In Italia la pesca al siluro è sempre più diffusa
È considerata la sfida più impegnativa per i pescatori-turisti, che arrivano anche da altri paesi d'Europa
Il 5 giugno, nelle acque del Po vicino a Revere, in provincia di Mantova, è stato catturato quello che sembra essere il pesce siluro più lungo mai pescato finora: misurava 285 centimetri. Il pescatore, Alessandro Biancardi, ha inseguito il pesce per 40 minuti e poi ha inviato foto e documenti alla International Game Fish Association, la principale organizzazione internazionale dedicata alla pesca sportiva, che deve accertare l’eventuale record mondiale. Biancardi avrebbe anche voluto pesarlo ma, ha detto, «non volevo rischiare di stressarlo troppo», quindi l’ha misurato e poi l’ha liberato.
È una «cosa che abitualmente fanno i pescatori sportivi, anche se non proprio tutti», dice Michele Valeriani, pescatore nel delta del Po e documentarista. Il pesce siluro pescato a Revere dovrebbe misurare quattro centimetri in più del precedente record, se la documentazione verrà confermata.
Non è un caso che quello che sembra essere il pesce siluro più lungo del mondo sia stato catturato nel Po. In Italia, infatti, principalmente nel Nord, la pesca al pesce siluro si è molto sviluppata negli ultimi anni generando anche un notevole indotto. Lungo il Po si trovano zone frequentate da turisti stranieri che trascorrono settimane di vacanza in campeggio, praticando la pesca al pesce siluro con attrezzature sofisticate e costose. Sono soprattutto turisti-pescatori tedeschi e austriaci.
La pesca al pesce siluro è diventata per i pescatori d’acqua dolce il cosiddetto big game, la caccia grossa, cioè l’equivalente fluviale della pesca d’altura al marlin, il pesce delle acque più temperate dell’oceano Atlantico che può raggiungere quattro metri di lunghezza e 1.500 chili.
Marco Falciano fa la guardia giurata ittica volontaria e opera nella zona di Ferrara. Le guardie giurate ittiche sono volontari della FIPSAS, la federazione italiana di pesca sportiva e attività subacquee, e di fatto controllano i corsi d’acqua. «Il siluro è il target a cui tanti pescatori d’acqua dolce puntano» dice Falciano. «Perché catturarlo è una sfida: è grande, forte e poi si cercano di battere i record di peso e lunghezza».
Il nome scientifico è Silurus glanis ed è un pesce alloctono, ossia non era presente nelle acque italiane fino agli anni Cinquanta. Il primo esemplare fu avvistato nel 1956 nel fiume Adda. All’inizio si pensava fosse un pesce gatto, poi si capì che in realtà era un pesce “nuovo”, arrivato grazie al ripopolamento di carpe, tinche e cavedani effettuato negli anni Cinquanta nei laghi italiani. Insieme a quei pesci c’erano anche esemplari giovanissimi di siluro.
I piccoli di siluro venivano anche venduti come esca viva per pescare altri predatori come il luccio e il persico reale, dopodiché al termine della battuta di pesca venivano liberate le esche in acqua e fra queste anche le larve di siluro. Da lì in avanti, i pesci siluro si trovarono in un ambiente decisamente favorevole, si riprodussero e si diffusero velocemente. Vivono sui fondali, amano la fanghiglia, stanno fermi per la maggior parte del giorno. Ora i siluri sono presenti nelle acque di fiumi e laghi italiani dal Nord fino al Centro, ci sono esemplari anche nel Tevere.
Per descrivere un siluro conviene affidarsi agli esperti, i membri del Gruppo siluro Italia: «Presenta una pelle nuda, capace di notevoli mutamenti di colore per aiutare il mimetismo nei diversi tipi di fondale. La pelle è ricoperta da una sostanza viscida e gelatinosa, che oltre a proteggerlo dalle malattie gli permette di scivolare indenne tra massi e ostacoli del fondale». Ha molti denti, piccoli e taglienti. Nella parte interna delle branchie ha una «sorta di rastrelliera appuntita» che non permette a eventuali prede inghiottite di fuggire. Inoltre «ha gli occhi piccoli, per cui ci vede pochissimo, ma ottimo olfatto coadiuvato da sei lunghi barbigli che gli permettono di localizzare con esattezza la presenza di qualsiasi vibrazione in acqua arrivando così sulle prede anche con scarsa visibilità». Esce dal “letargo” invernale quando l’acqua è intorno agli 8 gradi.
Per completare la descrizione, va ricordato che un pesce siluro è davvero grosso: si dice che possa raggiungere i quattro metri, anche se non ci sono prove, e pesare oltre i 200 chili. Ed è un predatore piuttosto vorace. Si nutre di pesci vivi e morti, comunque di qualsiasi cosa che possa trovare sui fondali. Non ha una buona fama. Racconti perlopiù fantasiosi l’hanno reso protagonista di assalti in superficie a cani, bestiame, sommozzatori. Probabilmente sono leggende, però è documentato che nello stomaco di un pesce siluro venne trovato un cormorano e, dice Marco Falciano, «qualche nutria in bocca ai pesci siluro è finita sicuramente».
