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  • Lunedì 10 luglio 2023

I due protagonisti del Tour de France

Lo sloveno Tadej Pogačar e il danese Jonas Vingegaard sono di nuovo al centro di una rivalità come non se ne vedevano da tempo

Tadej Pogačar e Jonas Vingegaard (AP Photo/Thibault Camus)
Tadej Pogačar e Jonas Vingegaard (AP Photo/Thibault Camus)
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Quando in uno sport si afferma un atleta superiore agli altri c’è sempre il rischio che all’entusiasmo iniziale per il talento mostrato segua un certo fastidio nei confronti del dominio esercitato nella disciplina. Nel ciclismo su strada maschile c’era il concreto pericolo che potesse succedere con lo sloveno Tadej Pogačar, vincitore a 21 anni — un’età a cui molti ciclisti nemmeno sono professionisti — del suo primo Tour de France, la corsa ciclistica più dura al mondo. Pogačar vinse il Tour anche l’anno dopo, nel 2021, e in questi anni ha dominato tante altre gare con qualità e quantità che hanno portato a ragionevoli paragoni con il belga Eddy Merckx, secondo molti parametri il miglior ciclista di sempre.

Nel 2022, però, Pogačar perse il Tour contro il danese Jonas Vingegaard, che in quella corsa si dimostrò tanto superiore ed eccezionale quanto lui, e che con lui fu protagonista di una spettacolare rivalità per la maglia gialla, lo storico simbolo del primato nella classifica generale. Ed era dalla fine di quella sfida che gli appassionati attendevano questo nuovo Tour per vedere un nuovo duello tra i due migliori corridori da corse a tappe di questi anni.

Vingegaard e Pogačar (AP Photo/Thibault Camus)

Finora, dopo la prima delle tre settimane di corsa, le attese sono state ripagate: Pogačar e Vingegaard si sono confermati corridori superiori e si sono sfidati ogni volta che ne hanno avuto possibilità, anche a decine di chilometri dal traguardo. Il primo grande attacco in salita lo ha fatto Vingegaard, guadagnando circa un minuto su Pogačar, cosa che aveva portato molti a parlare di un Tour se non proprio chiuso comunque nemmeno troppo aperto. Invece in due tappe successive Pogačar ha attaccato e staccato a sua volta Vingegaard in salita, come non gli riusciva da ormai diverse tappe.

Lunedì al Tour è la prima giornata di riposo, ma da martedì iniziano le due settimane finali verso l’arrivo del 23 luglio a Parigi. Vingegaard è campione in carica, indossa la maglia gialla e ha un esiguo bottino di 17 secondi di vantaggio su Pogačar, che però ha dalla sua l’inerzia degli ultimi giorni e il vantaggio, inimmaginabile fino a due anni fa, di non essere arrivato da favorito a questo Tour de France.

A livello ciclistico, nel loro essere entrambi fenomenali, Pogačar e Vingegaard hanno alcune differenze, piccoli e perlopiù presunti punti deboli e qualità immense più o meno accentuate. Più che per queste, però, c’è da aspettarsi che a decidere il Tour saranno le tattiche, le squadre, lo stato di forma e soprattutto la componente psicologica. I due, peraltro, sono caratterialmente molto diversi, in una diversità che come in ogni grande rivalità è probabilmente intensificata ma comunque ben evidente: Vingegaard è molto riservato e almeno in apparenza quasi glaciale; Pogačar è estroso, estroverso e quasi sempre sereno, anche nelle rare occasioni in cui gli capita di non vincere.

Pogačar e Vingegaard (AP Photo/Daniel Cole)

Pogačar ha 24 anni ed è stato più volte presentato come un ciclista vicino alla perfezione. Oltre a due Tour de France, in carriera ha già vinto più di sessanta corse, comprese tre delle cinque corse di un giorno note come classiche monumento: il Giro di Lombardia (due volte), la Liegi-Bastogne-Liegi e il Giro delle Fiandre. È realistico pensare che dedicandoci la preparazione necessaria possa vincere le due che gli mancano, e rivincere più volte ognuna delle gare che già ha vinto.

Pogačar ha una completezza atletica e una varietà e ricchezza di vittorie che fino a qualche anno fa si sarebbero dette “d’altri tempi” e ritenute oggi pressoché impossibili per questi. Dopo il secondo posto al Tour del 2022 (in cui diede comunque grandissimo spettacolo nel cercare di staccare Vingegaard, che quell’anno era più forte di lui), Pogačar aveva iniziato il 2023 con altre ottime prestazioni, per poi doversi fermare dopo la frattura del polso sinistro in una caduta a fine aprile alla Liegi-Bastogne-Liegi.

Insolitamente per i suoi standard, Pogačar è quindi arrivato al Tour da sfavorito, o perlomeno senza essere considerato il primo favorito. Perché dopo la caduta ha corso solo due gare: i Campionati nazionali sloveni, in linea e a cronometro, di fine giugno.

Pogačar (AP Photo/Christophe Ena)

Vingegaard ha 26 anni e quando ne aveva 21 — l’età in cui Pogačar vinse il suo primo Tour — ancora alternava la pratica ciclistica al lavoro di inscatolamento ittico nel porto di Hanstholm. Nel 2017 si era rotto un femore, nel 2018 aveva subito una commozione cerebrale e solo nel 2019 divenne professionista con la sua attuale squadra, la Jumbo-Visma. Cresciuto in un paese, la Danimarca, in cui l’altitudine massima è di 170 metri, eppure eccellente scalatore, Vingegaard corse il suo primo Tour nel 2021: lo finì secondo a cinque minuti da Pogačar, mostrando però in più occasioni di poterne tenere la ruota, riuscendo perfino a staccarlo negli ultimi metri della salita al Mont Ventoux. Nel 2022 Vingegaard vinse il suo primo Tour grazie a un efficacissimo gioco di squadra, che però si fondò sulla sua grande forma e sulla sua capacità di rischiare il tutto per tutto per recuperare lo svantaggio. Vingegaard si mostrò anche capace di gestire la pressione e i tanti attacchi con cui Pogačar animò la corsa.

