I molti problemi di Rai Sport
L'ultimo caso ha riguardato le frasi sessiste pronunciate in una telecronaca sui Mondiali di nuoto, ma i precedenti sono diversi e le difficoltà a cambiare le cose sono strutturali
Le recenti nomine dei direttori dei telegiornali e delle testate giornalistiche Rai decise dal nuovo amministratore delegato Roberto Sergio, considerato molto vicino all’attuale governo, hanno coinvolto anche Rai Sport. Alla direzione della redazione sportiva della Rai è stato nominato Jacopo Volpi, giornalista di 66 anni dalla lunga carriera all’interno proprio di Rai Sport. Ancora prima di presentare il cosiddetto piano editoriale, una sorta di programma di gestione della testata che viene sottoposto a un voto di gradimento non vincolante della redazione, Volpi ha dovuto gestire un caso legato a frasi sessiste e razziste pronunciate durante una telecronaca dei Mondiali di nuoto di Fukuoka, in Giappone.
Quel caso è stato molto commentato e si è aggiunto a scandali e polemiche che negli ultimi anni hanno riguardato la redazione sportiva della Rai, che da tempo è considerata una delle più problematiche e difficili in un’azienda già di complessa gestione. Negli ultimi anni Rai Sport è finita sui giornali per commenti razzisti in diretta, litigiosità interna diventata pubblica, cause legali legate ad accuse di stalking e violenza domestica di uno dei suoi conduttori più noti, indagini su note spese gonfiate e una rissa in redazione.
Rai Sport sta vivendo una fase piuttosto complessa, soprattutto perché si è progressivamente ridotto il numero degli eventi trasmessi in diretta, in particolar modo per quel che riguarda il calcio: è un effetto legato al costo dei diritti e alla concorrenza di televisioni e piattaforme a pagamento. Le dirette sportive sui canali generalisti (più spesso Rai 2, talvolta Rai 1 e Rai 3) di ciclismo, atletica, nuoto e della nazionale di calcio hanno sempre buoni dati di ascolto, mentre i risultati del canale tematico Rai Sport HD sono molto limitati e hanno portato negli anni a un visibile disinvestimento, economico e di forze. Nel 2017 è stato chiuso il secondo dei canali tematici Rai Sport 2.
La questione più generale riguarda i cambiamenti nel panorama dell’offerta televisiva sportiva e nella vendita dei diritti.
Il grande aumento dei prezzi dei diritti televisivi, che oggi possono arrivare a pesare anche in modo ingente sui conti di una televisione, ha portato a una riduzione consistente dell’offerta degli eventi sportivi trasmessi dalla Rai. Di recente l’azienda ha deciso di non presentare un’offerta per il calcio di Serie A, dopo aver valutato pacchetti minori che comprendessero una singola partita il sabato pomeriggio o il lunedì.
Ma soprattutto negli ultimi anni ha rinunciato a gran parte degli eventi calcistici che ancora aveva in palinsesto dopo l’ingresso sul mercato delle pay-tv. Dal 2021 non trasmette più la Champions League e la Coppa Italia, passate a Mediaset (in precedenza aveva una gara a settimana della prima, tutta la competizione della seconda), e l’offerta attuale si riduce alla Serie C di calcio, alle partite della Nazionale italiana e ai grandi eventi per nazionali, almeno fino all’Europeo 2024 (ha trasmesso tutti i Mondiali 2022 in Qatar, ma l’investimento è stato penalizzato dall’assenza dell’Italia).
Rinunce simili sono state fatte anche per altri sport, soprattutto quelli più popolari e quindi con il costo dei diritti più alto. La Rai non trasmette più la Formula 1, dopo aver rinunciato dal 2013 anche ai “secondi diritti” della MotoGP (quelli principali erano di Mediaset), e non ha fatto un’offerta per il prossimo triennio del campionato italiano di basket. Continua a trasmettere le Olimpiadi, ma da alcune edizioni i diritti acquistati non sono più in esclusiva e riguardano un numero limitato di ore di diretta. In occasione di quelle di Tokyo, nel 2021, era stata molto criticata per aver rinunciato ai diritti dello streaming: le trasmissioni erano visibili su Rai 2, ma non su RaiPlay.
