Perché non si riescono a risolvere i problemi dei taxi
Nelle grandi città il servizio è inefficiente e andrebbero aumentate le licenze, ma le amministrazioni sono restie a inimicarsi la categoria
di Angelo Mastrandrea
Alle sette di una sera infrasettimanale di luglio, in fila per un taxi davanti alla stazione di Roma Termini, ci sono alcune centinaia di persone. Sono in gran parte turisti, incolonnati in maniera ordinata. I taxi però non passano. Quando ne arrivano una decina tutti insieme la coda si accorcia, ma nel giro di qualche minuto torna come prima. Attorno alle persone in fila e all’ingresso della stazione i cosiddetti “battitori”, come i tassisti regolari definiscono gli abusivi, propongono corse a prezzi quasi raddoppiati a bordo di auto private senza la necessità di fare file, tutto in nero senza tassametro e con pagamento in contanti.
«È un problema di organizzazione dei turni, se vieni qui alle due di pomeriggio è pieno di taxi perché siamo tutti per strada, alle sei però vanno via tutti», dice Massimo, un tassista dipendente di una piccola cooperativa che preferisce non farsi identificare con il cognome per timore di conseguenze nell’ambiente in cui lavora. A dispetto delle apparenze, comunque, l’ultimo della fila impiega non più di una ventina di minuti a raggiungere la testa e a salire su un taxi.
Secondo gli ultimi dati dell’Autorità di regolazione dei trasporti, relativi al 2019, in tutta Italia ci sono 23mila tassisti con una regolare licenza. A Roma sono 7.774. A questi vanno aggiunti gli autisti del cosiddetto noleggio con conducente (Ncc), che trasportano i clienti solo su prenotazione. A Roma le licenze di questo tipo sono un migliaio, ma le auto a noleggio in circolazione sono molte di più perché gravitano sulla città anche i 650 Ncc che hanno ottenuto la licenza nei comuni della provincia e i 2.700 che l’hanno presa nel resto del Lazio. Tutti hanno l’autorizzazione a trasportare le persone entrando nelle aree a traffico limitato di Roma o passando sulle corsie preferenziali.
Molti degli autisti Ncc lavorano anche per Uber, la piattaforma che in certi paesi dà la possibilità a chiunque abbia un’auto di trasportare persone a pagamento. Dopo le tensioni dei primi anni, tra i tassisti e Uber ora pare esserci una reciproca tolleranza. Quando arrivò in Italia, la piattaforma aveva un servizio, Uber Pop, che permetteva a chiunque di utilizzare la propria automobile come un taxi. Questo provocò grandi proteste tra i tassisti, ma la situazione si tranquillizzò da quando, nel 2017, i tribunali di Roma e Torino accolsero i ricorsi delle associazioni di tassisti e bloccarono il servizio Uber Pop per «concorrenza sleale».
«Tra i tassisti che hanno fatto un mutuo per la licenza e Uber mi schiero con i primi», disse all’epoca Giorgia Meloni. Una sentenza della Corte di giustizia europea ha poi stabilito che Uber deve sottostare alle leggi nazionali, a differenza delle piattaforme che operano in altri settori, come ad esempio Airbnb per gli affitti brevi di appartamenti. Da allora la multinazionale del trasporto, che nell’ultimo trimestre del 2022 ha fatturato 8,6 miliardi di dollari e ha 131 milioni di utenti registrati e 5,5 milioni di autisti in tutto il mondo, ha cambiato la sua politica in Italia: utilizza solo gli Ncc in possesso di una regolare licenza e ha firmato un accordo con itTaxi, una app ideata dall’Unione italiana radiotaxi a cui aderiscono 12mila tassisti in tutta Italia.
A Roma per esempio chi prenota un taxi con Uber vede arrivare un’auto bianca del 3570, che paga una commissione del 7 per cento alla multinazionale con sede a San Francisco, in California. Il 3570 è la più grande cooperativa di radiotaxi della città e prende il nome dal numero di telefono al quale si può prenotare una corsa. Ha 3.500 tassisti soci che stipulano un contratto di servizio pagando una quota mensile di 200 euro, contro i 1.500 soci lavoratori del 6645 e i 300 del 5551. I tassisti che non sono iscritti a nessun radiotaxi attendono invece i clienti alle stazioni o lavorano con altre app come Free Now o Wetaxi, dove un algoritmo fissa il prezzo in base agli orari e alla domanda. Free Now trattiene 2,50 euro a corsa, mentre Wetaxi guadagna un euro per ogni trasporto. È in arrivo un’altra piattaforma che si chiama Bolt, con «commissioni fino al 22 per cento del costo del viaggio», assicura un gruppo di tassisti romani.
