Come funziona il “digiuno intermittente”, se funziona

Se ne parla moltissimo in questo periodo, ma non esiste un solo modo per farlo e serve qualche cautela

(Elaborazione grafica da una foto di Christopher Jolly, Unsplash)
(Elaborazione grafica da una foto di Christopher Jolly, Unsplash)
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Complici alcune dichiarazioni di personaggi famosi e la pubblicazione di libri che se ne occupano, negli ultimi mesi è tornato di moda ed è diventato molto discusso il cosiddetto “digiuno intermittente”. Secondo chi lo pratica, non solo aiuterebbe a perdere peso velocemente, ma anche a mantenersi in salute e in generale a sentirsi meglio. Di recente l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi ha detto di avere «perso 6 chili grazie al digiuno intermittente», aggiungendosi alla lista piuttosto lunga di persone che hanno detto di essere dimagrite seguendo questa pratica. In precedenza se ne era parlato molto in seguito ad alcune dichiarazioni di Antonella Viola, docente del dipartimento di Scienze Biomediche all’Università di Padova, molto presente in televisione negli ultimi anni come esperta di cose intorno alla pandemia da coronavirus.

Il digiuno intermittente ha ottenuto un certo successo perché viene spesso presentato come una soluzione per perdere rapidamente peso, con minori sacrifici rispetto a quelli richiesti dalle classiche diete. Chi lo pratica difficilmente si consulta prima con una persona che ha studiato nutrizione, ritenendo di dovere applicare solo qualche semplice regola per iniziare a dimagrire. È un approccio che può comportare qualche rischio, soprattutto per le persone con particolari problemi di salute, magari legati proprio al loro metabolismo e dei quali non sono pienamente consapevoli.

– Ascolta anche: La puntata di “Ci vuole una scienza” sul digiuno intermittente

A digiuno
La percezione di dover seguire regole molto semplici deriva probabilmente dal fatto che di per sé digiunare non è complicato: consiste nello smettere di mangiare e in alcuni casi di bere per un certo periodo di tempo. È una pratica che viene seguita da millenni, per motivi culturali e religiosi a seconda delle popolazioni e dei contesti interessati. Nell’antica Grecia si digiunava prima di consultare gli oracoli, mentre nello sciamanesimo in varie culture africane era praticato prima di poter “comunicare” con gli spiriti. Il digiuno è inoltre visto come una via per avere esperienze mistiche, come per esempio nel buddhismo. In molte religioni è un modo per fare penitenza, per meditare e per concentrarsi su necessità diverse da quelle terrene: durante il mese del Ramadan, centinaia di milioni di persone musulmane nel mondo digiunano nelle ore di sole. In un digiuno prolungato consiste anche lo sciopero della fame, forma di protesta adottata spesso dalle persone detenute.

Uno degli effetti del digiuno prolungato è inevitabilmente il dimagrimento, perché in mancanza del cibo il nostro organismo prova a compensare utilizzando ciò di cui dispone, come le riserve di grasso e le proteine presenti nei tessuti muscolari. Partendo da questo presupposto, già all’inizio del Novecento alcuni gruppi di ricerca iniziarono a chiedersi se una versione attenuata con brevi periodi di digiuno potesse essere impiegata per trattare l’obesità. Erano i primi esperimenti e tentativi in genere poco sistematici e strutturati, che portarono a pochi studi e non molto rilevanti. Le cose cambiarono a partire dagli anni Sessanta, quando iniziarono a essere pubblicate ricerche un poco più estese e articolate.

Nelle prime esperienze documentate, erano previsti periodi di digiuno che variavano da un giorno a un paio di settimane a seconda dei casi. Già all’epoca si potevano trovare articoli entusiastici sul digiuno intermittente anche se non c’erano molti elementi per determinarne efficacia e sicurezza. Sperimentare e studiare le diete è sempre molto difficile, sia perché ogni persona è fatta diversamente e reagisce in modo diverso a trattamenti e terapie, sia perché seguire per lungo tempo un numero ragionevole di persone per determinare l’efficacia di una dieta richiede grandi risorse e soprattutto una certa dedizione da parte dei partecipanti allo studio. Questo spiega perché, a distanza di quasi un secolo dai primi studi, ancora oggi non ci sono elementi chiari sull’utilità del digiuno intermittente, come del resto è avvenuto per molti altri tipi di diete.

I digiuni intermittenti
Non esiste del resto un solo tipo di digiuno intermittente: ci sono più varianti e ognuno finisce col personalizzare le proprie abitudini alimentari come meglio crede, talvolta con qualche rischio per la salute. In linea generale, il digiuno intermittente consiste nell’astenersi dal cibo e dalle bevande caloriche per un certo periodo di tempo nel corso della giornata o della settimana. Frequenza e durata dei cicli di digiuno variano molto a seconda dei casi, ma si possono identificare due grandi categorie.

La prima è quella delle diete a “digiuno periodico” nelle quali si alternano giornate intere di digiuno, o comunque di forte restrizione calorica, e giorni in cui si mangia normalmente. La seconda è la categoria delle diete con alimentazione a restrizione oraria: si mangia solo in alcune ore della giornata.

