La ricostruzione più completa sul naufragio di migranti in Grecia
Quello in cui morirono più di 500 persone: alcuni giornali europei hanno confermato i dubbi sull'approccio della Guardia costiera greca
Lunedì un gruppo di lavoro formato da diversi giornali europei e dall’istituto Forensic Architecture ha pubblicato una ricostruzione estremamente dettagliata del naufragio di un ex peschereccio con a bordo più di 700 migranti avvenuto a metà giugno al largo di Pilo, in Grecia. Il naufragio è stato uno dei più gravi nella storia recente del Mediterraneo: sono stati recuperati 82 corpi di persone che erano a bordo, mentre i dispersi sono stati circa 500.
I risultati dell’inchiesta sono in linea con quanto scoperto nelle scorse settimane da altri giornali internazionali che hanno approfondito le circostanze del naufragio, su tutti il New York Times e BBC News. Tutte le testimonianze sembrano indicare che l’ex peschereccio sia affondato a causa di una manovra maldestra da parte della Guardia costiera greca, intervenuta con una propria nave martedì 13 giugno.
Alla ricostruzione hanno lavorato fra gli altri il Guardian, la tv pubblica tedesca e il sito di news greco Solomon, specializzato in giornalismo investigativo. Forensic Architecture, un progetto dell’università di Londra che in passato ha ricostruito con modelli grafici 3D diversi incidenti legati alla migrazione nel Mediterraneo, ha contribuito creando una ricostruzione grafica del naufragio. L’inchiesta si basa su più di 20 interviste a persone sopravvissute al naufragio, oltre che su testimonianze di diversi funzionari governativi che hanno preferito rimanere anonimi.
L’ex peschereccio era partito circa sei giorni prima del naufragio, avvenuto nella notte fra il 13 e il 14 giugno. Circa metà delle persone a bordo proveniva dal Pakistan. L’ex peschereccio era partito dalle coste della Libia orientale, era diretto in Italia e quando venne intercettato da una nave della Guardia costiera greca stava procedendo piuttosto faticosamente: diverse persone a bordo hanno raccontato di frequenti guasti al motore.
Le interazioni fra la Guardia costiera greca e le persone a bordo non sono ancora state chiarite del tutto. Secondo le leggi europee e greche, l’equipaggio della Guardia costiera avrebbe dovuto mettere in salvo le persone a bordo, trasportandole sui propri mezzi, per poi farle sbarcare in Grecia. Questo non è avvenuto: secondo una persona che era a bordo dell’ex peschereccio, agenti della Guardia costiera avrebbero spiegato che stavano per trainarli fino alle acque italiane, dove sarebbero stati presi in carico dalle autorità italiane. Il governo italiano e la Guardia costiera italiana non hanno mai riferito di essere state coinvolte nell’operazione di soccorso in questione.
A quel punto, secondo molte testimonianze raccolte, la nave della Guardia costiera greca avrebbe provato a fissare una corda alla prua dell’ex peschereccio, cioè la sua parte anteriore, in modo da poterla trainare. Durante un primo tentativo la corda si sarebbe spezzata. Poco dopo però l’equipaggio della Guardia costiera greca sarebbe riuscito a fissare una corda, e a trainare l’ex peschereccio per qualche decina di metri.
Questa circostanza è stata confermata sia dai testimoni sentiti dal Guardian e dagli altri giornali europei, sia da 7 sopravvissuti interrogati dalle autorità greche fra il 17 e il 18 giugno, sia da due fonti anonime interne alla Guardia costiera greca. Queste due fonti hanno raccontato al Guardian e agli altri giornali che proprio il tentativo di trainare l’ex peschereccio con una corda aveva causato il naufragio.
Il traino di una imbarcazione in difficoltà non è un’operazione così rara, ma nel soccorso in mare si compie soprattutto nei confronti di imbarcazioni di piccole e medie dimensioni a breve distanza dalle coste: è uno dei metodi più utilizzati, per esempio, dalla Guardia costiera italiana e dalla Guardia di Finanza per le imbarcazioni in difficoltà individuate nei pressi di Lampedusa, la piccola isola italiana nel Mediterraneo centrale.
Ma lanciare una corda per trainare un peschereccio carico di migranti in mezzo al mare è un’operazione molto più rischiosa: normalmente chi soccorre queste imbarcazioni si ferma a distanza, per non provocare onde che possano compromettere l’equilibrio dell’imbarcazione – sono spesso imbarcazioni molto precarie, con sopra molte più persone del carico previsto – e si avvicina poi con barche più piccole, su cui vengono fatte salire le persone soccorse. Nelle barche sovraffollate basta che un gruppo di persone si sposti da una parte all’altra perché la barca perda l’equilibrio e si ribalti.
Sembra che all’ex peschereccio sia successo proprio questo: durante il secondo tentativo l’ex peschereccio trainato dalla nave della Guardia costiera si sarebbe mosso «come un razzo», secondo un testimone, poi avrebbe iniziato a oscillare fino a ribaltarsi. Una successiva manovra della Guardia costiera greca avrebbe poi generato delle onde che avrebbero spostato ulteriormente l’ex peschereccio, facendolo affondare con decine di persone ancora intrappolate al suo interno.
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La presenza di una corda era emersa già nelle primissime testimonianze dei sopravvissuti. La Guardia costiera greca aveva inizialmente smentito questa versione, sostenendo che la nave intervenuta si sarebbe mantenuta a una «discreta distanza» dall’ex peschereccio. Successivamente le autorità portuali greche avevano dato una versione ancora diversa, dicendo che era stata effettivamente usata una corda per verificare le condizioni dell’imbarcazione e tentare un rimorchio, ma le persone a bordo l’avrebbero slegata perché non volevano essere portate in Grecia e volevano continuare il viaggio verso l’Italia.
La Guardia costiera greca non ha ancora commentato l’inchiesta del Guardian e degli altri giornali europei.