«La verità è che i taxi non si trovano perché ci sono tanti turisti e non si riesce a garantire un servizio adeguato per tutta la giornata», dice Nicola Di Giacobbe, coordinatore nazionale del sindacato dei tassisti Unica Cgil. A suo parere è necessario un aumento delle licenze, ma queste non saranno mai sufficienti finché non sarà reso più efficiente il servizio di bus, metropolitane e tram. «Noi tassisti rischiamo di diventare il capro espiatorio della mobilità che non funziona», dice.
A Roma nei primi mesi dell’anno il turismo è tornato a crescere più di prima della pandemia: secondo i dati dell’Ente bilaterale turismo del Lazio, tra marzo e aprile hanno pernottato in città due milioni e 300mila persone, il doppio dell’anno scorso. Tra gennaio e giugno, solo dall’aeroporto di Fiumicino i taxi hanno effettuato 355mila corse. Nel 2019, l’anno prima del Covid, ne avevano fatte 240mila. Le licenze invece sono sempre le stesse dal 2006, quando l’allora sindaco Walter Veltroni (PD) rilasciò le ultime 500, tra dure proteste e scioperi non annunciati: chi ha già la licenza, infatti, era ed è generalmente ostile all’allargamento del numero di tassisti, che significa più concorrenti e una svalutazione del valore delle licenze. Veltroni fu peraltro il primo sindaco in Italia ad applicare il cosiddetto decreto Bersani-Visco del 2006 che avviava la liberalizzazione del settore.
Le legge fu pensata dagli allora ministri dello Sviluppo economico e dell’Economia del governo Prodi, e finora è stata scarsamente applicata. Prevede che i comuni possano «bandire concorsi straordinari per rilasciare nuove licenze a titolo gratuito o a titolo oneroso, anche in deroga alla programmazione numerica qualora questa non sia ritenuta idonea dal comune ad assicurare un livello di offerta adeguato», e possano «disporre turnazioni giornaliere integrative a quelle ordinarie», assumendo sostituti alla guida o collaboratori e rilasciare autorizzazioni temporanee «in occasione di particolari eventi o picchi di domanda». I proventi della vendita delle licenze «sono ripartiti in misura non inferiore all’80% tra i titolari di licenza di taxi del medesimo comune; la restante parte può essere utilizzata dal comune per il finanziamento di iniziative volte al controllo e al miglioramento della qualità degli autoservizi pubblici non di linea e alla sicurezza dei conducenti e dei passeggeri, anche mediante l’impiego di tecnologie satellitari».
Il sostegno dei tassisti è considerato storicamente molto importante dalla politica, che ha sempre fatto molta attenzione a intervenire nel settore per timore di inimicarsi la categoria. Per quanto si tratti di poche persone in numeri assoluti, i tassisti hanno tutta una loro influenza, per la capacità di organizzare proteste efficaci e di far parlare di sé sui media, e anche evidentemente perché hanno la possibilità di parlare ogni giorno con molte persone, i clienti, con cui possono condividere opinioni, critiche, lamentele. Per un’amministrazione comunale, insomma, prendere decisioni impopolari tra i tassisti è considerato generalmente un rischio.
Alle successive elezioni comunali di Roma, quelle del 2008, molte organizzazioni di tassisti sostennero il centrodestra, dall’Uritaxi, il sindacato più rappresentativo, alla Cisal e all’Ugl. Loreno Bittarelli, il presidente della cooperativa 3570, che con i suoi 3.500 iscritti è la centrale radio più grande d’Europa, si schierò apertamente con il candidato a sindaco Gianni Alemanno. In cambio dell’appoggio, chiese di non aumentare il numero dei taxi in circolazione perché non voleva veder diminuire i guadagni e soprattutto svalutare le licenze. «Con il rilascio di duemila nuove licenze durante la sua giunta Veltroni ci ha ridotto alla fame», disse.
