Perché Israele ha attaccato proprio Jenin
La città della Cisgiordania è sede di numerosi gruppi armati palestinesi, ed è da mesi al centro di grosse violenze
A partire da lunedì mattina l’esercito israeliano ha avviato un’imponente e violenta operazione militare a Jenin, in Cisgiordania, e in particolare nel campo profughi adiacente alla città. L’esercito ha fatto per la prima volta dal 2006 bombardamenti con droni, ha inviato circa 2.000 soldati nel campo e sta usando mezzi corazzati e bulldozer per sgomberare le strade e distruggere insediamenti ed edifici: almeno 10 palestinesi sono stati uccisi e ci sono decine di feriti.
Ci sono varie ragioni per cui proprio Jenin è diventata oggetto di questa operazione israeliana, che è la più grossa operazione militare in Cisgiordania negli ultimi 20 anni: nella città – ma soprattutto nel campo profughi – sono presenti alcuni gruppi armati palestinesi, e dalla città sono partiti alcuni dei peggiori attacchi contro israeliani degli ultimi mesi. Di recente, poi, il livello della violenza è cresciuto notevolmente: dall’inizio del 2023 sono stati uccisi negli scontri almeno 133 palestinesi e 24 israeliani, e questo potrebbe aver spinto il governo di Israele ad avviare un’operazione militare imponente per placare un’opinione pubblica sempre più preoccupata. Negli ultimi mesi, tuttavia, operazioni simili hanno finito per aumentare il livello di violenza tra israeliani e palestinesi anziché ridurlo.
Jenin è una delle principali città della Cisgiordania, cioè il territorio che Israele occupa dal 1967 e che i palestinesi rivendicano come proprio. Ha 39 mila abitanti, di cui 14 mila abitano nel campo profughi, un’area di fatto inglobata nella città e grande circa mezzo chilometro quadrato, popolata a densità altissima. Pur essendo definito campo profughi, quello di Jenin è di fatto un quartiere, benché estremamente povero: esiste dal 1953 ed è abitato dai discendenti dei palestinesi che furono costretti a lasciare le proprie terre dopo l’istituzione dello stato di Israele nel 1948. Ci sono decine di campi simili nella regione: 19 soltanto in Cisgiordania, più altri in Giordania e in Libano.
Nel campo profughi di Jenin non ci sono più tende ormai da decenni, ma edifici e case, benché spesso siano piuttosto povere e costruzioni di fortuna.
Nel campo profughi di Jenin sono presenti numerosi gruppi armati radicali palestinesi, come il Jihad Islamico, Hamas (il gruppo che controlla la Striscia di Gaza) e il braccio armato di Fatah, cioè il partito del presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas. Questi gruppi spesso operano assieme a un gruppo armato locale, quello delle Brigate Jenin (o Battaglione Jenin), che è nato un paio di anni fa.
Da poco più di un anno Jenin è diventata il centro di un forte incremento di violenze e scontri tra israeliani e palestinesi, cominciati nel 2022 e che ha provocato decine o centinaia di morti tra entrambe le parti. Secondo dati dell’esercito israeliano, negli ultimi due anni da Jenin sono partiti 50 attacchi con armi da fuoco contro israeliani e 19 persone sospettate di aver compiuto attacchi avrebbero trovato rifugio all’interno del campo profughi della città.
Nel marzo del 2022 l’esercito israeliano avviò l’operazione Breakwater, che aveva il compito di contrastare le attività terroristiche a Jenin e nella vicina città di Nablus, e comportò raid militari frequenti (in alcuni periodi quasi tutte le notti) nel campo profughi di Jenin, con l’intento di catturare persone sospettate di aver compiuto attacchi o di colpire quelli che l’intelligence israeliana riteneva fossero gruppi terroristici.
I frequenti e spesso violenti raid israeliani hanno provocato in risposta un aumento del livello della violenza da parte dei gruppi armati palestinesi. Nell’ultimo anno gli scontri e gli attacchi si sono fatti sempre più frequenti. In uno di questi scontri, proprio nel campo profughi di Jenin, nel maggio del 2022 fu uccisa la giornalista palestinese Shireen Abu Akleh.
Ha contribuito alla violenza anche la progressiva e sempre maggiore frammentazione dei gruppi armati palestinesi: se fino ad alcuni anni fa le iniziative armate dei palestinesi dipendevano principalmente da Hamas ed eventualmente dall’Autorità palestinese, che controllava in maniera più o meno lasca vari gruppi armati, negli ultimi anni sono nate decine di gruppi di combattenti che non rispondono a nessuna autorità superiore, e che spesso agiscono senza controllo e contribuiscono a un forte aumento della violenza.
Fenomeni simili stanno avvenendo da parte israeliana, dove il governo di estrema destra di Benjamin Netanyahu sta lasciando molto margine di manovra a gruppi israeliani estremisti e violenti. Per esempio di recente si sono moltiplicati gli attacchi dei coloni israeliani contro insediamenti palestinesi.
Nelle ultime settimane le violenze si sono ulteriormente estese. Il mese scorso alcuni veicoli dell’esercito israeliano che avevano fatto irruzione nel campo profughi di Jenin sono rimasti bloccati a causa della resistenza particolarmente forte dei miliziani locali, che hanno usato anche armi esplosive. L’esercito è stato costretto a inviare elicotteri da combattimento per cercare di liberare il convoglio dei soldati e sono morti sei palestinesi.
La settimana scorsa, per la prima volta, da Jenin era stato lanciato un razzo verso Israele. Gli israeliani sono abituati a razzi sparati dalla Striscia di Gaza, ma che i razzi siano stati sparati dalla Cisgiordania è uno sviluppo piuttosto grosso.
L’aumento delle violenze ha probabilmente creato una forte pressione sia sul governo di Netanyahu sia soprattutto sui comandi dell’esercito, che sono stati criticati da alcuni esponenti particolarmente estremisti del governo perché non starebbero facendo abbastanza per garantire la sicurezza della popolazione.
Non è ancora del tutto chiaro però perché l’operazione israeliana sia stata avviata proprio adesso, né quali siano gli obiettivi di lungo termine dell’esercito. L’obiettivo immediato è ufficialmente colpire i gruppi palestinesi che hanno postazioni e armi nel campo, ma secondo numerose testimonianze le operazioni militari sono molto più indiscriminate, e gli scontri tra i soldati israeliani e i miliziani palestinesi presenti nel campo sono stati paragonati a scene di guerra.
Jenin fu al centro di un’altra operazione piuttosto simile dell’esercito israeliano oltre vent’anni fa: nell’aprile del 2002 l’esercito entrò sempre nel campo profughi di Jenin per contrastare i gruppi armati locali e finì per occupare la città per dieci giorni. Quella del 2002 è ancora nota come la «battaglia di Jenin» e fu uno degli episodi più violenti della cosiddetta Seconda Intifada (una grande rivolta armata dei palestinesi contro lo stato d’Israele, condotta tra il 2000 e il 2005): furono uccisi 52 palestinesi, tra cui anche molti civili, e 23 soldati israeliani.