Che fine ha fatto la vernice ultrabianca
Era stata presentata 3 anni fa come soluzione per proteggere gli edifici dal calore in modo sostenibile, ma non è mai stata messa in commercio
Santorini è una delle isole greche più famose, sia per la grande eruzione vulcanica che la devastò 3600 anni fa, sia per le piccole case bianche che attraggono migliaia di turisti ogni anno. Riflettendo buona parte della luce solare, mantengono gli ambienti interni relativamente freschi anche nelle torride giornate estive, e per questo sono spesso portate a esempio per dimostrare l’utilità di dipingere di bianco le superfici degli edifici dove fa molto caldo, per mantenerli più freschi in modo sostenibile.
Da un po’ si parla di un tipo di vernice che potrebbe rendere questa tecnica ancora più efficiente, grazie alle sostanze che la compongono che la rendono bianchissima: era stata annunciata circa tre anni fa con grande entusiasmo, ma non è ancora in vendita.
Una prima versione sperimentale di questa vernice, in grado di riflettere il 95 per cento della luce solare, era stata sviluppata nel 2021 da Xiulin Ruan, un professore di ingegneria meccanica alla Purdue University (Indiana, Stati Uniti), insieme al proprio gruppo di ricerca. Alcuni mesi dopo il primo annuncio, Ruan e colleghi avevano detto di essere riusciti a rendere ancora più efficiente la loro vernice portandola a riflettere il 98,1 per cento della luce.
Ad aprile del 2021 il Guinness World Records aveva poi certificato il risultato definendo la sostanza la “vernice più bianca” esistente, un riconoscimento non da poco, per quanto simbolico e diverso da una certificazione scientifica vera e propria. La notizia era stata ampiamente ripresa dai giornali, dando l’idea che il prodotto fosse ormai prossimo alla commercializzazione, mentre in realtà era ancora in fase sperimentale e si stima che continuerà a esserlo per almeno un anno. Il grande interesse intorno alla nuova vernice riemerge periodicamente, soprattutto quando si verificano periodi di grande caldo come l’attuale, perché il prodotto ha diverse potenzialità per ridurre l’impatto delle ondate di calore, almeno secondo i suoi ideatori.
Per comprendere in che cosa la vernice bianca di Ruan è diversa da tutte le altre occorre un rapido ripasso su che cosa fa la luce solare quando raggiunge la Terra. I corpi caldi tendono a cedere energia, ed essendo il Sole di gran lunga la cosa più calda del sistema solare cede di continuo energia a ciò che ha intorno. La emette soprattutto come luce visibile e nel vicino infrarosso (una frazione della radiazione elettromagnetica che non riusciamo a vedere): questa raggiunge la Terra e una parte viene immediatamente riflessa nello spazio circostante, mentre ciò che resta attraversa l’atmosfera e scalda poi la superficie terrestre.
Se i raggi solari raggiungono una superficie molto chiara, come per esempio una casa a Santorini, la loro componente visibile viene in buona parte riflessa (proprio per questo vediamo la casa) mentre una porzione di quella nel vicino infrarosso viene assorbita e fa sì che la superficie si scaldi, un po’ come farebbe col calore prodotto da un termosifone. La casa riceve più calore di quanto riesce a dissiparne e di conseguenza la sua temperatura aumenta, rispetto a quella dell’aria circostante. Se la casa fosse dipinta di nero l’effetto sarebbe molto più grande, perché quasi tutti i raggi solari verrebbero assorbiti, ma è comunque riscontrabile anche utilizzando una normale vernice bianca.
Le vernici impiegate attualmente in edilizia assorbono tra il 10 e il 20 per cento della radiazione solare, di conseguenza non possono impedire completamente il riscaldamento di un edificio. La vernice sviluppata da Ruan assorbe invece meno del 2 per cento della luce solare e ha la capacità di riflettere anche buona parte della luce nel vicino infrarosso. Ciò rende possibile il raffreddamento radiativo, cioè quel processo in cui una superficie riflette quasi completamente la luce solare e al tempo stesso cede calore all’ambiente circostante. È una soluzione di regolazione termica passiva degli edifici indagata da tempo soprattutto in ingegneria e architettura, perché potrebbe rendere possibili sistemi per regolare la temperatura molto efficienti dal punto di vista energetico.