Il giorno in cui Alemanno fu eletto sindaco, il 28 aprile del 2008, un gruppo di tassisti lo accolse sulla scalinata del Campidoglio facendo il saluto romano e inneggiando al «Duce». Per le strade di Roma ci furono cortei di auto bianche che suonavano i clacson in segno di esultanza. Lui li accontentò non concedendo neppure una nuova licenza e approvando una delibera che imponeva agli Ncc autorizzati in altri comuni il pagamento per l’ingresso nelle zone a traffico limitato. Anche Virginia Raggi, eletta sindaca per il Movimento 5 Stelle, si schierò con i tassisti: a febbraio del 2017 scese in piazza al loro fianco in una manifestazione contro le auto a noleggio con conducente che si concluse con quattro fermi, tra cui due militanti del movimento di estrema destra Forza Nuova, sette feriti, lanci di bombe carta, vetri spaccati e arredi urbani distrutti.
Nel 2019 Raggi firmò un’ordinanza che dà la possibilità ai tassisti di allungare gli orari nel fine settimana, di ampliare i turni fino a dodici ore contro le otto ore e mezza precedenti e di far lavorare un cosiddetto sostituto di guida, vale a dire un autista senza licenza al quale il taxi viene affidato quando il titolare è assente. Massimo è uno di questi: da dieci anni è impiegato come supplente di tassisti che non possono guidare per problemi di salute o per qualche altro impedimento temporaneo. Come lui, a Roma ci sono circa 900 sostituti di guida che attendono lo sblocco delle licenze per poter uscire dal precariato.
Non sono state riassegnate neppure 120 licenze di tassisti morti o sospesi dal servizio. «Fare un bando per così poche licenze sarebbe solo uno spreco di risorse», sostiene l’attuale assessore alla Mobilità Eugenio Patanè, che pensa ad almeno un migliaio di nuove concessioni, che potrebbero salire a duemila se saranno stabilizzati i sostituti di guida già al lavoro. La giunta comunale sta preparando un bando, ma non ha ancora deciso se concedere le licenze a titolo oneroso, cioè se i tassisti dovranno pagarle, o se invece saranno attribuite attraverso un concorso al termine del quale sarà stilata una graduatoria, com’è già accaduto in passato. Non tutti i tassisti infatti hanno pagato per ottenere la licenza: c’è chi l’ha presa a titolo gratuito partecipando a un bando, chi l’ha ottenuta alla somma stabilita dal Comune e chi l’ha comprata con una trattativa privata da altri tassisti, magari pagandola molto di più.
«Noi siamo favorevoli al fatto che il Comune possa stabilire il costo di una licenza, anche a un prezzo più basso di quello di mercato, perché il ricavato potrebbe essere restituito all’80 per cento alla categoria e il rimanente potrebbe essere utilizzato per migliorare il servizio pubblico, ad esempio acquistando la segnaletica per le fermate», dice Di Giacobbe.
Il prezzo di una licenza venduta dal comune di Roma è di circa 130mila euro e costituisce un titolo che i tassisti possono mettere per esempio a garanzia di un mutuo, e che possono vendere in qualsiasi momento. A fine carriera la vendita rappresenta una sorta di buonuscita e un modo per rientrare degli investimenti fatti, compreso l’acquisto dell’automobile. Se non vengono rilasciate nuove licenze, quelle esistenti moltiplicano il loro valore. Il blocco che dura da vent’anni però ha creato un mercato secondario dove una concessione attiva può arrivare a costare fino a 300mila euro. Se ci fossero più licenze in circolazione il loro prezzo calerebbe, e questa è la ragione principale per cui i tassisti che hanno investito a volte anche centinaia di migliaia di euro per lavorare si oppongono a qualsiasi nuova autorizzazione.
Per Di Giacobbe la soluzione per arginare il principale timore dei tassisti, quello di ritrovarsi tra le mani un foglio pagato decine e a volte centinaia di migliaia di euro che non vale più niente, è nelle mani dei comuni. «Potrebbero essere loro a riacquistare le licenze dai tassisti e gestirle, controllando il servizio ed evitando queste distorsioni», dice.
Per affrontare il problema il sindaco Roberto Gualtieri, del PD, alla fine di maggio ha firmato un’ordinanza che introduce le cosiddette seconde guide, ovvero la possibilità di far circolare la stessa macchina guidata da due diversi autisti, su più turni durante la giornata. Il turno ordinario è di nove ore, mentre quello del secondo conducente è di sette. «Abbiamo l’esigenza di garantire che per il Giubileo del 2025 ci sia un’offerta di taxi adeguata», ha detto Gualtieri durante la presentazione di un’app che dal primo luglio consente di pagare un unico biglietto giornaliero a chi si sposta con più mezzi, dagli autobus ai treni urbani, a taxi, biciclette e monopattini in affitto.
