Che cosa sono i “downburst”
E perché in pochi minuti possono portare grandi raffiche di vento e pioggia con effetti devastanti, come si è visto a Milano
In seguito ai forti temporali che negli ultimi giorni hanno interessato varie zone del Nord Italia si è parlato molto dei “downburst”, fenomeni meteorologici che portano in pochi minuti venti molto forti accompagnati da una grande quantità di pioggia. Come spesso avviene in questi casi, con grandi attenzioni da parte della popolazione e dei giornali, il termine è diventato ricorrente ed è stato impiegato anche in contesti molto diversi tra loro, generando una certa confusione su cosa sia effettivamente un downburst e da che cosa sia causato.
In generale, il processo di formazione di un temporale inizia con la presenza di correnti ascensionali, cioè di masse di aria calda che si spostano dal basso verso l’alto. Questo spostamento è dovuto al calore che il suolo scaldato dal Sole cede all’ambiente circostante e all’evaporazione dell’acqua che si trova nel terreno, nelle piante e nelle masse d’acqua. L’aria calda è meno densa di quella fredda, di conseguenza sale verso gli strati più alti dell’atmosfera portando con sé il vapore acqueo.
La fase di accumulo può durare a lungo e porta le nuvole a svilupparsi verticalmente, con la loro sommità che può arrivare fino a 12mila metri di altitudine. Con queste dimensioni la nuvola diventa un sistema via via più complesso, poiché tra il suo punto più alto e quello più basso ci sono svariati chilometri, con condizioni di pressione e di temperatura anche molto diverse.
Mentre in basso le correnti ascensionali più calde che arrivano dal suolo continuano ad alimentare la nuvola con altra aria umida e instabile, nella parte più alta le minuscole gocce d’acqua iniziano a unirsi tra loro e a diventare sempre più grandi e in parte a congelare, formando blocchi di ghiaccio che potranno dare origine alla grandine. Se le correnti ascensionali non sono particolarmente intense, l’aria più fredda e densa nella nuvola inizia a cadere verso il basso insieme alle gocce d’acqua e al suolo piove, con intensità relativamente moderata: un comune acquazzone per intenderci. Se invece le correnti di aria calda dal basso sono molto intense, le cose cambiano.
Dopo un prolungato periodo di alte temperature – come per esempio durante un’ondata di caldo simile a quella che abbiamo avuto nei giorni scorsi – il suolo dissipa calore per più tempo e questo produce correnti ascensionali più forti e persistenti. Queste riescono a risalire fino agli strati più alti della nuvola e a fare in modo che al suo interno restino sospese le gocce di acqua e i blocchi di ghiaccio, che quando raggiungono gli strati più bassi della nuvola vengono nuovamente spinti verso l’alto. Il processo porta a un grande accumulo di energia, che verrà dissipata dalla nuvola nel momento in cui le correnti ascensionali non saranno più così intense. È come se pioggia e ghiaccio fossero tenute sospese e libere di crescere da un enorme ventilatore messo a terra e puntato verso l’alto, che a un certo punto si spegne lasciando che cadano.
L’improvvisa mancanza delle correnti ascensionali fa sì che le gocce di pioggia e i blocchi di ghiaccio inizino a precipitare velocemente, raggiungendo infine il suolo. Con la loro caduta una grande quantità di aria viene trascinata verso il basso: man mano che questa si raffredda diventa più densa e fluisce verso il suolo velocemente. Il fenomeno è ulteriormente acuito nel caso in cui lo strato d’aria tra la parte inferiore della nuvola e il suolo sia meno umido (relativamente): l’evaporazione dell’acqua in caduta aumenta e si abbassa ulteriormente la temperatura, rendendo l’aria ancora più densa.
Il downburst è ormai in corso e sta per avere i propri effetti. La grande colonna d’aria in caduta raggiunge il suolo verticalmente e si diffonde rapidamente in ogni direzione, un po’ come fa l’acqua che esce da un rubinetto quando colpisce il fondo del lavello. Si generano venti che soffiano pressoché orizzontalmente a una velocità che in molti casi può superare abbondantemente i 100 chilometri orari. Il rapido spostamento d’aria fa sì che la pioggia viaggi per lunghi tratti quasi parallelamente al suolo prima di raggiungerlo.
Un downburst può durare diversi minuti perché genera effetti che si ripercuotono su buona parte del sistema temporalesco, portando a un rapido abbassamento della temperatura al suolo, alla ulteriore riduzione delle correnti ascensionali e quindi a ulteriori precipitazioni. Se il fenomeno si verifica in un’area relativamente circoscritta, di solito fino a un raggio di 4 chilometri, si parla di “microburst”, mentre per fenomeni più estesi si utilizza il termine “macroburst”.
Per quanto altamente energetici e spesso distruttivi, i downburst non devono essere confusi con i tornado meno frequenti in Italia (nel nostro paese vengono spesso chiamati “trombe d’aria”, ma sono concettualmente la stessa cosa). Un tornado produce una corrente d’aria vorticosa con la caratteristica nube a forma di imbuto: è relativamente più localizzato di un downburst e si sposta diventando meno distruttivo man mano che dissipa la propria energia. Un tornado interessa una striscia non molto ampia di territorio, mentre un downburst può riguardare un’area più estesa, come si è visto negli ultimi giorni nel Nord Italia.
I downburst a volte vengono scambiati per tornado perché a distanza il fenomeno appare con una forma simile a quella di un imbuto/incudine, anche se ha un diametro molto più grande e soprattutto le correnti non sono vorticose, ma come abbiamo visto dirette verso l’esterno rispetto al punto di impatto della colonna di aria fredda e pioggia. La differenza è evidente anche negli effetti: nel caso dei downburst le cose abbattute, come per esempio gli alberi, sono tutte orientate verso la stessa direzione, mentre nel caso dei tornado l’orientamento è più disordinato. In Italia i tornado su terra sono del resto poco comuni e riguardano aree circoscritte e ben conosciute.
Ormai da diversi anni il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite segnala nei propri rapporti come il riscaldamento globale, causato in buona parte dalle attività umane, abbia reso più frequenti gli eventi meteorologici estremi, compresi downburst molto energetici.