Quest’ultima situazione comunque non si ripeterà nelle prossime edizioni: per Parigi 2024 e l’edizione invernale Milano-Cortina 2026 sono stati acquistati anche i diritti digitali.
Il rilancio di Rai Sport HD è un tema aperto e al momento irrisolto. Quando non sono previsti lunghi eventi che non possono trovare completo sviluppo su uno dei tre canali principali Rai, il palinsesto di Rai Sport è spesso occupato da repliche e programmi d’archivio. I rilevamenti Auditel della settimana 11-17 giugno (l’ultima disponibile online) valutavano in 38mila spettatori l’audience media di Rai Sport HD, contro i 100mila di Rai Movie o i 219mila di TV8, un canale privato che trasmette principalmente eventi sportivi.
A questi problemi più strutturali e aziendali si aggiungono quelli legati alla redazione in senso stretto, che è composta da circa 120 giornalisti: la sede principale è a Roma, una ventina di giornalisti sono in quella di Milano, altri 3 in redazioni locali (Bolzano, Firenze). Il caso della telecronaca dei tuffi, che ha coinvolto il giornalista Lorenzo Leonarduzzi e l’ex tuffatore e seconda voce tecnica Massimiliano Mazzucchi, è stato considerato particolarmente grave non solo per i contenuti offensivi espressi, ma anche per la recidività di Leonarduzzi, che in passato era stato al centro di due differenti casi. Per uno di questi, un’altra battuta sessista pronunciata in una diretta di un rally, il giornalista era stato sottoposto a una procedura disciplinare. Ne è stata annunciata un’altra per la telecronaca dei tuffi.
Queste procedure prevedono che l’azienda ascolti la difesa del dipendente, assistito da un rappresentante sindacale, e possa poi decidere sanzioni che vanno dal richiamo verbale alla sospensione (senza stipendio) fino a 5 giorni, fino a 10 giorni, o al licenziamento. Nel 2021 Leonarduzzi fu punito con cinque giorni di sospensione, la reiterazione può essere considerata un’aggravante e portare a sanzioni maggiori.
In una redazione così numerosa alcuni casi di comportamenti inopportuni o scorretti non sono di per sé un evento così inusuale (litigi e contestazioni dei rimborsi spese sono in realtà piuttosto diffusi), ma nel caso di Rai Sport sono spesso diventati pubblici, anche per la natura di “servizio pubblico” dell’azienda. Tutto questo ha contribuito a costruirne un’immagine negativa che ha avuto ripercussioni anche sui giornalisti che svolgono il loro lavoro con serietà e professionalità.
Un altro caso di cui si è parlato molto è quello relativo a Enrico Varriale, uno dei giornalisti più noti della redazione. Varriale fu nominato vicedirettore di Rai Sport nel gennaio 2019 e da settembre dello stesso anno ha condotto 90° minuto, trasmissione storica e fra le più popolari. Attualmente è sotto processo per stalking e atti persecutori nei confronti dell’ex compagna, in Rai è ufficialmente “a disposizione” e quindi percepisce regolare stipendio ma non va in video. Qualche mese fa ha fatto causa alla Rai per “demansionamento”, lamentando l’esclusione dai palinsesti e chiedendo di ritornare alla conduzione di un programma.
Durante l’Europeo del 2016 in Francia invece sette giornalisti di Rai Sport finirono in un’inchiesta che riguardava una serie di ricevute tutte uguali, da 70 euro a pranzo e cena provenienti da uno stesso ristorante italiano. Ci fu anche un intervento della polizia francese che interrogò il ristoratore per verificare la veridicità delle ricevute, e l’indagine interna all’azienda portò alla sospensione disciplinare per alcuni giorni di almeno un giornalista (per gli altri non fu possibile accertare il dolo) e alla restituzione dei rimborsi.