La giunta comunale ha anche approvato un regolamento che dà al Comune la possibilità di definire i turni attraverso una piattaforma web, garantendo un numero adeguato di taxi nei momenti di picco della domanda. «I taxi potranno iscriversi e far circolare la vettura con un ulteriore autista, con turni da quattro a sette ore», ha spiegato Gualtieri durante la conferenza stampa di presentazione. La scelta di una seconda guida è però facoltativa: possono aderire i tassisti che hanno un’auto di loro proprietà o le cooperative per gli autisti che sono soci lavoratori. Perché funzioni è necessario che ci siano molte adesioni. L’idea non pare però riscuotere molto entusiasmo tra i tassisti, restii a condividere con altre persone la loro automobile, a meno che non si tratti di loro familiari.
È stato invece archiviato in via definitiva il cosiddetto ddl concorrenza del governo di Mario Draghi. Prevedeva di promuovere la concorrenza «anche in sede di conferimento delle licenze» e di adeguare l’offerta dei servizi «mediante l’uso di applicazioni web che utilizzano piattaforme tecnologiche per l’interconnessione dei passeggeri e dei conducenti». A luglio del 2022 i tassisti scesero in piazza per contestare il disegno di legge e la direttiva europea Bolkestein, che ha l’obiettivo di liberalizzare i servizi. Lega e Fratelli d’Italia si schierarono dalla loro parte e ottennero la promessa che la norma sarebbe stata stralciata. Poi il governo cadde e la nuova presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che si era schierata ancora una volta con i tassisti, non l’ha più ripresentato.
Prima di Draghi, a deregolamentare il settore dei taxi aprendolo a una maggiore concorrenza, ci aveva provato Mario Monti, quando fu nominato a capo di un governo di tecnici nel 2011 per evitare il rischio di un default dell’Italia. Anche allora i tassisti scesero in piazza al Circo Massimo a Roma e riuscirono a bloccare la riforma.
«Stanno provando da tempo a trasformarci da servizio pubblico a mercato, se finirà così a pagarne il costo saranno le fasce più deboli della popolazione, perché i tassisti non saranno più obbligati a garantire alcune corse ma potranno scegliersi le zone in cui andare e i clienti», dice Emanuele Pagliarin, un sindacalista della Filt-Cgil, che tutela i lavoratori dei trasporti. Il servizio è ora infatti regolato dai comuni, che decidono quante licenze concedere, organizzano i turni di lavoro e determinano le tariffe.
Inoltre, «i tassisti hanno obblighi che sul libero mercato non esistono: ad esempio non possono scegliersi i clienti e non possono rifiutarsi di trasportarli dovunque vogliano andare sul territorio comunale, come invece possono fare le multinazionali del trasporto», spiega Pagliarin. In realtà il sistema è già ibrido, perché molti tassisti lavorano sia con i radiotaxi che con le piattaforme web. «Qualcuno ha anche tre cellulari sul cruscotto, uno per ogni app alla quale è registrato, e sceglie quali corse gli conviene fare», racconta Massimo, che ha solo Free Now (ma dice di utilizzarla poco).
Marco Marani, un tassista milanese con un’esperienza di trent’anni, dice che da quando le piattaforme hanno conquistato il mercato accade di tutto. «Qualche giorno fa mi sono ritrovato insieme a un altro tassista sotto casa di una signora che aveva prenotato con due app diverse», racconta. Accade anche che qualche tassista prenda «più prenotazioni allo stesso tempo e finisca per lasciare qualcuno a piedi». Marani sostiene che questo modo di lavorare «alla lunga non durerà». «Io ho solo il radiotaxi a cui pago un canone mensile di 220 euro e già faccio fatica», spiega.
Secondo i dati forniti dal Dipartimento delle finanze al Dataroom del Corriere della Sera, il 91 per cento dei tassisti italiani dichiara meno di 35mila euro lordi all’anno. Si va dai 20.107 euro medi di Milano ai 9.833 euro di Napoli. A Roma il reddito medio dichiarato è di 15.809 euro, a Bologna di 14.461.
