Il dibattito attorno ai fondi del PNRR per la creazione di alloggi per studenti
Il piano prevede 60mila nuovi posti letto entro il 2026, ma le associazioni studentesche temono che la mancanza di regole chiare sarà un problema.
di Elena Baudinelli
Negli ultimi mesi diverse associazioni studentesche hanno criticato il piano che prevede lo stanziamento di 960 milioni di euro per finanziare la creazione in tutta Italia di circa 60 mila nuovi posti letto per studenti universitari entro il 2026. Il piano fa parte del PNRR (piano nazionale di ripresa e resilienza) ed è considerato piuttosto ambizioso per un paese come l’Italia in cui la mancanza di alloggi per studenti è un problema di cui si discute da anni. I fondi stanziati, che dovrebbero coprire le spese affrontate da enti pubblici e privati nella creazione degli alloggi, sono da spendere in due fasi. La prima si è conclusa a febbraio, ma la Commissione Europea non ha ancora versato i 300mila euro concordati per finanziarla, sostenendo di voler prima concludere alcune verifiche riguardo diversi aspetti pratici del progetto. La seconda fase si è aperta a maggio: 660 milioni di euro per la realizzazione di ulteriori 52mila posti, ma la legge che la disciplina non dà sufficienti dettagli su alcuni aspetti importanti del piano.
Le critiche delle associazioni studentesche si sono concentrate soprattutto sul coinvolgimento dei privati, perché si teme, per esempio, che senza regole precise – o molto vaghe come quelle previste finora dal PNRR – il prezzo degli studentati diventi inaccessibile per gli studenti che provengono da famiglie meno abbienti. Anche altri enti hanno criticato parti del piano. Patrizia Mondin, presidente di Er.Go, l’agenzia regionale per il diritto allo studio dell’Emilia-Romagna, ha detto per esempio a IRPI Media che «il rischio è che si crei un doppio standard: le residenze pubbliche sono viste come prerogative dei poveri, a cui si danno alloggi che non hanno alti standard, poi ci sono gli studentati di lusso privati, con tantissimi servizi».
In Italia il numero di residenze per studenti, appena 40 mila, non è in grado di soddisfare la domanda di circa 700 mila studenti fuorisede. Ogni anno ci sono molti studenti che rimangono senza alloggio nonostante rispettino i requisiti previsti dagli enti per il diritto allo studio.
C’è poi un altro aspetto importante da considerare: negli ultimi anni la diffusione in molte città italiane del fenomeno degli affitti brevi come Airbnb e Booking ha permesso ai proprietari di case di guadagnare molto di più rispetto al passato. Sempre più case sono affittate ai turisti per periodi molto brevi, e vengono tolte dalla disponibilità di studenti e lavoratori che cercano alloggio per periodi più lunghi. L’offerta di affitti a lungo termine si è progressivamente ridotta e ha comportato un aumento dei prezzi.
Una città esemplare di questa tendenza è Firenze. Secondo i dati di HousingAnywhere nel secondo trimestre del 2023, rispetto allo stesso periodo nel 2022, gli affitti sono aumentati del 21,4 per cento per un appartamento, del 10 per cento per una camera e del 33,3 per cento per un monolocale. Questo ha reso sempre più difficile per uno studente trovare un alloggio e trovarlo a prezzi accessibili.
Il problema, come detto, è aggravato dal fatto che in Italia c’è un numero molto basso di residenze studentesche, almeno se confrontato con quello di altri paesi europei. Secondo il report di Eurostudent VII del 2021, in Italia gli studenti che vivono in residenze sono meno del 5 per cento, rispetto al 12 della Germania e il 30 dei Paesi Bassi. Per raggiungere gli standard europei servirebbe un aumento massiccio delle residenze, ma gli enti pubblici non hanno la disponibilità economica per occuparsene da soli e in tempi brevi. Per questo nella parte del PNRR relativa agli studentati si è pensato a un coinvolgimento degli enti privati.
In generale in tutta Europa gli investitori privati si stanno interessando sempre di più alle residenze universitarie, non solo per la grande domanda di studentati ma anche perché questo tipo di alloggi può produrre grandi profitti. Le residenze gestite dai privati in questi anni si sono molto evolute in termini di servizi offerti e prezzi. Se fino a una decina di anni fa quelle private erano più o meno equiparabili a quelle pubbliche in termini di strutture e servizi, oggi si stanno sempre di più diffondendo residenze di lusso con palestre, piscine, spa e prezzi anche superiori a mille euro per una stanza.
L’Unione degli universitari ha condotto un’analisi dei prezzi degli alloggi di Camplus, una delle società che si è aggiudicata gran parte dei finanziamenti del primo bando e che già gestisce molte residenze private nelle principali città italiane. I prezzi variano molto a seconda del mercato della città: per una camera singola si parte dai 230 euro a L’Aquila e si arriva agli 800 euro di Milano e Bologna, fino a i 900 euro di Venezia.
Sui prezzi che avranno le nuove residenze finanziate con i fondi del PNRR non ci sono troppe certezze: la legge non prevede un tetto massimo di prezzo e il Ministero dell’Università in un comunicato ha fatto semplicemente riferimento a un «costo medio calmierato per ogni posto a livello territoriale» (che non si sa bene cosa voglia dire). Inoltre la legge non chiarisce quale sia la percentuale di alloggi che i privati debbano riservare agli studenti che entrano nelle graduatorie compilate dagli enti per il diritto allo studio e che avrebbero il diritto a un posto letto gratuito o a prezzi ridotti.
L’Unione degli universitari teme che questa vaghezza possa consentire alle residenze di ospitare studenti sulla base di criteri discrezionali, variabili nel tempo e che non tengono conto della situazione di reddito dei richiedenti e dunque del diritto allo studio.
Questo e gli altri articoli della sezione Come cambiano le città sono un progetto del workshop di giornalismo 2023 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.