A questi casi maggiori, che hanno avuto seguiti disciplinari e talvolta legali, si sono aggiunti spesso episodi in cui le polemiche si sono fermate nell’ambito della discussione pubblica. Durante la telecronaca su Rai 1 di Belgio-Canada dei Mondiali di calcio in Qatar, per esempio, il telecronista Alberto Rimedio commentò così una squadra arbitrale composta da persone di etnia diversa: «Ci sono davvero tante razze per gli arbitri che sono impegnati in questa partita». Si scusò poi all’inizio del secondo tempo della partita, dopo le molte critiche ricevute, definendolo un «errore nella concitazione della diretta».
Nel corso degli anni sono emersi pubblicamente molti conflitti interni alla redazione, con attacchi diretti e critiche ai colleghi via stampa o dai profili personali sui social network. Questi ultimi sono usati spesso molto più estesamente e liberamente di quello che prevede il codice di comportamento aziendale per i social network approvato nel 2019.
I problemi e le tensioni dentro a Rai Sport sono state raccontate al Post da diverse persone che lavorano nella redazione sportiva, che hanno preferito rimanere anonime per evitare ripercussioni.
Uno degli aspetti più citati è stato quello che riguarda l’affidamento delle telecronache ai giornalisti sulla base delle loro competenze, un meccanismo che nel tempo si è inceppato in più occasioni. Secondo le testimonianze raccolte, per alcuni eventi e sport ci sono sempre molti giornalisti competenti, appassionati e desiderosi di garantirsi una telecronaca o un commento prestigioso, mentre per altre discipline trovare un giornalista disposto a occuparsene è più complesso e le scelte si riducono. Gli incarichi hanno finito spesso per essere assegnati a chi era disposto a prenderli, in un contesto piuttosto diffuso di volontà di ridurre al minimo proteste, problemi e potenziali conflittualità incombenti.
Dice un giornalista di Rai Sport sentito dal Post: «Anche se siamo più di cento, meno della metà dei giornalisti dipendenti è davvero operativa: ci sono inviati ed ex inviati introvabili, persone che non fanno un servizio da anni, superspecializzati in sport di nicchia che si rifiutano di fare altro, persone in causa o in aspettativa. Per anni Rai Sport è stata utilizzata come un parcheggio in attesa della pensione, una sorta di ammortizzatore sociale per colleghi che non hanno una collocazione produttiva in altri settori dell’azienda. Quelli che si smazzano il lavoro quotidiano sono pochi, una ventina». Il risultato è una qualità della telecronaca non sempre all’altezza, e in alcuni casi piuttosto scarsa.
Inoltre alcune persone sentite dal Post hanno parlato dell’assenza di un controllo accurato su quello che va in onda, in un modo che favorirebbe l’assenza di responsabilità per quello che si dice e come lo si dice. Tranne casi isolati e iniziative personali di piccoli gruppi, sarebbe quindi molto raro che i vari livelli di dirigenti chiedano conto di quanto è stato detto in diretta o in un servizio da un giornalista, che correggano o indirizzino.
Un altro aspetto di funzionamento della redazione ha favorito una certa inconsapevolezza e resistenza ad assecondare le nuove sensibilità per quanto riguarda il linguaggio opportuno da usare in un contesto come una televisione pubblica.
È l’aspetto che riguarda il ricambio generazionale, che in questi anni è stato limitato; i giovani infatti sono pochi e comunque nessuno sotto i 35 anni, e la redazione è composta principalmente da uomini, mentre le donne sono meno del dieci per cento. È anche per via di questo contesto che nelle telecronache ogni tanto vengono usate espressioni e battute sessiste, offensive o razziste. Le fonti sentite dal Post non ritengono che esista un problema diffuso di razzismo con origini politiche, ma confermano che pregiudizi sessisti sono piuttosto frequenti all’interno della redazione. Attraverso il proprio Comitato delle pari opportunità, l’USIGRai, Unione sindacale dei giornalisti Rai, ha richiesto «di varare in tempi brevi un corso di gender etiquette per il personale legato alla messa in onda, in primis per chi fa informazione e conduzione».