«È un predatore eccezionale», dice il pescatore Michele Valeriani, «un animale che ha saputo superare l’era glaciale, una macchina da guerra efficiente il cui motto potrebbe essere “poca fatica e tanta resa”». I pescatori spiegano che diventa micidiale per le prede quando i fiumi sono in piena e gli altri pesci si acquattano, cioè rimangono sul fondale al riparo dalla corrente. Il siluro, che caccia con olfatto e udito, si muove invece perfettamente a suo agio.
Periodicamente i giornali riportano allarmi sull’eccessiva presenza di pesci siluro nei fiumi e nei laghi italiani. L’Unione pescatori sportivi del lago di Garda, dopo che un grande pesce siluro morto è stato visto galleggiare vicino a riva, ha diffuso un documento in cui è scritto, tra le altre cose:
La diffusione del siluro europeo nel bacino del lago di Garda sta tristemente progredendo con preoccupante rapidità. È comprensibile che la sorte individuale di un animale possa destare commozione e meritare gli onori della cronaca. Resta tuttavia l’esigenza di far comprendere a tutti, a cominciare da chi per passione frequenta più di altri i fiumi e i laghi, come i pescatori, l’importanza di preservare la fauna autoctona e la biodiversità, messa seriamente a rischio ogni volta che si immette in natura un animale del tutto estraneo al nostro ambiente.
Sulla questione si è espresso anche il WWF di Bergamo-Brescia:
Il 62% dei pesci presenti nei nostri fiumi e laghi è rappresentato da specie alloctone. Pertanto, i pesci come l’alborella, la rovella, il triotto, il vairone italico e ancora, barbo canino e tiberino, savetta, lasca, carpione del Garda, carpione del Fibreno, trota marmorata, rischiano la sopravvivenza o sono già state sopraffatte dai pesci “alieni”.
In realtà, dice Michele Valeriani, «la situazione si è decisamente riequilibrata e in generale negli habitat è avvenuto un riassestamento. Anche perché il siluro, come tutti i predatori, una volta raggiunto il picco di diffusione inizia a mangiare gli esemplari più piccoli della propria specie». Come per le altre specie “aliene”, anche per il pesce siluro sarebbe proibito il cosiddetto catch and release, cioè la pesca e il rilascio in acqua. In pratica si dovrebbe lasciare morire il pesce.
«Però interviene un altro fattore», dice Marco Falciano, «dove si smaltisce un pesce di 100-150 chili? Paradossalmente gettare la carcassa in acqua o lasciarla morta a riva comporterebbe una sanzione più alta di quella che si rischierebbe rimettendo il pesce in acqua». Il Gruppo siluro Italia scrive che il divieto di reimmissione di alloctoni prevede il loro concentramento in siti idonei al contenimento. Ma qualora l’esemplare venga pescato in un territorio in cui non ci sono siti di questo tipo, «potete rifiutarvi di pagare il verbale facendo ricorso».
Le tecniche di pesca per la cattura del siluro sono numerose e sempre più sofisticate. In realtà per la pesca servono solo canne robuste, così come robuste devono essere le altre attrezzature come la girella, che serve a evitare le torsioni del filo, il mulinello, la lenza e i moschettoni. «Ma oggi», dice Fasciano, «alcuni campi-vacanza per pescatori mettono a disposizione barche con ecoscandaglio che individuano il pesce. Attraverso un monitor sulla barca si può vedere il siluro che si stacca dal fondo per venire in superficie. Si utilizzano barche con motori elettrici, silenziosissime e che possono procedere molto lentamente».
I bracconieri provenienti dall’Est Europa – soprattutto Bulgaria, Moldavia e Romania – utilizzano altre tecniche, come gli elettrostorditori. Ogni gruppo di bracconieri è composto da una decina di persone, divise in due squadre. I bracconieri arrivano sull’argine del fiume, di notte, e mettono in funzione questo congegno piuttosto semplice, composto da una batteria per automobili collegata a un trasformatore regolabile. La corrente elettrica passa attraverso due cavi collegati a un retino metallico che viene maneggiato grazie a un manico di gomma.
I bracconieri immergono il retino nell’acqua, i pesci vengono storditi e si avvicinano. In una sola notte di pesca viene catturata una parte consistente della fauna ittica presente in quell’area. Una rete regolare può essere lunga, per legge, fino a 25 metri, le reti dei bracconieri sono lunghe centinaia di metri. È stato scoperto anche l’uso di fertilizzanti agricoli in acqua, per creare una carenza di ossigeno: il pesce nascosto nelle buche o nelle tane tra i canneti viene spinto a muoversi verso le reti e viene intrappolato.
I bracconieri cacciano il pesce siluro per venderlo poi come alimento. Alcuni studi hanno rilevato però che i siluri sono generalmente molto inquinati: assorbono e trattengono nel grasso le sostanze tossiche disperse nelle acque dei fiumi. I siluri catturati dai bracconieri vengono venduti soprattutto nei mercati dell’Europa orientale, ma possono finire anche nei mercati italiani accompagnati da certificati falsi.