C’è molto in ballo alle elezioni spagnole
La carriera politica del primo ministro Pedro Sánchez, e la possibilità che per la prima volta l'estrema destra entri nel governo: si vota oggi
Le elezioni politiche di oggi in Spagna sono particolarmente importanti per un buon numero di ragioni. Anzitutto perché potrebbero portare alla fine del governo del socialista Pedro Sánchez, che è in carica dal 2018 e ha trasformato profondamente il paese. Poi perché, secondo i sondaggi, ci sono buone probabilità che Sánchez sarà sostituito da un governo di destra in cui, per la prima volta nella storia della democrazia spagnola, una forza politica di estrema destra e nostalgica della dittatura franchista potrebbe entrare nell’esecutivo, o quanto meno avere un ruolo determinante nella sua formazione e nel suo operato.
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Alle elezioni gli spagnoli e le spagnole voteranno per rinnovare le due camere del parlamento: il Congresso dei deputati, cioè la camera bassa, e il Senato, la camera alta. Il Congresso a sua volta nominerà poi un nuovo governo. I sondaggi danno i partiti di destra in vantaggio, ma raccontano di un esito piuttosto incerto: il numero di elettori indecisi è ancora alto, e c’è la possibilità non indifferente che nessuno dei due schieramenti principali riesca a ottenere la maggioranza. C’è anche la possibilità che il centrosinistra passi in vantaggio, ma questo sarebbe ben più sorprendente.
Le elezioni sono state indette da Sánchez con qualche mese di anticipo sulla fine della legislatura (che si sarebbe dovuta concludere alla fine dell’anno), dopo una grave sconfitta subita dal suo governo alle elezioni locali di maggio.
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Gli schieramenti principali sono due: il centrosinistra è composto dal Partito Socialista (PSOE), che è il partito di Sánchez e che è la storica forza politica della sinistra spagnola, e da Sumar, una nuova coalizione di sinistra più radicale creata alcuni mesi fa dalla ministra del Lavoro Yolanda Díaz, con l’obiettivo di mettere sotto un unico cartello elettorale i molti partiti a sinistra del PSOE: dopo negoziati piuttosto lunghi, questo intento è riuscito e in Sumar sono confluite tutte le forze della sinistra come Podemos, Más País, En Comú Podem e Compromís.
Il PSOE e Sumar non sono in coalizione e si presentano come due partiti distinti, ma hanno ovvi legami. La candidata a presidente del governo di Sumar è Yolanda Díaz, ma è dato da tutti per scontato che, se ci fosse la possibilità di ottenere una maggioranza di centrosinistra, Sumar sosterrebbe Sánchez senza troppi problemi come sta già succedendo nel governo attuale, composto dal PSOE e da Podemos.
Lo schieramento di destra è composto dal Partito Popolare (PP), che è la storica forza del centrodestra spagnolo, e da Vox, un partito di estrema destra molto radicale.
Il leader e candidato del PP è Alberto Nuñez Feijóo (si pronuncia Feihò, con l’h molto aspirata tipica dello spagnolo). Feijóo è stato dal 2009 al 2022 il governatore della Galizia, una regione a nord-ovest della Spagna, ed è unanimemente considerato un conservatore moderato, più interessato alle questioni economiche che alle battaglie culturali. In campagna elettorale è sempre stato molto attento a mostrarsi rassicurante e di buon senso, e ha detto in alcune occasioni che una delle sue qualità è essere «prevedibile». Sui diritti civili, pur avendo posizioni conservatrici anche piuttosto dure, ha cercato di mostrarsi ragionevole, e per esempio ha detto che non intende modificare la legge che in Spagna regola l’accesso all’aborto.
Il problema è che il principale alleato politico del PP potrebbe essere Vox, un partito di estrema destra decisamente reazionario e nazionalista, che è allineato alle estreme destre autoritarie europee (uno dei modelli di Vox è il primo ministro ungherese Viktor Orbán). Vox ha posizioni molto dure e oscurantiste su tutta una serie di temi, è dichiaratamente anti immigrazione, anti femminista ed euroscettico, e soprattutto negli anni passati i suoi sostenitori si sono resi protagonisti di atti violenti, per esempio contro i migranti. Il leader del partito è Santiago Abascal, che ha un ottimo rapporto con la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni.
