La morte di Pancho Villa, bandito e rivoluzionario
Il 20 luglio di cento anni fa in Messico veniva ucciso uno dei leader della rivoluzione, dal passato violento e avventuroso
Il 20 luglio 1923, cento anni fa, l’ex bandito, rivoluzionario e generale messicano Pancho Villa stava viaggiando a bordo della sua auto nella città di Parral, nel nord del Messico, quando finì al centro di un’imboscata: più di 150 proiettili furono sparati verso l’auto, 14 andarono a segno, uccidendolo. Villa aveva 45 anni, un numero imprecisato di figli e uno anche superiore di mogli (23 quelle certificate, ma secondo altre ricostruzioni furono più di 75). Da tre anni si era ritirato dalla lotta armata, dopo un accordo con il governo che gli aveva garantito una grande villa e un ampio terreno circostante. Era già molto popolare e col tempo sarebbe diventato un mito della storia della rivoluzione messicana. Non fu mai chiarito in modo certo chi organizzò il suo omicidio: Villa si era fatto moltissimi nemici nel corso della sua vita, prima da bandito, poi da guerrigliero anche molto violento e crudele.
Insieme all’altro leader rivoluzionario Emiliano Zapata, fu decisivo nella rivoluzione messicana iniziata nel 1910, che portò alla promulgazione della Costituzione nel 1917 (gli scontri sarebbero proseguiti per altri tre anni). Contribuì alla sconfitta del presidente e generale Porfirio Diaz, che rappresentava gli interessi di latifondisti. E fu autore anche dell’unica incursione militare in territorio statunitense degli ultimi due secoli, quando attaccò la città di Columbus nel New Mexico. Un mistero riguarda anche il suo cadavere: tre anni dopo la morte un militare messicano lo dissotterrò e ne tagliò la testa, che non fu mai ritrovata.
Oggi Villa è celebrato in Messico come uno degli eroi della nazione, le statue equestri che lo ritraggono sono numerose, ma resta un personaggio difficile da inquadrare per storici e biografi. Paco Ignacio Taibo II, un suo biografo, lo ha definito «un rivoluzionario con la mentalità da rapinatore di banche».
Francisco Villa nacque come José Doroteo Arango Arámbula nel 1878 a San Juan del Rio, nello stato di Durango: avrebbe cambiato il suo nome in seguito, da latitante, ispirandosi, secondo diverse versioni, o a suo padrino, o a un militare o a un altro bandito. Era figlio di contadini ed ebbe un’adolescenza già piuttosto animata, con qualche problema con la legge. Quando aveva 16 anni sparò al proprietario dell’azienda agricola dove lavorava la famiglia, ferendolo. Sull’episodio sono nati racconti e leggende, ma ci sono più conferme che l’aggressione armata fu una vendetta per un tentativo di molestia alla sorella minore di Villa, allora dodicenne.
A quel punto Villa si diede alla fuga e alla latitanza, organizzando una banda piuttosto numerosa di ex contadini e altri fuorilegge, attiva negli stati messicani di Durango e Chihuahua. I suoi nemici principali erano i grandi proprietari delle haciendas (grandi aziende agricole) e questo gli procurò una certa fama tra i contadini più poveri e tra gli abitanti dei villaggi a cui erano state espropriate le terre per fare largo ai grandi latifondi. Ancora oggi, nell’immaginario popolare messicano, è celebrato come un difensore dei deboli. Quell’epoca però fu contraddistinta da crimini comuni e violenti.
Nel 1910 si unì alla rivoluzione messicana, che durò dieci anni e vide succedersi attraverso battaglie, colpi di stato e complotti un gran numero di presidenti, dittatori e “generalissimi”. La prima fase della rivoluzione cominciò quando il generale Porfirio Diaz – al potere da 30 anni, pur con qualche pausa – vinse le elezioni battendo Francisco Madero, un ricco proprietario terriero. Madero accusò Diaz di aver truccato le elezioni, e con l’appoggio di altri latifondisti iniziò una rivolta armata.
Madero promise che, una volta ottenuto il potere, avrebbe attuato una riforma agraria e così ottenne l’appoggio di una larga maggioranza di piccoli proprietari agrari e di contadini espropriati delle loro terre che entrarono a far parte del suo esercito rivoluzionario. Tra i primi ad appoggiare Madero ci fu Villa, che venne convinto da un emissario di Madero a schierare la sua banda di briganti con le forze rivoluzionarie.
