi si siede sulle sue sponde vede principalmente tre cose: una stazione della metropolitana sopraelevata, da cui si può raggiungere il centro città in mezz’ora scarsa; una sfilza di palazzi più o meno alti, costruiti molto di recente in base a principi urbanistici all’avanguardia; uno stuolo di gru non molto lontane, impegnate a costruire moltissimi altri edifici. Attorno all’Asperner See sta infatti sorgendo Seestadt Aspern: uno dei più innovativi progetti di sviluppo urbanistico d’Europa, ma anche una delle tante opere di riqualificazione urbana a cui Vienna si sta sottoponendo per fare spazio a una popolazione in costante aumento.
In un primo momento a Seestadt Aspern sono stati costruiti soltanto alloggi sovvenzionati, per circa 6mila persone: oggi gli abitanti sono circa 10mila, tra cui molti che vivono in abitazioni private. «Quando finiremo di costruire tutto, credo che circa l’80 per cento delle abitazioni qui saranno alloggi sovvenzionati», stima Hofstetter, che è una delle persone che hanno seguito fin dall’inizio il progetto, e anche uno dei suoi primi abitanti. Ci si è trasferito con la famiglia nel 2014, e dice di essere contentissimo. «Rimango spesso stupito da quanto bene funzionino le cose, dal modo in cui le persone interagiscono con gli spazi pubblici», racconta.
Oltre ad avere il lago, che soprattutto nelle giornate di sole diventa un punto d’incontro in grado di attirare persone da tutte le parti della città, Seestadt Aspern è speciale anche perché molti dei suoi edifici integrano principi architettonici e urbanistici innovativi. Sui tetti dei palazzi spiccano orti urbani coltivati dagli inquilini o piscine. Le auto vengono fatte parcheggiare in un garage separato, non lontanissimo ma abbastanza da convincere molte persone a usare, piuttosto, i trasporti pubblici. Gli spazi al piano terra dei vari edifici vengono affittati a prezzi particolarmente bassi per attirare il prima possibile attività commerciali di vario tipo. Gli spazi pubblici occupano più della metà dei 2,4 chilometri quadrati che compongono il quartiere. Le aiuole sono verdeggianti, anche se gli alberi ci metteranno ancora qualche anno per crescere. E il sindaco ha anche deciso che a tutte le strade e le piazze del nuovo quartiere verranno dati esclusivamente nomi di donne celebri, per controbilanciare il fatto che storicamente le donne sono sottorappresentate nella toponomastica.
«Non credo che il sistema Vienna, nel suo insieme, sia replicabile», dice Hofstetter. «È chiaro che si basa su una storia particolare e un approccio di lungo periodo, ma ci sono comunque alcuni aspetti che possono essere implementati altrove. Per esempio, stiamo lavorando insieme alla città di Vancouver, in Canada, per aiutarli a migliorare il loro approccio al social housing, a partire dall’istituzione di qualcosa di simile al nostro Wohnfond». Anche città come Lione, Barcellona e Lisbona stanno studiando Vienna per capire come integrare alcuni dei suoi approcci.
«Penso che a fare la differenza sia anche la volontà politica», dice Constanze Wolfgring, ricercatrice del Politecnico di Milano che studia da tempo il sistema viennese. «Milano, per esempio, è una città che da una parte vuole mostrarsi molto inclusiva, soprattutto per quanto riguarda i diritti civili, ma dal punto di vista dei meccanismi economici è molto esclusiva. Sicuramente potrebbe adottare alcuni strumenti urbanistici simili a quelli di Vienna: è una città molto attraente, dove tantissimi vogliono costruire, e quindi la città avrebbe il potere di negoziare se volesse diventare più accessibile per le persone che guadagnano troppo per accedere all’edilizia pubblica ma fanno fatica ad accedere al mercato privato».
Questo non significa che il sistema viennese non abbia problemi. «Come ricercatori, dobbiamo spesso confrontarci con questa narrazione dominante che vede Vienna come una città perfetta dove tutto è bello, buono ed economico, dove la qualità della vita è così alta. È vero fino a un certo punto: penso che la resilienza contro la privatizzazione e la liberalizzazione dimostrate da Vienna nel tempo siano molto speciali, per esempio. Ma ovviamente anche qui abbiamo delle grosse sfide da affrontare», dice la sociologa Sarah Kumnig.
Una delle cose che la preoccupano di più è il fatto che il sistema intero dipenda, sostanzialmente, dal fatto che i socialdemocratici rimangano al potere e che continuino a mettere il diritto alla casa in cima alle proprie priorità. In passato è già successo che governi federali conservatori approvassero leggi sulla casa che rendessero più facile privatizzare unità di edilizia sovvenzionata. E soltanto quest’anno, la città ha deciso di assecondare il governo – al momento in mano a una coalizione conservatrice – alzando gli affitti in base all’inflazione anche nel social housing.
«Il fatto che il sistema non sia sottoposto a controllo democratico è un limite», dice Kumnig. «Se dovessero cambiare i rapporti di potere, non esiste alcun meccanismo che possa proteggere il social housing dalla privatizzazione. Dobbiamo anzi considerarci fortunati che finora i socialdemocratici non si sono mostrati interessati a privatizzare lo stock municipale, ma non c’è sicurezza che non accadrà in futuro».
A ciò si aggiunge la preoccupazione che, con i prezzi dei terreni in aumento, in futuro la città non sarà in grado di costruire abbastanza alloggi sociali per soddisfare la domanda. «Il numero di abitazioni vuote nel settore privato a Vienna è già molto alto: vuol dire che in città non mancano alloggi, mancano alloggi a prezzi accessibili. Ma le costruzioni commerciali, a scopo di lucro, sono in aumento, mentre la costruzione di alloggi sociali è rimasta costante», continua la ricercatrice. «L’equilibrio si sta già spostando dall’offrire principalmente social housing e qualche alloggio privato ad avere qualche alloggio sovvenzionato tra i tanti a scopo di lucro».
Di fronte a questi cambiamenti, la mobilitazione politica dal basso è quasi inesistente. «Penso che sia il risultato della politica abitativa viennese, che a guardarla bene ha un approccio molto paternalistico nell’allocazione degli alloggi», dice Kumnig. «C’è questa idea secondo cui la città si prenderà cura di te. Quindi, quando ci si trova in una situazione in cui non si riesce a pagare l’affitto nonostante tutto quello che la città fa per venirti incontro, spesso la reazione è un sentimento di vergogna. Lo si vede come un fallimento personale, non come un problema strutturale».