Jakub Jankto torna a giocare in Italia
Quando il Cagliari concluderà il suo acquisto sarà il primo calciatore apertamente omosessuale nella storia della Serie A, e in questi giorni già se ne è parlato
Lo scorso febbraio Jakub Jankto, calciatore professionista ceco di 27 anni, aveva detto pubblicamente di essere gay. Giocava nello Sparta Praga, a cui era stato dato in prestito dalla squadra spagnola del Getafe. Il suo coming out aveva avuto grande risonanza nel mondo del calcio, dato che era stato il primo calciatore in attività e di livello internazionale a parlare apertamente della sua omosessualità: fin lì i casi simili erano stati rari, e perlopiù riguardanti calciatori non più in attività o di campionati minori.
Per questo la scelta di Jankto di parlarne apertamente ha rappresentato un momento significativo nel processo di riconoscimento di una libertà d’espressione che viene ancora implicitamente negata ai calciatori professionisti da comportamenti prevaricatori, se non apertamente omofobi, e in generale dall’arretratezza culturale di certi ambienti sportivi.
Il suo coming out aveva interessato anche l’Italia, paese in cui Jankto si era affermato come calciatore professionista tra il 2015 e il 2021 — prima all’Udinese e poi alla Sampdoria — e in cui tornerà a giocare nella prossima stagione: il Cagliari, da poco tornato in Serie A, lo sta comprando a titolo definitivo dal Getafe, come confermato martedì dal club. Il centrocampista ceco sarà quindi il primo calciatore in attività dichiaratamente omosessuale nella storia del campionato di Serie A.
Nonostante le rivendicazioni ottenute faticosamente dalle persone omosessuali nella società contemporanea, il calcio è uno degli ultimi grandi ambiti sociali in cui prevalgono ancora i retaggi culturali del passato, e l’Italia non fa eccezione. Per un calciatore il coming out spaventa ancora troppo, non solo all’idea di quello che dovrà subire negli stadi — gli stessi in cui si continuano a rivolgere versi da scimmia ai giocatori neri — ma anche da avversari e addirittura da compagni di squadra: sono tanti i giocatori, anche celebri, che nel recente passato hanno usato toni inadatti o dispregiativi a riguardo.
Di dichiarazioni perlomeno ambigue ce ne sono state anche in questi giorni, proprio dopo la notizia del ritorno di Jankto in Italia. Lunedì il ministro dello Sport Andrea Abodi ha detto in diretta a Radio 24: «La società ancora qualche passo in avanti può farlo. Per quanto mi riguarda [Jankto, ndr] è prima di tutto una persona e poi un atleta. Non faccio differenze di caratteristiche che riguardano la sfera delle scelte personali. Se devo essere altrettanto sincero non amo, in generale, le ostentazioni, ma le scelte individuali vanno rispettate per come vengono prese e per quelle che sono».
Le dichiarazioni di Abodi hanno fatto discutere per i modi e i tempi in cui ha definito l’omosessualità una «scelta personale» e per come ha voluto precisare di «non amare le ostentazioni», pur sapendo che i coming out, a maggior ragione negli ambienti calcistici, sono affermazioni di libertà individuali che possono servire a superare omofobia e pregiudizi fin qui dominanti. Successivamente Abodi ha risposto a chi ne criticava le parole usate scrivendo, fra le altre cose: «Il rispetto è un valore non equivocabile, da garantire. Poi, posso non condividere alcune espressioni del Pride?».
Sulla Stampa di martedì Abodi ha provato a spiegarsi meglio, ha sostenuto il coming out di Jankto e ha ammesso di aver usato parole poco adatte, anche se ha ribadito quelle usate per il Pride dicendo: «Mi auguro di poter esprimere un sentimento nei confronti di certi eccessi estetici. Se gli organizzatori ritengono che questi eccessi possano trovare posto nei Pride mi va bene ma non si può togliere la possibilità di dire che alcune ostentazioni sono eccessive, è il mio pensiero».
Dichiarazioni simili si erano già sentite lo scorso febbraio da parte di Umberto Calcagno, presidente dell’AIC, il sindacato dei calciatori. Calcagno aveva detto: «Non mi piace si debba essere in qualche modo vincolati o obbligati a farlo. Anche in questo caso la cosa più bella è ritrovare la normalità: gli atleti e le atlete non devono essere obbligati a parlare della propria sfera privata solo perché sono personaggi pubblici».
Nel frattempo, in questi mesi, Jankto ha continuato a giocare in Repubblica Ceca, dove ha vinto il campionato con lo Sparta Praga, e ha avuto altre occasioni per parlare di sé. Al Financial Times ha detto: «Il calcio è omofobo, ma confido che con il mio esempio possa migliorare».
– Leggi anche: Perché il coming out di Jankto è importante