In questi due filoni si inseriscono numerose diete che combinano fasi di digiuno alla normale alimentazione, in modi talvolta creativi e che ricordano un poco la regolazione del traffico a targhe alterne. C’è il digiuno a giornate, che prevede un giorno in cui si digiuna alternato a uno in cui si mangia; c’è la dieta 5:2 con due giorni di digiuno e cinque liberi; c’è la dieta “mima digiuno” dove viene consigliato il consumo soprattutto di verdure e che ha una durata di cinque giorni, nei quali si riduce progressivamente l’apporto calorico. Altri sistemi prevedono di mangiare in un intervallo di 8-10 ore e di digiunare per le restanti 16-14 ore: sono tra quelli più seguiti, semplicemente perché è relativamente più immediato saltare un pasto e sfruttare il sonno durante il quale già normalmente si digiuna.

Roditori e umani
Chi promuove il digiuno intermittente fa spesso riferimento agli studi effettuati su topi e altri roditori negli ultimi anni, dove si segnala come l’alimentazione a giorni alterni mantenga questi animali magri e più sani secondo alcuni parametri, per esempio con un aumento della durata della loro vita. Non è ancora completamente chiaro perché ciò avvenga, ma si ipotizza che in mancanza di nutrienti introdotti con l’alimentazione, l’organismo passi a utilizzare in modo più intensivo le risorse di glicogeno, una delle principali riserve energetiche dell’organismo, e il grasso corporeo.

Negli esseri umani è più difficile replicare le medesime condizioni ottenute con i roditori e di conseguenza non ci sono elementi chiari per sostenere che il digiuno intermittente sia più efficace, o più sicuro e sano, rispetto alle classiche diete. Lo scorso anno un gruppo di ricerca aveva diviso 139 persone con obesità in due gruppi per sottoporle a due diversi tipi di diete: una di restrizione calorica classica, mangiando meno ai soliti pasti, e una di digiuno intermittente con pasti consentiti solo tra le otto del mattino e le quattro del pomeriggio. Per entrambi i gruppi era prevista nel complesso l’assunzione di 1500-1800 chilocalorie al giorno per gli uomini e di 1200-1500 chilocalorie per le donne.

Al termine della sperimentazione durata circa un anno, il gruppo di ricerca ha riscontrato valori simili di perdita di peso tra i due gruppi, così come ha riscontrato dati paragonabili nella riduzione del grasso corporeo, della pressione sanguigna e dei livelli di glucosio nel sangue. I due regimi calorici avevano in sostanza dato i medesimi risultati, suggerendo che non ci siano particolari differenze tra i due approcci e soprattutto che il digiuno intermittente non comporti miglioramenti significativi nella perdita di peso rispetto a una dieta normale.

Mangiare meno
Ci sono vari elementi per ritenere che il digiuno intermittente funzioni solo quando porta a una riduzione delle calorie assunte ogni giorno rispetto alle proprie abitudini. È del resto una conclusione piuttosto intuibile, che sfata però uno dei miti o delle convinzioni di molte persone che seguono un digiuno intermittente, sostenendo di mangiare ciò che vogliono e nelle quantità che preferiscono nelle ore “consentite”, immaginando che in qualche modo il metabolismo cambi e provveda al dimagrimento nel resto delle ore della giornata.

In realtà, se si verificano le dichiarazioni di chi sostiene il digiuno intermittente, per esempio tra persone con una certa visibilità pubblica, si nota che il principale motivo del dimagrimento è la riduzione della quantità di cibo assunta e che questa è molto più rilevante rispetto al periodo della giornata in cui si mangia o si digiuna. Renzi ha per esempio detto di avere ripreso a correre con maggiore assiduità, mentre Viola ha spiegato di avere eliminato quasi del tutto il consumo di bevande alcoliche, che sono particolarmente caloriche. In entrambi i casi ci sono stati cambiamenti nelle abitudini che vanno al di là dei giorni in cui si mangia o meno.

Per molte persone il digiuno intermittente funziona meglio di altre diete perché si deve rispettare un programma orario rigido che riduce le possibilità di sgarrare, fare eccezioni o cedere a qualche tentazione. Gli orari di alcune versioni del digiuno intermittente favoriscono inoltre il salto o la riduzione di alcuni pasti, come la cena: se si deve fare l’ultimo pasto entro le 16 è probabile che si abbia meno fame essendo ancora sazi dal pranzo e che si vada a dormire prima che venga nuovamente fame, per esempio. Il numero inferiore di pasti aiuta ovviamente a mangiare meno ed è un’ulteriore dimostrazione che il digiuno intermittente è paragonabile a una dieta.

Un dimagrimento sano passa di solito da una relativa riduzione delle calorie che si introducono con gli alimenti ogni giorno e dal praticare attività fisica. Diete con una marcata riduzione delle calorie dovrebbero essere seguite sotto la supervisione di medici e mediche, che a seconda dei casi possono raccomandare esami e accertamenti di vario tipo prima di prescrivere una dieta.