Il sistema di luci che sta aiutando a battere i record mondiali nell’atletica
I risultati ottenuti dagli atleti alla Diamond League di Parigi, in cui era impiegato, hanno provocato un dibattito intorno a WaveLight
Un sistema di led luminosi disposti a bordo pista introdotto di recente nell’atletica leggera sta aiutando gli atleti a tenere un passo di gara più veloce, e ha contribuito al miglioramento di tre diversi record in una sola sera della Diamond League che si è tenuta il mese scorso a Parigi. Funziona soprattutto su distanze superiori agli 800 metri, e a Parigi ha aiutato il norvegese Jakob Ingebrigtsen a segnare il miglior tempo sulle due miglia, l’etiope Lamecha Girma a stabilire il nuovo record mondiale sui 3.000 metri siepi e la kenyana Faith Kipyegon quello sui 5.000 metri.
Il sistema, chiamato WaveLight e prodotto dall’omonima azienda, consiste di 400 luci a led disposte a un metro di distanza tra loro lungo tutto l’anello di una pista di atletica, che si illuminano a intermittenza segnando un passo programmato prima della gara, solitamente il tempo del record stabilito in una certa specialità. Le luci aiutano chi corre a tenere un passo costante e rimuovono una parte della fatica mentale necessaria a superare i record. Il sistema è usato anche dagli atleti per ottenere i tempi necessari a qualificarsi a certe competizioni, come le Olimpiadi.
Il sistema è stato pensato inizialmente come uno strumento per allenarsi, aiutando a mantenere un passo costante e permettendo ad atleta e allenatore di concentrarsi su altri aspetti tecnici della corsa, ma dal 2020 è usato anche in competizioni di livello mondiale. Svolge una funzione simile a quella delle lepri, o pacer, corridori che tengono un certo passo per aiutare un altro atleta per un breve periodo di tempo, per poi mollare e perdere la gara. Sono assunti e pagati dai singoli atleti, ma talvolta anche dagli organizzatori degli eventi, a cui interessa che vengano stabiliti nuovi record per dare lustro alle loro competizioni. L’impiego delle lepri è considerato da alcuni un vantaggio eccessivo, e non sono ammessi in alcune gare, fra cui diverse maratone molto importanti e le Olimpiadi.
WaveLight non fornisce un vantaggio aerodinamico agli atleti in gara, a differenza di una lepre umana, che diminuisce la resistenza dell’aria sui corridori in coda, e non presenta le implicazioni etiche sollevate da quello che fondamentalmente è l’ingaggio di una persona che non gareggia per vincere, da alcuni ritenuto contrario allo spirito di una gara onesta.
Il presidente di World Athletics, la federazione che regola l’atletica a livello mondiale, Sebastian Coe, si è detto favorevole all’utilizzo di WaveLight anche perché permette di coinvolgere maggiormente gli spettatori nelle gare. Al New York Times ha detto che secondo lui seguire le luci permette di far capire meglio a un pubblico non esperto quanto sia veloce il passo di un atleta in gara, cosa che altrimenti può essere difficile da valutare, soprattutto in televisione. Ma Coe dubita che il sistema possa essere introdotto a breve alle Olimpiadi o ai Mondiali, dove in palio c’è soprattutto il prestigio della medaglia più che la ricerca di eventuali record, più frequenti in eventi più brevi e secondari.
Bram Som, uno dei principali sviluppatori di WaveLight, non pensa comunque che il sistema rappresenti la fine dei pacer umani (lui stesso lo era, peraltro): perché una brava lepre non deve correre tenendo necessariamente il tempo di un record, ma reagire alle contingenze della corsa, adattarsi alle condizioni degli atleti, cosa che le luci programmate non possono fare.
Nel mondo della corsa, probabilmente il più antico degli sport, ci sono state negli ultimi anni alcune significative innovazioni tecniche che sono state criticate da una parte degli atleti e dai rappresentanti della World Athletics. Oltre a WaveLight, sul quale il dibattito ricalca in parte quello per le lepri, anche certi tipi di scarpe con suole molto spesse e contenenti piastre di carbonio hanno fatto nascere discussioni, soprattutto dopo che aiutarono Eliud Kipchoge a correre una maratona in meno di due ore per la prima volta nella storia, nel 2019.
La maratona corsa da Kipchoge è emblematica di quanto un atleta possa essere assistito nel raggiungimento di un risultato: oltre a correre con scarpe particolarmente elaborate dal punto di vista tecnologico, fu affiancato da 41 lepri, sette per volta, che tennero posizioni segnalate da appositi laser colorati, emessi da una macchina che precedeva il gruppo, che inoltre riduceva la resistenza dell’aria. Tutti questi fattori hanno fatto sì che il tempo raggiunto in quella corsa, pur essendo un risultato storico, non fosse riconosciuto come un record mondiale dalla World Athletics.
Per casi simili esiste il termine “doping tecnologico”, riconosciuto dalla principale associazione che si occupa di doping nello sport, la World Anti-Doping Agency (WADA), e definito come un ingiusto vantaggio ottenuto tramite l’equipaggiamento sportivo. Il concetto si diffuse fra il pubblico per la prima volta fra 2008 e 2010, dopo che moltissimi record nel nuoto furono battuti da nuotatori che indossavano particolari costumi, che per le loro caratteristiche tecniche diminuivano la resistenza e aumentavano il galleggiamento, portando la Federazione internazionale del nuoto a vietarli nelle gare.
Nell’atletica il dibattito ha riguardato principalmente le scarpe, portando la World Athletics ad aggiornare il proprio statuto in merito: il tipo di scarpe con cui corse Kipchoge è stato vietato, e lo spessore massimo della suola e il numero di piastre di carbonio che può contenere sono stati ridotti. Ma solo un anno dopo un nuovo tipo di scarpe con i tacchetti aveva portato a stabilire una nuova serie di record in molte specialità. Diversi ex atleti si sono lamentati del vantaggio offerto agli atleti di oggi da queste scarpe.
C’è chi dice che se tutti gli atleti hanno lo stesso vantaggio, questo non costituisce un vantaggio ingiusto: questo ragionamento vale per piste costruite in modo da far “rimbalzare” gli atleti permettendogli di correre più velocemente, che ovviamente dà lo stesso vantaggio a tutti sul tracciato, come quella utilizzata per le Olimpiadi di Tokyo. La stessa World Athletics nel regolamento sulle scarpe accetta modelli in commercio da almeno quattro mesi, ma non prototipi forniti dai produttori in esclusiva a certi atleti.
Ma se questa giustificazione vale per una singola gara, è più complicata da accettare quando si considera la dimensione storica, quella che emerge quando si parla di record: si potrebbe dire che in effetti questi nuovi sviluppi tecnologici costituiscano un vantaggio ingiusto rispetto agli atleti del passato. Occorre però tenere in conto che come la tecnologia sono progredite anche le tecniche di allenamento, lo studio dell’alimentazione, la costruzione dei tracciati: sarebbe impensabile oggi correre nelle stesse condizioni in cui lo si faceva cento anni fa. Anche il progresso nella produzione delle scarpe è stato costante, e anche escludendo le ultime novità queste sono radicalmente diverse da quelle usate in corse che hanno segnato record storici nei decenni passati.
Quello di WaveLight comunque non è un concetto nuovo: nel 1973 delle luci simili furono usate nelle gare della International Track Association, una federazione di atletica attiva negli Stati Uniti negli anni Settanta, e vi fece ricorso anche il corridore olandese Jos Hermens quando stabilì il record per la maggior distanza corsa in un’ora nel 1976, correndo 20.944 metri.
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