Anche il PP e Vox corrono alle elezioni come due partiti distinti, ma al contrario di quello che avviene a sinistra i legami tra le due formazioni non sono per niente ovvi. Buona parte della leadership e dell’elettorato del PP guarda a Vox con un certo disagio, e vede nella probabile necessità di allearsi con l’estrema destra per formare il governo un male minore e un compromesso doloroso a cui sottostare per togliere il potere alla sinistra. Questo rapporto per niente facile è stato evidente nelle elezioni locali degli scorsi anni, quando in più di un’occasione il PP si è trovato a decidere in maniera abbastanza convulsa se formare una coalizione con Vox o se accettare l’appoggio esterno del partito.
Nel 2022, nella regione di Castilla-León il PP ha formato il primo governo regionale di coalizione con Vox. L’esperienza si è ripetuta a maggio di quest’anno alle elezioni nella regione di Valencia: pur correndo con un candidato che nel 2002 era stato condannato per violenze e persecuzione contro la sua ex moglie, Vox ha ottenuto un ottimo risultato, e dopo lunghi negoziati è entrato nel governo della regione assieme al PP (il candidato condannato però è stato estromesso su richiesta dei Popolari).
Se il PP e Vox assieme dovessero ottenere la maggioranza in parlamento, non è ancora chiaro come andranno i negoziati.
I sondaggi tuttavia sono ancora piuttosto incerti. I risultati da tenere d’occhio sono quelli del Congresso dei deputati, cioè la camera bassa, che viene eletta con un sistema quasi perfettamente proporzionale. Il Senato invece è eletto con un sistema maggioritario su base regionale, e soprattutto non vota la fiducia al capo del governo.
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Il Congresso ha 350 seggi, e questo significa che per ottenere la maggioranza assoluta ne servono 176. Tra i sondaggi più affidabili al momento ci sono quelli del giornale El País (il CIS, che è storicamente il centro di sondaggi più apprezzato del paese, negli ultimi anni ha avuto alcuni problemi e la tendenza a sovrastimare i partiti di centrosinistra). Secondo il País, a destra il PP potrebbe essere il partito più votato e ottenere 142 seggi; il PSOE 108 seggi; Vox 35 seggi e Sumar 34.
Significherebbe che, prendendo queste stime, il PP e Vox assieme arriverebbero a 177 seggi e raggiungerebbero al pelo la maggioranza assoluta.
Ma stiamo parlando appunto di stime che al momento sono estremamente incerte. Secondo i calcoli del Páis, il PP è dato tra un massimo di 164 e un minimo di 120 seggi; il PSOE tra 132 e 89 seggi, e così via. Quindi benché l’opzione più probabile, ci sono ancora possibilità concrete che la destra non riesca a raggiungere la maggioranza assoluta.
Se non ce la farà, diventeranno importanti i cosiddetti partiti regionali, cioè i partiti più piccoli presenti nel parlamento spagnolo che solitamente rappresentano istanze locali. I più importanti sono i due partiti indipendentisti catalani ERC (di sinistra, con 13 deputati nel Congresso attuale) e PDeCAT (di destra, 4 deputati) assieme ai due partiti nazionalisti baschi Bildu (di sinistra, 5 deputati) e PNV (di destra, 6 deputati). A questi si aggiunge una manciata di partitini ancora più piccoli, spesso composti da un solo deputato, come il partito che rappresenta le Isole Canarie.
Nella legislatura che sta terminando buona parte di questi partiti ha fornito il suo appoggio esterno a Sánchez e al suo governo di centrosinistra ed è risultata fondamentale per la legislatura: il governo Sánchez è un governo di minoranza, che ha potuto approvare le leggi soltanto grazie al voto dei partiti regionali. Questo ha portato a Sánchez anche molti problemi: nel corso della campagna elettorale delle scorse settimane la destra lo ha attaccato soprattutto per aver accettato il sostegno di Bildu.
Se in queste elezioni la destra non dovesse ottenere la maggioranza, i partiti regionalisti potrebbero diventare ancora una volta fondamentali, e contribuire a decidere chi governerà il paese.
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