Continuano a esserci grossi problemi con i crediti del Superbonus
Migliaia di aziende edili non li possono cedere e si trovano con poca liquidità, rischiando di fallire
Nell’ultima settimana in molte città italiane ci sono state alcune manifestazioni organizzate dai comitati che rappresentano i cosiddetti “esodati” del Superbonus. Vengono definiti così perché sono persone penalizzate dai correttivi introdotti dagli ultimi due governi alle regole del Superbonus 110, l’agevolazione fiscale per gli interventi di ristrutturazione che migliorano l’efficienza energetica di case e condomini. C’è chi non può entrare in casa perché il cantiere è stato abbandonato prima della fine dei lavori, e chi è stato costretto a utilizzare tutti i suoi risparmi per coprire le spese non più coperte dai crediti.
Questa situazione è il risultato degli interventi fatti dagli ultimi due governi: prima Mario Draghi e poi Giorgia Meloni hanno cambiato le regole con modifiche via via sovrapposte, spesso confuse e interlocutorie. Il cambio in corsa ha avuto conseguenze per le persone che si sono viste limitare la possibilità di fare i lavori senza anticipare i soldi necessari: le nuove regole, infatti, hanno bloccato il mercato dei crediti, il meccanismo che per due anni aveva favorito l’apertura dei cantieri. È un grosso problema per i beneficiari e anche per le aziende edili: molte sono state costrette ad abbandonare i cantieri nell’impossibilità di pagare gli stipendi.
Il Superbonus al 110 per cento fu introdotto nel 2020 dal secondo governo di Giuseppe Conte. Con questa misura il governo si impegnò a rimborsare la totalità delle somme spese per le ristrutturazioni di edifici residenziali – ville comprese – più il 10 per cento, quindi in sostanza con un contributo aggiuntivo. Poteva essere riscosso in tre diversi modi. Il primo, il più lineare e sicuro, era la detrazione fiscale fatta ai proprietari delle case che pagavano direttamente i lavori di tasca loro: i rimborsi venivano fatti dallo Stato detraendo gli importi dalle tasse dovute negli anni successivi.
Gli altri due modi erano legati alla cosiddetta “cessione del credito”. Uno era lo sconto in fattura applicato dai fornitori e dalle imprese: chi faceva i lavori si accollava il credito fiscale dei proprietari per recuperarlo successivamente dallo Stato sotto forma di detrazione fiscale. L’altro era la cessione del credito di imposta: si poteva trasferire la detrazione fiscale ad altre imprese, banche, enti o professionisti. Attualmente la riscossione è rimasta possibile solo attraverso il primo modo. Gli altri due sono stati cancellati da un decreto-legge approvato lo scorso febbraio.
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Ma già dall’inizio del 2022, prima del blocco introdotto lo scorso febbraio, il mercato dei crediti si era intasato: migliaia di aziende edili si erano prese in carico crediti fiscali nella convinzione di fare un investimento, contando di poterli cedere successivamente a banche o altri intermediari come Poste Italiane guadagnandoci il 10 per cento. Diverse banche, però, erano state costrette a fermare l’acquisto dei crediti dopo aver esaurito il cosiddetto “spazio fiscale”: avevano cioè ricevuto moltissime richieste e comprato un credito totale pari a tutte le tasse dovute allo Stato, senza quindi possibilità di incassarne altro.
In seguito agli interventi del governo, inoltre, molte banche e intermediari avevano deciso di non comprare più crediti, considerati un investimento poco sicuro per via del continuo cambio di regole. Il governo ha tentato più volte di correggere le modifiche per stimolare la ripresa degli acquisti, senza successo. Secondo i dati diffusi dalla sottosegretaria al ministero dell’Economia, Lucia Albano, ci sono 4,42 miliardi di euro di crediti bloccati relativi al Superbonus, ma secondo le associazioni di categoria sarebbero ancora di più.
