Il nuovo tentativo del governo di aggirare le gare per le concessioni balneari
Sta lavorando a una nuova mappatura delle spiagge per dimostrare che non serve rimetterle a gara, ma ci sono dei problemi
Lo scorso 4 luglio si è tenuta la seconda riunione del “tavolo tecnico” di Palazzo Chigi incaricato dal governo di discutere l’annosa questione delle concessioni pubbliche agli stabilimenti balneari. Il problema principale da risolvere dovrebbe essere quello di capire come l’Italia debba recepire la cosiddetta direttiva Bolkestein, approvata nel 2006, che impone agli stati membri dell’Unione Europea di liberalizzare le concessioni demaniali, come appunto quelle balneari sulle spiagge: in Italia invece le concessioni balneari vengono prorogate da decenni in modo quasi automatico sempre agli stessi proprietari, peraltro con canoni d’affitto molto bassi.
In realtà il governo sta cercando un modo per non recepire la direttiva Bolkestein, o comunque per aggirarla, ed evitare di aprire le concessioni balneari già esistenti a gare pubbliche: è soprattutto un modo per non scontentare gli attuali proprietari di concessioni balneari, una categoria che da anni si è dimostrata molto influente sulle scelte della politica.
Sul mancato recepimento della direttiva Bolkestein nel 2020 la Commissione europea aveva avviato una procedura d’infrazione contro l’Italia, che rischia ancora pesanti sanzioni se non trova una soluzione. Il lavoro di queste settimane del tavolo tecnico sembra voler per la prima volta cercare un accordo che soddisfi almeno in parte le richieste dell’Unione Europea, ma con un espediente che ha diversi problemi, e che non è detto funzioni.
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Gli argomenti con cui la maggioranza sta tentando di aggirare la direttiva Bolkestein riguardano la sua interpretazione. La Bolkestein dice in sostanza che uno stato europeo deve garantire gare pubbliche trasparenti sui beni demaniali nel caso in cui «il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali». Il governo sta sostenendo da mesi che la Bolkestein non si possa applicare al caso italiano perché le «risorse naturali», cioè le spiagge, non sarebbero “scarse”: ci sono ancora spiagge libere che potrebbero essere messe a gara, dice il governo, prima di rimettere a gara quelle già assegnate.
È una tesi piuttosto difficile da sostenere e che appare perlopiù strumentale, anche perché la procedura d’infrazione contro l’Italia dimostra che l’Unione Europea considera già le spiagge italiane una risorsa “scarsa”.
Nonostante esista già una mappatura delle spiagge italiane piuttosto recente, del 2021, ora il tavolo tecnico sta lavorando per produrne una nuova, cercando di tenere in considerazione parametri diversi da quelli precedenti per arrivare a dimostrare la propria tesi: l’idea è quella di fare una mappatura del territorio comune per comune, oltre che su base nazionale, per poter poi chiedere all’Unione Europea di mettere a gara la concessioni balneari soltanto nelle zone in cui si verifica un’effettiva carenza di spiagge libere.
Il tavolo tecnico non è un organismo indipendente: è composto da due rappresentanti indicati da ognuno dei ministri competenti (Infrastrutture, Economia, Imprese, Ambiente, Turismo, Politiche del mare, Affari regionali e Affari europei) e presieduto dal capo dipartimento per il coordinamento amministrativo della presidenza del Consiglio. È perciò fortemente influenzato dagli obiettivi del governo.
La mappatura comune per comune non è un’idea campata per aria: è una possibilità in linea con le regole della Bolkestein, secondo quanto scritto nella sentenza con cui lo scorso 20 aprile la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva ribadito che l’Italia non può rinnovare automaticamente le concessioni balneari. Il problema è che il governo si è concentrato solo su quel passaggio, sperando di poter dimostrare che in alcune zone d’Italia non è necessario rimettere a gara le concessioni, ma sta sostanzialmente ignorando il resto della sentenza che impone il divieto di rinnovare automaticamente le concessioni già in essere.
Anche la mappatura comune per comune però in Italia potrebbe presentare dei problemi: al momento ogni regione ha imposto una diversa percentuale di spiagge da mantenere libere, mentre il governo vorrebbe imporre una percentuale unica valida in tutte le regioni, in modo da dover mettere a gara il numero minore possibile di concessioni. C’è anche il rischio che venga occupato dagli stabilimenti balneari un numero eccessivo di spiagge, con conseguenze potenzialmente dannose per l’ambiente.
Ci sono poi problemi legati alle competenze dei comuni sulle concessioni: anche se rientrano nel demanio dello stato, infatti, negli anni le concessioni sono state affidate in delega alle regioni, che a loro volta le hanno delegate ai comuni, che sono quindi responsabili in ultima istanza dei bandi e delle assegnazioni. Visto che possono farlo, alcuni comuni come quello di Santa Margherita in Liguria hanno già annunciato di voler cominciare a preparare i bandi per rimettere a gara le concessioni entro la fine del 2023, come imposto da una sentenza del Consiglio di Stato, l’organo di secondo grado della giustizia amministrativa italiana.
Il governo di Giorgia Meloni le aveva comunque prorogate fino alla fine del 2024, ma lo stesso Consiglio di Stato aveva poi dichiarato illegittima quella proroga. C’è insomma una certa incertezza su cosa debba prevalere tra le decisioni del governo da una parte e le imposizioni del Consiglio di Stato e dell’Unione Europea dall’altro. Parte di questa incertezza potrebbe essere risolta quando il governo concluderà la nuova mappatura e la presenterà agli organi competenti dell’Unione Europea, che però verosimilmente non accetterà proroghe delle concessioni esistenti.
Il governo ha fatto sapere che ci sarà un nuovo aggiornamento sulla mappatura il prossimo 20 luglio e che intende finirla entro l’estate.