Quando Roberto Mantovani, un tassista bolognese che sui social network si fa chiamare RedSox, ha deciso di pubblicare su Twitter i suoi incassi giornalieri per denunciare l’alto tasso di evasione fiscale tra i suoi colleghi e in polemica con i tassisti che protestano contro l’utilizzo dei pagamenti elettronici, i cosiddetti No Pos, è diventato oggetto di minacce, insulti e diffamazioni provenienti dai tassisti di tutta Italia. L’ultimo dato pubblicato risale all’otto luglio: RedSox ha detto di aver incassato 595 euro lordi in un solo giorno, una cifra che stride con il guadagno medio dichiarato dai suoi colleghi, che è di 288 euro alla settimana.
Di quei 595, 439 euro sono stati pagati con il Pos e i restanti 156 in contanti. RedSox divulga queste cifre anche per dimostrare che la battaglia contro i Pos di molti tassisti è infondata, e che dando la possibilità di pagare con la carta i ricavi aumentano. Per ripicca, qualcuno gli ha tagliato le gomme dell’automobile. Qualcun altro, più di recente, gli ha recapitato a casa una busta piena di escrementi.
“C’è da firmare”
Mi suona il postino.Questa busta contiene una roba morbida, potrebbe essere una cotoletta alla bolognese, una zuppa inglese o una torta di riso?
Non credo di volerlo sapere a tutti i costi. pic.twitter.com/vl7q8HltwW
— RobertoRedSox (@RobertoRedSox) July 10, 2023
Alla Stazione Centrale di Milano la situazione non è molto diversa da quella di Roma Termini. Per salire su un taxi bisogna aspettare una ventina di minuti. La differenza rispetto a Roma è che qui bus, tram e metropolitane sono più ramificati e passano con maggiore frequenza, offrendo per la maggior parte delle persone una valida alternativa.
Il 4 luglio la Commissione monitoraggio taxi del Comune ha presentato uno studio che evidenzia le ore della giornata in cui il servizio va in difficoltà. Nei primi sei mesi del 2023, il tasso di chiamate inevase durante il fine settimana, in particolare nelle ore serali e notturne, è stato del 40 per cento. Nonostante l’aumento dei tassisti in turno, le telecamere dell’area C, nel centro della città, hanno registrato una diminuzione dei passaggi di taxi. Il Foglio ha citato uno studio di Taxiblu, il consorzio di tassisti più grande a Milano, secondo il quale dopo le 18 un terzo delle chiamate rimane inevaso. Dopo una certa ora, anche durante la settimana e specialmente nel weekend, è spesso molto lungo e difficile, quando non impossibile, prenotare un taxi in città.
Per Marani, che è anche rappresentante sindacale di Unica Cgil, il problema non è solo che i taxi non sono sufficienti, ma che in alcune zone i tassisti non vogliono andare perché hanno paura. «Io faccio il turno dalle tre del pomeriggio all’una di notte e so che quando vai all’uscita di alcuni locali della “movida” devi farti il segno della croce», dice. Dopo la mezzanotte, «siamo di fatto l’unico servizio pubblico di trasporto delle persone e non siamo tutelati».
Il sindaco Giuseppe Sala ha firmato un bando che dà la possibilità di condividere i turni di lavoro con un parente. Hanno però aderito appena 91 tassisti sui 5.400 che hanno una licenza a Milano, portando a 420 il numero di auto condivise in città. Una cifra che l’amministrazione comunale ritiene non sufficiente. «Abbiamo fatto tutto ciò che potevamo per aumentare il servizio, dall’ampliamento dei turni alle doppie guide, ma i risultati non sono stati quelli sperati», ammettono all’assessorato alla Mobilità, guidato da Arianna Censi del PD.
Per questo l’11 luglio la giunta di centrosinistra ha approvato la richiesta alla Regione Lombardia di mille nuove licenze per i taxi. A differenza di Roma, che ha la competenza esclusiva sulle assegnazioni, a Milano il Comune deve ottenere l’approvazione della Regione, poiché tutti i bandi riguardano il cosiddetto bacino aeroportuale, un’area che va da Malpensa fino a Linate e Orio al Serio, attraversando 46 comuni e tre province. L’autorizzazione della giunta guidata dal leghista Attilio Fontana non è scontata perché la destra si è sempre opposta all’aumento dei taxi. Le ultime concessioni risalgono al 2003. L’allora sindaco Gabriele Albertini, di centrodestra, chiese alla Regione di approvargli 500 nuove licenze, ma il presidente Roberto Formigoni, anche lui di centrodestra, ne autorizzò solo 228.