A capo della Banca centrale libanese ci sarà una faccia nuova, dopo 30 anni
Si è concluso il mandato di Riad Salameh, da molti ritenuto co-responsabile della grave crisi economica che ha colpito il Libano
Lunedì si è concluso il mandato di Riad Salameh da presidente della banca centrale del Libano. Il suo ruolo è stato preso ad interim da Wassim Mansouri, che era uno dei quattro vicepresidenti. Salameh era in carica da trent’anni e le sue politiche sono considerate da molti tra le cause della grave crisi economica che sta attraversando il paese da tempo: il settore bancario ha perdite per circa 70 miliardi di dollari e la valuta nazionale ha perso oltre il 90 per cento del suo valore. Il Libano ha un debito pubblico altissimo e nel 2019 per la prima volta nella sua storia non ha rimborsato parte dei titoli di stato in scadenza: è andato in default, come si dice in questi casi.
Fino al 2019 Salameh era rispettato nell’ambiente finanziario internazionale per essere riuscito a mantenere tutto sommato stabile la lira libanese nonostante l’instabilità politica e i timori degli investitori internazionali. Con la crisi iniziata quell’anno, però, molte delle sue politiche si sono rivelate dannose e controproducenti. Salameh è inoltre indagato in sei stati europei per corruzione e riciclaggio di denaro: verso di lui, che si è sempre dichiarato innocente, è stato emesso un mandato di arresto internazionale.
Le politiche di Salameh finalizzate alla stabilità della lira libanese erano centrali per il funzionamento dell’intero sistema e hanno avuto successo per molti anni. Hanno però avuto effetti collaterali notevoli sul sistema finanziario del paese, che sono emersi solo recentemente.
La lira libanese è una moneta storicamente debole. Dall’inizio degli anni Novanta per provare a darle stabilità il governo la “ancorò” al dollaro attraverso un cambio fisso: è un sistema molto rigido con cui si fissa il valore di una valuta debole in relazione a quello di una forte, tipicamente il dollaro. Da quel momento tasse scolastiche, assicurazioni sanitarie, prestiti immobiliari o automobili hanno avuto un prezzo in dollari, ma la maggior parte dei libanesi ha continuato a ricevere il proprio stipendio in valuta locale.
Questo meccanismo da una parte ha garantito la stabilità del cambio e dei prezzi, ma dall’altro ha creato notevoli distorsioni perché il valore della moneta spesso è stato sopravvalutato e non ha rispecchiato l’andamento dell’economia locale, ma quello dell’economia statunitense.
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In un sistema di questo tipo le banche centrali hanno un ruolo notevole. Quella libanese ha dovuto intervenire spesso sui mercati finanziari per tenere artificiosamente fisso il cambio, e per farlo ha avuto bisogno di ottenere moltissima valuta estera. Salameh incoraggiava quindi le banche locali a ottenere depositi o prestiti in dollari dalle loro filiali all’estero, in cambio del pagamento di alti tassi di interesse. Questa pratica ha danneggiato molto i loro affari e oggi le banche libanesi hanno grossi problemi di bilancio.
I danni al sistema finanziario sono stati notevoli. Nel tempo sono stati imposti ai cittadini limiti stringenti sull’uso del denaro: per evitare la fuga di capitali, le banche hanno stabilito forti restrizioni sui trasferimenti all’estero e sui prelievi in dollari statunitensi. Dal 2019 il paese vive in uno stato costante di tensione sociale, in cui i cittadini protestano incolpando i politici di corruzione sistematica e di una cattiva gestione del paese, per loro alla base delle attuali e gravi difficoltà economiche.
Negli anni Salameh ha anche finanziato grosse politiche di spesa pubblica attraverso le politiche della banca centrale. Semplificando molto, ha contribuito a “dopare” l’economia grazie a soldi stampati appositamente dalla banca centrale. Questa pratica si chiama “monetizzazione del debito” ed è stata progressivamente abbandonata dalle economie avanzate per tutte le distorsioni che comporta.
I critici di Salameh lo accusano di aver finanziato costantemente le politiche fallimentari dei vari governi, fatte per lo più di spesa pubblica. Questi interventi non avrebbero in alcun modo contribuito allo sviluppo e alla crescita del Libano, ma sarebbero serviti solo a mantenere saldo il consenso della popolazione verso il governo di turno.
Oltre che al coinvolgimento nelle politiche economiche disastrose, la reputazione di Salameh è stata anche compromessa da accuse di corruzione e riciclaggio di denaro: a suo carico ci sono indagini giudiziarie in Libano e in sei paesi europei. L’accusa sostiene che Salameh avrebbe sottratto centinaia di milioni di dollari dalla banca centrale libanese a fini personali.
A maggio Salameh è stato posto sotto indagine formale dalle autorità finanziarie francesi, a cui è seguito un mandato d’arresto internazionale di Francia e Germania.