Per tutti gli anni successivi Villa continuò a guidare i suoi guerriglieri sulle montagne a nord del Messico, sconfiggendo più volte l’esercito di Diaz, fino a diventare brevemente il governatore del Chihuahua. Non era però sempre chiaro il confine tra le attività che Villa intraprendeva come generale rivoluzionario e quelle che compiva come capo di una banda di briganti. In quegli anni gli Stati Uniti appoggiavano apertamente Madero e Villa: Villa operava nelle zone non lontane dal confine e venne più volte rifornito di armi e munizioni dall’esercito americano.
Villa e Emiliano Zapata, che guidava le armate ribelli nel sud del paese, apparivano sui giornali americani dipinti come una coppia di romantici ribelli.
Durante la guerra Villa e le sue truppe si resero però responsabili anche di crimini molto efferati: uno dei più noti è il massacro di San Pedro de la Cueva, nel 1915, quando per ritorsione a un attacco subìto furono uccisi con un’esecuzione sommaria i circa 80 uomini del paese, compresi alcuni ragazzi.
La rivoluzione intanto proseguiva: Madero sconfisse Diaz, ma deluse le aspettative dei piccoli proprietari terrieri e quelle di molti capi guerriglieri, come Villa e Zapata. Prima che i suoi generali potessero ribellarsi, Madero venne assassinato da un altro generale, Victoriano Huerta, che si proclamò presidente. La guerra civile ricominciò nuovamente contro il nuovo presidente, con Villa di nuovo sulle montagne al nord e Zapata e altri generali a sud.
L’esercito di Villa cresceva e diminuiva a seconda delle sue fortune nella guerra. Dopo qualche sconfitta si riduceva a una piccola banda di poche decine o centinaia di uomini che tornavano a darsi al brigantaggio. Qualche vittoria contro le forze governative riportava con lui parecchi soldati, permettendogli di tornare di nuovo a minacciare le grandi città e le basi militari.
Gli Stati Uniti avevano intanto deciso di sostenere un altro presidente e avevano tagliato i rifornimenti a Villa. Per questo e per vendicarsi di un commerciante di armi che gli aveva venduto prodotti difettosi, nel 1916 la banda di Villa decise di compiere un’incursione nella città di Columbus, nel New Mexico: 500 dei suoi uomini attaccarono la città e razziarono un deposito di armi, prima di darsi alla fuga e rientrare in Messico. Gli Stati Uniti organizzarono una spedizione punitiva. Fu la prima prima volta che l’esercito americano utilizzò aerei e camion in un’operazione militare, a cui parteciparono alcuni giovani militari che sarebbero diventati famosi: il futuro presidente Dwight D. Eisenhower e il futuro generale protagonista della Seconda guerra mondiale George Patton.
Villa riuscì a fuggire, ma molti dei suoi comandanti furono uccisi. Senza gli aiuti americani la guerriglia era diventata quasi impossibile. Nel 1919 venne assassinato l’altro famoso comandante dei guerriglieri, Zapata, e Villa rimase uno dei pochi a opporsi al governo dell’ennesimo nuovo presidente, Venustiano Carranza. Quando anche Carranza, che Villa considerava un nemico personale, venne assassinato da alcuni rivali politici, Villa fece sapere al nuovo governo di essere disposto a ritirarsi dalla guerriglia in cambio di un’amnistia.
Nel 1920 Villa si ritirò in una grande hacienda di 25 mila acri (un centinaio di chilometri quadrati) donatagli dal governo, che gli elargì anche una cospicua pensione annua. Tre anni dopo venne ucciso nell’imboscata. La teoria più accreditata è che il mandante fu il proprietario terriero Jesús Herrera, che riunì alcuni nemici personali di Villa e che fu coperto e sostenuto da politici locali e nazionali preoccupati dalla popolarità del leader rivoluzionario fra le classi più povere.
Villa fu sepolto nel cimitero di Parral, ma tre anni dopo il colonnello Francisco Durazo Ruiz organizzò una spedizione notturna per riesumare il corpo, decapitarlo e portarne via la testa, forse per scommessa, forse per ottenere una mai provata ricompensa (sul fatto nacquero varie leggende). La testa non fu mai ritrovata, i resti del corpo nel 1961 furono trasferiti a Città del Messico, nel monumento della Rivoluzione.
Pancho Villa è oggi considerato un eroe della rivoluzione messicana e la sua vita avventurosa ha ispirato un gran numero di film, libri, canzoni, rendendolo uno dei personaggi più noti della cultura popolare messicana.