Le elezioni in Cambogia non saranno vere elezioni
Si vota domenica e si sa già il vincitore: il partito del primo ministro Hun Sen, che governa ininterrottamente da più di 20 anni
Domenica 23 luglio in Cambogia ci saranno le elezioni per rinnovare l’Assemblea nazionale, la Camera bassa del parlamento, che insieme all’altra camera, il Senato, ha il potere di nominare il primo ministro. Ufficialmente i partiti candidati sono 18, anche se si sa già quale sarà il vincitore: il Partito del popolo (PPC), che oggi occupa tutti i seggi in parlamento ed è guidato dall’attuale primo ministro Hun Sen, che governa il paese ininterrottamente dal 1998.
Nei suoi quasi quarant’anni al governo, Hun Sen ha trasformato la Cambogia in un regime autoritario, limitando la libertà di stampa, perseguitando ed escludendo i partiti di opposizione dalla competizione elettorale e usando i tribunali e le forze di sicurezza per intimidire gli oppositori politici. A febbraio di quest’anno Hun Sen aveva ordinato la chiusura di Voice of Democracy, considerato l’ultimo dei media indipendenti del paese. A maggio a subire la repressione era stato il Partito del lume di candela, che sarebbe stato il principale oppositore alle elezioni di quest’anno, escluso per non aver presentato entro i termini previsti i documenti necessari per partecipare al voto (secondo il partito erano accuse pretestuose).
Hun Sen, che ha 70 anni, è un ex comandante dei khmer rossi, i seguaci del Partito comunista cambogiano, che tra il 1975 e il 1979 imposero una violenta dittatura durante la quale furono uccisi circa 2 milioni di persone (un quarto dell’intera popolazione cambogiana del tempo, che oggi invece è di 16,8 milioni di abitanti). È anche uno dei più longevi capi di stato o di governo al mondo. Ottenne il potere per la prima volta nel 1985, poi nel 1993 perse le elezioni contro il partito Funcinpec, guidato dal principe Norodom Ranariddh con cui governò il paese fino al 1997, quando organizzò un colpo di stato e fece sostituire Ranariddh con un altro esponente del partito.
Dal 1998 al 2017 le elezioni furono sempre vinte da Hun Sen tra irregolarità, intimidazioni e mancanza di trasparenza nel voto: in quegli anni comunque era ancora presente un’opposizione credibile. Due partiti in particolare, il Partito del riscatto nazionale e il Funcinpec, riuscirono diverse volte a mettere in difficoltà il primo ministro: nel 2003 il suo partito, il Partito del popolo, ottenne la maggioranza relativa ma non quella di due terzi necessaria per governare e fu costretto a fare una coalizione con il Funcinpec, mentre nel 2013 perse molti seggi a vantaggio del Partito del riscatto nazionale.
Nel 2017 ci fu un cambiamento significativo. Temendo di perdere le elezioni l’anno seguente, Hun Sen fece escludere dal voto il Partito del riscatto nazionale, diventato il principale partito di opposizione, con l’accusa di voler rovesciare il governo e creando di fatto un sistema a partito unico. Alle elezioni del 2018, che la comunità internazionale definì una farsa, il partito di Hun Sen ottenne tutti i seggi all’Assemblea nazionale.
L’attuale situazione politica non è cambiata rispetto al 2018 e quasi sicuramente nemmeno il risultato delle prossime elezioni.
Molti dissidenti, attivisti e i principali leader delle forze di opposizione attualmente si trovano in carcere, agli arresti domiciliari oppure sono fuggiti dal paese. A marzo l’ex presidente del Partito del riscatto nazionale Kem Sokha è stato condannato a 27 anni di carcere per tradimento. Sam Rainsy, dello stesso partito di Sokha, è scappato all’estero e non è ancora tornato per timore di essere arrestato. E a maggio il Partito del lume di candela, considerato una diretta continuazione del Partito del riscatto nazionale, è stato appunto escluso dalle elezioni.
A giugno inoltre l’Assemblea nazionale ha approvato all’unanimità delle modifiche all’attuale legge elettorale che vieteranno a chiunque non andrà a votare a luglio di candidarsi alle elezioni successive. È una mossa che Hun Sen ha definito un modo per convincere i candidati a cariche pubbliche a dimostrare la loro “responsabilità civica”, ma che è stato visto da molti come un ulteriore modo per assicurarsi la vittoria ed evitare un possibile boicottaggio delle elezioni da parte dei suoi avversari.