Israele ha approvato la prima parte della contestata riforma della giustizia
Cioè la questione che divide il paese da mesi: anche oggi ci sono stati scontri tra manifestanti e polizia davanti alla Knesset
Il parlamento israeliano ha approvato la prima parte della contestata riforma della giustizia proposta dal governo di destra di Benjamin Netanyahu, che prevede misure per togliere alcuni poteri alla Corte Suprema e affidarli al governo. I voti favorevoli sono stati 64, non c’è stato nessun voto contrario ma l’opposizione ha lasciato l’aula in segno di protesta. Da mesi la riforma è la questione politica più discussa in Israele, regolarmente al centro di proteste estese ed eccezionali. Chi vi si oppone la considera infatti una minaccia per la democrazia. Il voto è stato accompagnato da nuove proteste fuori dal parlamento israeliano, che vanno avanti dal fine settimana: ci sono stati anche scontri con la polizia e almeno 19 persone sono state arrestate.
La parte votata oggi è quella che impedirà alla Corte di bloccare le decisioni del governo sulla base del concetto legale di “irragionevolezza”, cioè la possibilità della Corte Suprema di intervenire sui provvedimenti amministrativi approvati dal governo e abolirli se li ritiene in qualche modo “irragionevoli”. È uno strumento che negli ultimi anni la Corte ha usato in più occasioni, per esempio impedendo a Netanyahu di assegnare il ministero dell’Economia a un suo alleato che era stato condannato per frodi fiscali.
Nel corso della mattina sono stati fatti gli ultimi tentativi per trovare un compromesso in parlamento fra la coalizione di governo e l’opposizione, mediati dal presidente Isaac Herzog (che come il presidente della Repubblica italiano non ha un ruolo politico). C’erano state trattative anche fra membri del governo con posizioni piuttosto diverse tra loro. Questa mattina Netanyahu aveva parlato con il ministro della Difesa, Yoav Gallant, che in passato aveva criticato ripetutamente la riforma, e nel primo pomeriggio anche il ministro dell’Economia ha proposto di trovare un compromesso con l’opposizione. In entrambi i casi le trattative sono state bloccate dal ministro della Giustizia, Yariv Levin, autore del piano di riforme, e dal ministro della Sicurezza nazionale, che rappresenta un partito dell’estrema destra ebraica.
In previsione del voto di oggi alla Knesset nel fine settimana si sono mobilitate centinaia di migliaia di persone in tutto Israele. Decine di migliaia sono arrivate a Gerusalemme con un corteo partito da Tel Aviv, a circa 70 chilometri di distanza: il corteo, durato quattro giorni nonostante il caldo, si è concluso davanti all’ingresso della Knesset, dove migliaia di persone si sono accampate questa notte. Centinaia di migliaia hanno manifestato a Tel Aviv, Haifa e in altre città. Questa mattina circa 20.000 persone hanno manifestato davanti alla Knesset, e la polizia ha impiegato gli idranti per disperderle.
In un appello alla nazione trasmesso in televisione la sera di lunedì, Netanyahu ha detto che la legge è necessaria per permettere a chi viene eletto di governare e ha accusato l’opposizione di non aver voluto scendere a compromessi sul tema, respingendo tutte le versioni della legge sottoposte dal governo. Ha aggiunto che continuerà a organizzare colloqui «per raggiungere un accordo generale su tutto» entro la fine di novembre.
Il movimento che si oppone alla riforma non sembra intenzionato a fermarsi: i leader delle proteste hanno invitato i cittadini e i membri dell’esercito a manifestare ancora, mentre il leader dell’opposizione in parlamento ha annunciato che presenterà un ricorso alla Corte suprema stessa per provare a bloccare la riforma. I dirigenti del maggiore sindacato israeliano, l’Histadrut, si riuniranno per decidere se indire uno sciopero generale.
Anche questa volta la protesta ha coinvolto i militari. Sabato oltre un centinaio di importanti funzionari della sicurezza, tra cui comandanti militari in pensione, commissari di polizia e capi di agenzie di intelligence, hanno firmato una lettera per chiedere a Netanyahu di ritirare la sua proposta di riforma. Tra i firmatari c’erano Moshe Yaalon, ex ministro della Difesa israeliano, e Ehud Barak, ex primo ministro. Sempre sabato altri 10mila riservisti hanno minacciato di dimettersi in segno di protesta. I riservisti sono una parte importante dell’esercito israeliano, che spesso è chiamata a svolgere compiti militari anche in tempo di pace.
La loro adesione alle proteste, e più in generale quella dell’ambiente militare, è un fatto eccezionale e senza precedenti: normalmente i militari si mantengono lontani da dispute politiche e sono per lo più filo-governativi.
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Oltre alla norma sul concetto giuridico di «irragionevolezza», la riforma della giustizia di Netanyahu prevede anche l’introduzione di nuove norme per riformare la commissione che nomina i giudici della Corte Suprema e dei tribunali inferiori. Attualmente i giudici sono selezionati da una commissione di nove membri di cui soltanto quattro, cioè la minoranza, sono scelti dal governo. La riforma porterebbe a 11 i membri della commissione che seleziona i nuovi giudici, e a otto i membri di nomina politica: in questo modo, il governo avrebbe sostanzialmente il controllo delle nomine dei giudici. Questa seconda parte della riforma è però ancora lontana dall’essere discussa dalla Knesset.
Netanyahu guida il governo più di destra della storia d’Israele, e la riforma della giustizia che ha proposto sta dividendo in modo molto profondo la società israeliana. Netanyahu e i suoi sostenitori ritengono che la riforma sia necessaria per limitare il potere dei giudici, non eletti, sulle decisioni del governo eletto: Netanyahu ha sostenuto in più occasioni che è un potere eccessivo e che viene strumentalmente usato per fini politici, per ostacolare l’attività del suo governo.
Chi si oppone ritiene invece che la riforma di Netanyahu minacci in modo radicale l’equilibrio tra poteri in grado di garantire la tenuta della democrazia. In Israele non esiste una Costituzione, e ci sono solo alcune Leggi fondamentali che sanciscono i diritti individuali e le relazioni tra cittadini e stato. Per questo la Corte Suprema ha un ruolo eccezionalmente importante nella vita politica di Israele, e toglierle potere eliminerebbe uno dei pochi contrappesi al potere del governo in carica.