L’ANCE, l’associazione che rappresenta i costruttori edili, già più di un anno fa aveva proposto alcune soluzioni per sbloccare il mercato, per esempio consentendo alle banche di usare i crediti per pagare non soltanto le loro tasse, ma anche quelle pagate dai loro clienti attraverso i modelli F24 gestiti dalle banche. In questo modo si amplierebbe lo spazio fiscale delle banche che avrebbero la possibilità di acquistare nuovi crediti dalle imprese e sbloccare la situazione. Il governo, però, non ha mai considerato questa ipotesi.
Un’altra possibilità è consentire alle grandi aziende partecipate, come Cassa Depositi e Prestiti, di acquistare i crediti come segnale di fiducia per stimolare il mercato. Era la strategia seguita all’inizio dell’anno da alcune Regioni che avevano iniziato ad acquistare direttamente i crediti, ma anche questa possibilità è stata bloccata dal governo.
Secondo Federica Brancaccio, presidente dell’ANCE, migliaia di imprese hanno bilanci in teoria ottimi, gonfi di crediti fiscali che però non possono essere ceduti e per questo si trovano poi senza liquidità, con il rischio di fallire. «Qui in ballo non ci sono solo le imprese, ma anche le famiglie che non riescono a completare i lavori» dice Brancaccio. «Il governo deve intervenire altrimenti si rischia di lasciare molte persone e aziende senza risposte e senza una soluzione. Serve almeno una proroga dei lavori già iniziati, per far finire i cantieri».
L’ANCE ha segnalato tra le altre cose che il blocco dei crediti ha favorito l’attività degli speculatori: fanno offerte molto basse per acquistare i crediti bloccati delle aziende, che vengono tentate a causa della necessità di avere liquidità anche a costo di perderci un sacco di soldi. Negli ultimi mesi sono state create alcune piattaforme online per favorire la compravendita di crediti fiscali ed evitare le speculazioni, incrociando la domanda e l’offerta. Esistono per esempio SiBonus, promossa dalle Camere di Commercio italiane e dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, e FederBonus, promossa da Federcontribuenti.
Era attesa anche una piattaforma sviluppata da Enel attraverso la controllata Enel X: il 31 maggio un’altra sottosegretaria al ministero dell’Economia, Sandra Savino, aveva assicurato che la piattaforma di Enel X sarebbe stata operativa entro settembre, ma nel frattempo non ci sono state novità.
Secondo Brancaccio, il governo dovrebbe fare una riflessione sul futuro del Superbonus e sul fatto che non può essere accantonato, sia per la necessità di continuare a riqualificare le case e consumare meno energia, sia per evitare di mandare in crisi migliaia di aziende: «Purtroppo però è difficile fare proposte senza sapere quanto lo Stato vuole investire sui bonus edilizi. Dovrebbero essere introdotte limitazioni in base al reddito: agevolazioni al 100 per cento per chi è incapiente [cioè con un reddito così basso da non presentare la denuncia dei redditi, ndr] e una percentuale inferiore per chi invece può permetterselo. Inoltre va ripristinata la cessione dei crediti e lo sconto in fattura».
Nel dettaglio, ANCE ha proposto di mantenere due sole aliquote, il 70 e il 100 per cento, e di rendere più strutturale il Superbonus per i prossimi 10 o 15 anni in modo da dare sicurezza ai contribuenti, spesso spiazzati dai continui cambi di regole. L’associazione propone inoltre l’istituzione dei cosiddetti mutui “verdi”, cioè dedicati ai lavori di riqualificazione energetica, garantiti dallo Stato e con tassi inferiori rispetto ai valori di mercato. Secondo le stime, in questo modo si potrebbero finanziare circa 120mila interventi all’anno con un investimento statale di 20 miliardi di euro, circa la metà dei costi annuali sostenuti fino al 2022. Secondo il Sole 24 Ore, tuttavia, il governo vorrebbe impegnare una somma decisamente inferiore per continuare a finanziare i bonus edilizi: 3 miliardi di euro all’anno.
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