A differenza di Pogačar, Vingegaard finora ha approcciato il Tour de France considerandolo l’unico grande obiettivo della sua stagione. Nel 2023 ha partecipato (spesso dominandole) a corse a tappe propedeutiche al Tour, evitando le classiche monumento. Questo aspetto, insieme alle sue fenomenali prestazioni al Tour del 2022 e alla forza della Jumbo-Visma, lo rendevano il grande favorito di questa edizione.

Vingegaard (AP Photo/Daniel Cole)

Il 5 luglio, dopo il grande attacco di Vingegaard sul Col de Marie Blanque, nei Pirenei, Vingegaard aveva confermato i pronostici e addirittura era andato oltre, staccando Pogačar con una forza e un’efficacia tali che si era parlato di un Tour ormai quasi deciso. Alexandre Roos dell’Équipe aveva parlato per Pogačar di «aria di requiem»: Vingegaard sembrava in effetti di un altro livello rispetto a un Pogačar forse non ancora al meglio per via di una preparazione complicata e accorciata dalla frattura al polso. Pogačar aveva contenuto i danni e, numeri alla mano, era ancora della partita, ma il tanto atteso duello sembrava destinato a essere troppo impari per potersi davvero verificare. Non perché Vingegaard aveva guadagnato un minuto sul rivale, ma per come ci era riuscito.

Ci si aspettava che il 6 luglio, altro giorno pirenaico con il passaggio sullo storico e scenografico Col du Tourmalet, Vingegaard avrebbe attaccato di nuovo Pogačar, in quello che sempre Roos aveva presentato come un possibile «colpo di grazia a un animale ferito» ma ancora pericoloso, così da «distruggere le ambizioni di maglia gialla di Pogačar e soffocare ogni futura possibilità di ribellione».

Insieme con la sua squadra, Vingegaard ci ha provato, ma Pogačar gli è sempre rimasto vicino, per poi attaccarlo con successo negli ultimi chilometri dell’ultima salita, sovvertendo quanto successo il giorno prima. Domenica 9 luglio, nella tappa con arrivo sul Puy de Dôme, un vulcano del Massiccio Centrale su cui il Tour mancava da 35 anni, Pogačar è riuscito un’altra volta a togliersi Vingegaard dalla ruota e guadagnare altri otto secondi: pochi in termini assoluti, ma importantissimi a livello psicologico e forse – visto come sta andando questo Tour – determinanti quando a Parigi si faranno i conti finali su questo duello.

(EPA/PAPON BERNARD / POOL)

Non c’è modo di sapere perché un giorno Vingegaard abbia staccato di netto Pogačar in salita e in due tappe successive Pogačar sia invece riuscito a staccare Vingegaard. C’entrano le difficoltà e le crisi che un corridore può avere durante una gara estenuante come il Tour, la psicologia o la reazione a diversi tipi di condizioni. Senz’altro c’entra il fatto che i due, nel cercare di avere la meglio uno sull’altro, consapevoli del livello dell’avversario, si spingono costantemente fino e forse perfino oltre i propri limiti, consapevoli di doversi tenere energie da usare nelle restanti settimane ma altrettanto coscienti del fatto che per staccare l’altro è necessario andare “fuori giri”.

In termini assoluti, Vingegaard è forse uno scalatore migliore rispetto a Pogačar, specie su salite dalle grandi pendenze, e Vingegaard ha avuto fin qui una squadra più forte in salita. Pogačar è migliore in volata e spesso ha la meglio su strappi brevi, ed è inoltre un corridore a cui sono più volte riusciti grandi attacchi in solitaria, da lontano. Entrambi, però, hanno già fatto vedere di saper rischiare e azzardare pur di sfidarsi; entrambi sono inoltre ottimi discesisti ed eccellenti a cronometro (una specialità a cui questo Tour dedicherà poco più di 20 chilometri, in parte in salita, il 18 luglio).

Per il resto, da qui a Parigi sarà pieno di tappe in cui Pogačar e Vingegaard potranno sfidarsi: la più imminente sarà quella del 14 luglio con arrivo sul Grand Colombier, ma da martedì e fino al 22 luglio (giorno della tappa attraverso i Vosgi con arrivo sul Markstein) non mancheranno arrivi in salita, tappe alpine con dislivelli di migliaia di metri e anche tappe sulla carta meno estreme ma che i duellanti per la maglia gialla potrebbero aprire a scenari imprevisti.

Intanto, nelle loro diversità caratteriali e da co-protagonisti di quello che sembra poter essere un duello appena iniziato, Pogačar e Vingegaard continuano ad apparire in ottimi rapporti l’uno con l’altro. L’anno scorso, quando Pogačar cadde in discesa in una delle tappe in cui aveva provato in ogni modo a staccare Vingegaard (senza riuscirci), il danese rallentò per aspettarne il rientro. E anche quest’anno i due si sono fin qui scambiati complimenti reciproci prima e dopo essersi attaccati e staccati a vicenda.

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