La Francia rimborserà chi fa riparare i vestiti invece di buttarli
Il "bonus réparation" andrà dai 6 ai 25 euro e si potrà ottenere nelle sartorie e calzolerie convenzionate, per ridurre gli sprechi
La ministra dell’Ecologia francese Bérangère Couillard ha annunciato che a partire da ottobre in Francia sarà possibile richiedere un “bonus réparation” (“bonus rammendo”) tra i 6 e i 25 euro ogni volta che si sceglie di far rammendare un proprio indumento in una sartoria o calzoleria che aderisce al programma invece di buttarlo via. Ogni anno in Francia vengono buttate via circa 700mila tonnellate di vestiti, due terzi delle quali finiscono in discarica: l’obiettivo del bonus è ridurre questa tendenza e sostenere il settore delle riparazioni di indumenti. Couillard ha detto che spera che il programma incentiverà più negozi a offrire servizi di riparazione.
Il “bonus réparation” è soltanto il più recente tra gli sforzi del governo francese per ridurre la produzione di rifiuti nel contesto della “legge anti-spreco” introdotta nel 2020: finora la Francia ha vietato l’uso di sacchetti di plastica per la frutta e la verdura nei supermercati e le confezioni monouso nei fast food e ha incoraggiato le aziende a pubblicare un “indice di riparabilità” dei propri prodotti per indicare quanto facile sarebbe ripararli invece di comprarne di nuovi. Ha inoltre ordinato la costruzione di fontanelle d’acqua in tutti gli spazi pubblici per ridurre l’uso delle bottiglie di plastica.
La legge è accompagnata da una campagna di educazione e sensibilizzazione sui temi della riduzione dell’acquisto, il riutilizzo e il riciclaggio dei prodotti. Nel 2021 erano entrati in vigore dei bonus simili per la riparazione di elettrodomestici e prodotti tecnologici. Già nel 2015 la Francia aveva vietato ai supermercati di distruggere il cibo invenduto, obbligandoli invece a donarlo a un circuito di redistribuzione.
Il governo ha messo da parte un fondo da 154 milioni di euro da cui attingere i soldi per finanziare il bonus nell’arco dei prossimi cinque anni. A ottobre tutti gli artigiani, i calzolai e i sarti che vogliono aderire al programma potranno iscriversi a una piattaforma gestita da Refashion, un’azienda finalizzata a riformare l’economia tessile per renderla più sostenibile e ridurre l’impatto del cosiddetto “fast fashion” . I negozi che rispondono ai requisiti in termini di competenze otterranno un bollino che segnali ai clienti la propria aderenza al “bonus réparation”.
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Sono già circolati i valori dei bonus per ogni tipo di riparazione: per esempio chi fa riparare il tacco di un paio di scarpe potrà richiedere un rimborso di 7 euro, chi chiederà di far riparare una cerniera potrà chiedere fino a 8 euro.
«Per affrontare la sfida dell’emergenza climatica, l’intero settore ha messo e dovrà mettere in atto una serie di azioni su larga scala: il bonus è una di queste», ha detto a Repubblica Maud Hardy, direttrice di Refashion. «Sensibilizzare i consumatori alla necessità di una moda più responsabile, evitare gli sprechi, prendersi più cura dei vestiti e ripristinare il prestigio del gesto della riparazione sono innegabilmente i mattoni per la costruzione di una strada per un consumo più responsabile».
L’industria della moda, e in particolare la cosiddetta “fast fashion”, cioè la moda a breve termine, che si basa sulla circolazione massiccia a livello globale di abiti alla moda molto economici e di bassa qualità, è una delle attività umane che hanno un impatto ambientale maggiore a livello globale per molti aspetti, tra cui la produzione di acque reflue, le emissioni di gas serra e la dispersione di microplastiche negli oceani. L’impatto ambientale a livello globale del settore (peraltro ampiamente criticato per i numerosi casi di sfruttamento dei lavoratori) è così esteso che la Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite lo ha definito «un’emergenza ambientale e sociale»: e si teme che il problema possa ulteriormente peggiorare, visto che la Banca Mondiale ha stimato che entro il 2050 il totale dei rifiuti prodotti a livello globale ammonterà a 3,4 miliardi di tonnellate all’anno, contro i 2,01 miliardi del 2016.