Che cos’è l’“asfalto silenzioso”
E perché alcune città come Firenze hanno iniziato a usarlo per ridurre l’inquinamento acustico
di Chiara Lazzaroni
Per contribuire al passaggio a un’economia sostenibile e per tutelare e migliorare la qualità dell’ambiente e della vita, nel 2021 la Commissione europea ha destinato oltre 290 milioni di euro al Programma LIFE per progetti a favore dell’ambiente e del clima. Tra i progetti approvati c’è LIFE SNEAK, coordinato dal Comune di Firenze, che ha l’obiettivo di ridurre il rumore e le vibrazioni causate dal traffico stradale e dalla nuova linea della tranvia in costruzione che attraverserà la città, utilizzando un particolare “asfalto silenzioso”.
L’inquinamento acustico è un grave problema ambientale: se il livello di rumore supera una certa soglia, causa disturbi fisici e psicologici che possono incidere profondamente sullo stato di salute delle persone. Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente, almeno il 20 per cento della popolazione vive in zone in cui i livelli di rumore generato dal traffico sono dannosi, e per questo molte amministrazioni cercano rimedi per ridurre il problema.
L’asfalto silenzioso è un asfalto a bassa emissione sonora, appositamente studiato per ridurre i rumori in contesti urbani mescolando al bitume – uno dei principali componenti dell’asfalto – materiali granulosi, come argilla espansa e gomma. Questo tipo di asfalto non deve essere confuso con quello fonoassorbente, solitamente impiegato nelle strade ad alto scorrimento: e che riduce la rumorosità dei mezzi in movimento ad alte velocità, perché le vibrazioni vengono assorbite dalla porosità dei suoi materiali.
Tra gli asfalti silenziosi il più efficiente in termini di durata e sicurezza è quello gommato, che si ottiene aggiungendo al bitume del polverino di gomma derivato dal riciclo degli pneumatici usati (“pneumatici fuori uso”, o PFU). La polvere di gomma nel bitume diminuisce il rumore prodotto dall’impatto tra gli pneumatici e l’asfalto in media di circa 2 decibel rispetto al normale asfalto e gli conferisce un’elasticità superiore rendendolo più durevole, con conseguente risparmio su manutenzione e smaltimento.
L’asfalto silenzioso è anche più sicuro: per chi guida, perché l’aderenza al manto è superiore del 20 per cento; e per chi costruisce le strade, perché può essere steso a temperature inferiori, dunque con minori fumi tossici ed emissioni inquinanti.
Questo asfalto gommato è stato usato per la prima volta negli Stati Uniti a partire dagli anni Settanta, dove la pavimentazione stradale era spesso rigida perché costruita in cemento e quindi molto più rumorosa. Oggi in California circa il 60 per cento delle strade è in asfalto silenzioso. In Italia l’asfalto con aggiunta di PFU è arrivato invece molto più tardi e ha iniziato a essere prodotto a partire dal 2007, quando un’azienda toscana ha acquistato un impianto di produzione di bitumi gommati.
L’utilizzo di questa tecnologia si è consolidato nel tempo, grazie anche al lavoro di Ecopneus, una società senza scopo di lucro che si occupa di raccolta, trattamento e recupero dei PFU. Nell’ambito dell’asfalto modificato, con l’obiettivo di favorire questo impiego della gomma riciclata, Ecopneus mette a disposizione gli studi scientifici che sviluppa con partner come università e altre società di studi.
Ecopneus è tra i partner del Comune di Firenze per il progetto LIFE SNEAK avviato nel 2021, che prevede entro il 2024 la realizzazione del progetto pilota in Via la Marmora, dove, per mitigare il rumore prodotto dell’interazione ruota-rotaia e pavimentazione-pneumatico, sarà usata una soluzione a bassa rumorosità. La strada sarà poi monitorata e i dati raccolti serviranno a svolgere analisi e promuovere soluzioni nell’Unione Europea per ridurre l’inquinamento acustico.
L’interesse verso l’asfalto silenzioso è in costante crescita, tanto che dal 2006 a oggi contiamo in Italia oltre 680 km di strade realizzate con questo materiale.
Questo e gli altri articoli della sezione Come cambiano le città sono un progetto del workshop di giornalismo 2023 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.