I migranti abbandonati nel deserto dalle autorità della Tunisia
Centinaia di persone che provengono dall’Africa subsahariana sono state lasciate al confine con la Libia, senza cibo né acqua
Questa settimana il ministero dell’Interno libico ha detto che sono stati trovati almeno cinque corpi di persone migranti nel deserto al confine tra Libia e Tunisia. Non è chiaro se quei corpi appartenessero al gruppo di 1.200 migranti provenienti dall’Africa subsahariana che a inizio luglio le forze dell’ordine tunisine avevano arrestato e spostato forzatamente nel deserto nell’est del paese, sempre al confine con la Libia. Insieme al ritrovamento dei corpi, negli ultimi giorni sono arrivate anche notizie di soccorsi di centinaia di migranti abbandonati nel deserto e racconti di persone sopravvissute.
Organizzazioni per i diritti umani e giornalisti sul campo hanno parlato di ripetuti trasferimenti forzati di migranti nel deserto attuati dalle forze dell’ordine tunisine, ma non ci sono stime né dati ufficiali per dettagliare con più precisione queste affermazioni.
Nissim Gasteli, inviato in Tunisia di Le Monde, ha detto che dal 4 luglio la Tunisia conduce massicce campagne per arrestare e trasferire forzatamente i migranti dalla città di Sfax ai paesi vicini, abbandonandoli nel deserto senza acqua né cibo. Parlando del ritrovamento dei cinque corpi nel deserto e del soccorso di 140 migranti subsahariani, France 24 scrive che secondo gli operatori delle ong che hanno segnalato i casi precedenti, i 140 migranti soccorsi «sono solo gli ultimi a essere stati portati al confine della Tunisia con la Libia o l’Algeria».
Il sito di informazione sulle migrazioni InfoMigrants cita inoltre alcune organizzazioni per i diritti umani attive sul territorio, secondo cui il governo tunisino starebbe attuando una «epurazione» delle città da «qualsiasi» persona di origine subsahariana, con «un’ondata di arresti seguita da espulsioni forzate e illegali».
Non ci sono maggiori informazioni ed è difficile sapere esattamente cosa stia succedendo nel deserto tra Tunisia e Libia, anche perché è una zona difficilmente accessibile per ong e giornalisti: sono pochi gli osservatori che sono riusciti a parlare con i migranti sopravvissuti, che hanno descritto una situazione estremamente grave fatta di abusi e intense sofferenze. Negli ultimi giorni è inoltre circolata molto una fotografia scattata dal giornalista libico Ahmad Khalifa: mostra i cadaveri di una donna e una bambina, probabilmente madre e figlia, a terra e sotto il sole vicino al confine con la Libia.
I migranti abbandonati a inizio luglio hanno raccontato di essere stati arrestati durante alcune operazioni compiute dalle forze di sicurezza tunisine a Sfax, la città costiera della Tunisia centrale da cui partono le imbarcazioni dirette verso Lampedusa. Hanno detto di essere stati picchiati, caricati su alcuni pullman, portati nel deserto e abbandonati sotto il sole, senza acqua né cibo. Uno di loro ha raccontato di essere stato picchiato con delle spranghe di ferro, una donna di aver perso il bambino di cui era incinta a causa delle botte e della mancanza prolungata di acqua e cibo.
Alcune di queste persone vivevano e lavoravano a Sfax: due di loro, un barbiere e sua moglie, hanno raccontato di essere state arrestate dopo essere andate in ospedale a causa di alcune aggressioni subite e compiute da persone tunisine. Hanno parlato di «cinque autobus con circa 600-700 persone a bordo» portate nel deserto dalle autorità della Tunisia.
In alcuni casi sembra che siano stati arrestati e forzatamente trasferiti nel deserto anche migranti regolari. Alcuni dei sopravvissuti ascoltati da Le Monde, che in Tunisia erano arrivati regolarmente in aereo, hanno raccontato che le autorità tunisine avrebbero distrutto i loro passaporti e documenti e li avrebbero poi portati nel deserto. Queste testimonianze sembrano trovare conferma in quanto detto da Hélène Legeay, che si occupa di Medio Oriente e Nord Africa per l’Organizzazione mondiale contro la tortura (OMCT), un’ong che si occupa di diritti umani. Legeay ha detto a Le Monde che la sua organizzazione ha ricevuto foto di documenti che attestavano lo status di richiedenti asilo di molte delle persone trasferite: sono persone in attesa di ottenere lo status di rifugiate, che non possono essere espulse fino alla conclusione della pratica.
Legeay ritiene che molti trasferimenti forzati siano stati attuati solo come discriminazione razziale, in violazione delle norme internazionali sull’accoglienza, e con arresti arbitrari. Anche Human Rights Watch, un’altra organizzazione non governativa che si occupa di diritti umani, ha parlato di «gravi abusi» contro «migranti neri africani e richiedenti asilo».
Questi racconti e testimonianze hanno assunto particolare rilevanza perché l’Unione Europea ha appena firmato con il governo tunisino un accordo che prevede un aiuto finanziario di circa 1 miliardo di euro alla Tunisia affinché limiti le partenze dei migranti. L’accordo è stato firmato dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, accompagnata dalla presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, dal primo ministro olandese, Mark Rutte, e da Kais Saied, il presidente autoritario della Tunisia.
L’accordo è stato ampiamente criticato da esperti di migrazione e accoglienza, i quali ritengono che provocherà enormi sofferenze e molti morti, come successo con l’intesa raggiunta con la Libia nel 2017, simile a questa. Durante la sua presidenza Saied ha progressivamente trasformato il paese in senso sempre più autoritario e di recente ha avviato una campagna molto dura contro i migranti subsahariani, tentando di scaricare su di loro i problemi economici del paese.
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Il presidente Saied ha definito «menzogne» le notizie relative agli abusi inflitti ai migranti subsahariani, sostenendo che «le forze dell’ordine tunisine hanno protetto coloro che sono venuti in Tunisia e vogliono stabilirvisi, contrariamente a quanto viene detto». Nel frattempo, lo scorso 23 luglio, Saied è stato ospite della Conferenza internazionale per lo sviluppo e le migrazioni a Roma.