E quindi cosa si dice di “Barbie”?
Dopo un giorno ha incassato più di 2 milioni di euro solo in Italia e anche la critica l’ha accolto piuttosto bene, lodandone comicità e cast
Il 20 luglio è uscito nelle sale italiane Barbie, attesissimo film scritto e girato dalla regista statunitense Greta Gerwig, con Margot Robbie e Ryan Gosling a interpretare rispettivamente “Barbie Stereotipo” – «la Barbie a cui pensi quando pensi a una Barbie» e il suo Ken. Attorno al film era stata montata un’enorme campagna pubblicitaria, e da mesi giravano trailer e brevi videoclip che ne anticipavano l’ambientazione sintetica e coloratissima, ma non era ben chiaro quale fosse la trama né se il film sarebbe stato all’altezza delle aspettative.
Da un punto di vista puramente quantitativo, il film ha già avuto un enorme successo. Secondo i dati Cinetel, associazione che raccoglie quotidianamente le informazioni sugli incassi e delle presenze in un campione di sale cinematografiche di prima visione in tutta Italia, soltanto il 20 luglio per Barbie sono stati venduti 2,1 milioni di euro di biglietti, un numero molto più alto di tutti gli altri grossi film usciti quest’anno. Non si può ancora dire invece se lo stesso sia successo anche negli Stati Uniti, dove esce venerdì. Anche la critica l’ha accolto piuttosto bene, lodandone soprattutto la comicità e il cast.
Dato che Greta Gerwig è nota per le sue storie concentrate su personaggi femminili poco convenzionali, curiosi e ribelli, scontenti delle proprie vite spesso limitate dai ruoli di genere, si poteva immaginare che il suo Barbie avrebbe avuto venature femministe. Ora che è uscito, sappiamo che Barbie è una commedia satirica che si concentra principalmente su due temi: i limiti dei ruoli di genere, sia a livello individuale che collettivo, e le contraddizioni che da sempre accompagnano il giocattolo a cui il film è dedicato.
«Le Barbie sono dei simboli interessanti e complicati», ha detto Gerwig in un’intervista: «Da una parte Barbie viaggiava già nello spazio come astronauta quando le donne negli Stati Uniti non potevano neanche ottenere una carta di credito senza il consenso del marito, il che è fantastico. Ma è anche complesso, perché è un prodotto intriso di consumismo». Il film torna più volte sul tema, implicitamente ed esplicitamente: per il giornalista Rich Juzwiak, «Gerwig esamina il passato di Barbie, l’universo creato dalle bambole e le implicazioni di una società in cui le donne dominano ogni settore e gli uomini sono in secondo piano con un giusto mezzo tra reverenza e derisione». Per Cristina Piccino del Manifesto, l’ambizione di Gerwig sembra essere «quella di decostruire l’iconografia di Barbie in una sorta di coming of age con presa di coscienza del “mondo reale”».
A livello di critica il film ha ottenuto soprattutto giudizi positivi, con qualche eccezione. Gran parte della critica l’ha definito molto divertente, sia per la sua capacità di prendere in giro la Mattel – l’azienda che produce le Barbie e anche il film – pur includendola in un ruolo centrale nella sceneggiatura, sia per la sua rappresentazione bonariamente assurda dei ruoli di genere. Per alcuni è un capolavoro: sull’Independent Clarisse Loughrey ha scritto che «Barbie è uno dei film mainstream più fantasiosi, immacolati e sorprendenti della memoria recente – una testimonianza di ciò che può essere raggiunto anche nelle viscere più profonde del capitalismo». Su Rolling Stone David Fear ha invece scritto che Barbie «sembra essere il blockbuster più sovversivo uscito finora nel ventunesimo secolo».
A essere particolarmente lodati sono stati la colonna sonora, l’ambientazione onirica di Barbieland – il mondo immaginario in cui è ambientata gran parte del film – e l’interpretazione dei due attori protagonisti, ma soprattutto di Ryan Gosling, che secondo diversi commentatori ruba la scena a Margot Robbie. Gosling stesso ha detto di «essere nato per il ruolo di Ken»: su Empire, la giornalista Beth Webb scrive che «ogni flessione dei muscoli, ogni movimento dei capelli, ogni sua strimpellata di chitarra è perfetta. Ci sono momenti in cui toglie il fiato».
Molti hanno fatto notare anche che il film contiene moltissimi richiami che faranno sorridere gli appassionati di cinema (ma non solo): ce ne sono di chiarissimi a 2001: Odissea nello spazio, The Truman Show, Forrest Gump, Grease e molti altri musical del secolo scorso. Altri sottolineano che è un film stratificato, che per sua natura deve essere comprensibile anche a una platea molto giovane ma invita gli adulti a riflettere non solo sul patriarcato – citato esplicitamente nel film – ma anche sugli accostamenti a miti antichi, come quello di Pigmalione o il biblico giardino dell’Eden.
Per chi conosce bene la storia di Barbie in quanto brand, poi, le citazioni sono tantissime: per esempio nella scelta dei costumi ispirati ai veri vestiti della bambola messi in commercio nel corso degli anni, oppure per la scelta di inserire personaggi ispirati a vecchie bambole Mattel tolte in fretta dalla produzione, come quella di Alan, “l’amico di Ken”, o Midge, la bambola incinta amica di Barbie.
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Tra i critici c’è chi ha ritenuto che il film stereotipizzi e derida un po’ troppo i propri personaggi maschili. Altri credono che gli intenti educativi di Gerwig siano troppo espliciti, rendendo la narrazione più macchinosa del necessario. Altri ancora dicono invece di averlo vissuto come una lunga pubblicità il cui scopo principale è vendere prodotti Mattel: su Domani, Teresa Marchesi ha scritto che «l’aureola progressista di Gerwig è strategica per un film inzeppato di product placement, chiamato a veicolare merci e griffe associate di tutti i tipi: valigie, candele, frozen yogurt e sandali Birkenstock, oltre al protocollare merchandising Mattel».