Per dimostrare l’effetto della sua invenzione, Ruan di solito espone per qualche minuto al Sole due superfici, una dipinta con un prodotto già in commercio e l’altra con la sua vernice bianchissima. Misura poi la loro temperatura superficiale, mostrando come la prima sia fino a 8 °C più calda rispetto all’altra ricoperta con la sua vernice, visibilmente più bianca anche a occhio nudo.
La vernice bianchissima è a base di solfato di bario, che si ottiene partendo da cloruro di bario in soluzione con acqua alla quale viene poi aggiunto acido solforico. Si ottengono cristalli che vengono poi miscelati con un legante, in modo da ottenere la vernice vera e propria. Il processo è all’apparenza relativamente semplice, ma Ruan e colleghi hanno lavorato a lungo per trovare la giusta combinazione di cristalli per ottenere una sostanza molto riflettente.
La classica vernice bianca viene di solito realizzata utilizzando il biossido di titanio come pigmento, e per questo viene comunemente chiamato “bianco di titanio”. Offre una buona capacità riflettente, ma non è comunque in grado di riflettere tutte le lunghezze d’onda della luce solare, cosa che invece riesce a fare con maggiore efficienza la vernice a base di solfato di bario sviluppata da Ruan.
Nei tre anni dopo la prima presentazione, il gruppo di lavoro di Ruan ha lavorato non solo per rendere più efficiente la vernice, ma anche per svilupparne una versione più leggera e in grado di aderire ai metalli. L’ambizione è di poterla utilizzare per dipingere aeroplani, treni, automobili e altri veicoli compresi quelli spaziali. Questa ultima versione, e quella originale, non sono comunque ancora in commercio perché deve essere verificata la loro capacità di non sporcarsi troppo e di resistere al tempo.
Ruan ha di recente confermato al New York Times di avere già avviato un accordo commerciale con un’azienda del settore, ma di non potere ancora rivelare il suo nome, nonostante sia passato diverso tempo dalla prima presentazione e dagli annunci che sembravano dare come imminente la commercializzazione del prodotto. Il settore dei materiali per rendere edifici e veicoli più sostenibili è del resto in piena espansione, talvolta con proposte di soluzioni a dir poco creative al punto da lasciare scettici gli esperti sui loro effettivi utilizzi nel mondo reale.
Nel caso della vernice bianchissima le perplessità sono state sollevate sia sull’effettiva capacità di ottenere il raffreddamento radiativo sia sulla presenza del bario. Questo si ottiene per lo più dalla barite, un minerale che deve essere cavato in miniera con processi che portano alla produzione di grandi quantità di anidride carbonica, il gas serra più diffuso e responsabile del riscaldamento globale. La nuova vernice è costituita al 60 per cento da solfato di bario, di conseguenza un uso su larga scala renderebbe necessaria l’espansione delle attività di estrazione del minerale. Ruan sostiene che non sarebbe comunque un grande problema, considerato che anche per ottenere il bianco di titanio delle attuali vernici bianche sono necessarie attività estrattive.
Accade spesso che nuovi materiali ottengano grandi attenzioni, anche se poi il loro uso nella pratica tarda a realizzarsi o non avviene per nulla. L’attenzione è spesso favorita dalla capacità dei centri di ricerca o delle aziende di promuovere la propria invenzione, oppure dal potenziale impatto su problemi discussi e sentiti come quello del riscaldamento globale. Al di là del suo futuro commerciale ancora incerto, la vernice bianchissima non potrà comunque risolvere da sola i problemi del cambiamento climatico, ma potrebbe rientrare nei progetti che integrano più soluzioni per mitigarne gli effetti.