Dal 2015 il metodo di assunzione alla Rai si basa su concorsi, che hanno portato un certo rinnovamento, migliorando i criteri di selezione e inserendo nelle redazioni molti giovani slegati da appartenenze politiche. Rai Sport ne è stata coinvolta in minima parte, anche perché la redazione è ritenuta numericamente sufficiente, specie vista la riduzione degli eventi in diretta, soprattutto per il calcio. Questa riduzione degli spazi e degli incarichi di maggiore visibilità e popolarità (lo sport è un settore in cui i giornalisti possono facilmente guadagnare un grande seguito personale) ha aumentato la conflittualità interna, in una redazione che una persona sentita dal Post descrive come divisa in una «guerra fra bande», in cui qualità e professionalità passano spesso in secondo piano rispetto all’appartenenza a una o all’altra fazione.
Questa forte tensione e litigiosità interna hanno portato anche a situazioni surreali come quella che da ormai quasi un anno blocca le elezioni del Comitato di Redazione, la rappresentanza sindacale presente in quasi ogni giornale, che si relaziona con azienda e direttore.
A Rai Sport il CdR è spesso stato protagonista di contrapposizioni molto dure con i vari direttori. A luglio del 2022 ci furono sei candidati per i tre posti nel Comitato, si procedette al voto ma prima dello spoglio si pose la questione della legittimità della candidatura della giornalista Paola Ferrari, legata all’azienda da un contratto differente (chiamato articolo 2, non prevede l’obbligo di presenza in redazione, fra le altre cose). Furono interpellate USIGRai, FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana), Unione Stampa Romana e furono cercati anche alcuni pareri legali. Le opinioni contrapposte portarono a uno stallo, con l’urna contenente i voti mai scrutinata e conservata da un anno nella cassaforte della redazione. In attesa di una decisione definitiva, è rimasto in carica il vecchio CdR, ma solo per gestire le questioni correnti.
La reputazione di Rai Sport di essere una redazione difficile da gestire è stata confermata in passato da alcuni dei direttori che si sono dimessi prima di terminare il mandato. I contrasti sono stati maggiori e più evidenti con i direttori “esterni”, cioè non provenienti dalla redazione stessa, o che hanno avuto maggiori ambizioni di cambiamento. Lo scrittore e giornalista Gabriele Romagnoli, direttore fra il 2016 e il 2018, in passato inviato per La Stampa e Repubblica, disse al termine della sua esperienza:
Sono stato due anni e mezzo a Beirut dove ci sono 17 confessioni religiose, faide e bombe che scoppiano qua e là. Posso dire che, pur senza arrivare a quei livelli, in Rai il tasso di conflittualità è altissimo, ma per qualcosa che forse vale un po’ meno rispetto al proprio credo religioso. Il rimpianto è non essere riuscito a cambiare il linguaggio della narrazione sportiva. In certi casi, per farlo, bisogna cambiare chi parla, e cambiare le persone in Rai è difficilissimo.
Alessandra De Stefano, prima direttrice di Rai Sport, si è dimessa ad aprile sottolineando lo stesso problema:
In Rai se provi a fare una scelta diversa diventi subito un nemico. E se provi a cambiare un volto c’è chi si sente esiliato, tutti si avvertono fondamentali, la parola ricambio non esiste.
I direttori inoltre cambiano molto spesso: impostare un lavoro a lunga scadenza o un cambiamento strutturale diventa complesso.
Come ogni testata Rai, anche Rai Sport è governata dalla logica politica della lottizzazione, cioè il processo per cui le direzioni delle testate e gli incarichi di vertice vengono definiti in base a una spartizione fra i partiti, a seconda delle differenti maggioranze di governo. Negli ultimi dieci anni i direttori sono stati otto: il mandato dovrebbe durare un triennio, ma dal 2013 solo Auro Bulbarelli (2018-2021, considerato vicino alla Lega e da qualche giorno nominato vicedirettore) l’ha portato a termine. Gli altri o sono stati sostituiti, perché nel frattempo erano cambiati governi o maggioranze parlamentari, o si sono dimessi al termine di periodi di forte conflittualità con la redazione, con i giornalisti più noti e con gli organi sindacali.
Anche la nomina del nuovo direttore, Jacopo Volpi, non sembra avere orizzonti temporali molto lunghi. Volpi doveva andare in pensione fra poco più di un anno: per una deroga aziendale continuerà fino a fine 2024, ma nemmeno lui gestirà Rai Sport per un triennio completo.