Le ultime ore del Titan prima dell’immersione
Le ha ricostruite il "New York Times", intervistando Christine Dawood, che aveva un figlio e il marito sul sommergibile
Il New York Times ha ricostruito in un articolo le ore prima dell’immersione del sommergibile Titan, che è imploso lo scorso 18 giugno durante un viaggio organizzato al largo delle coste canadesi per visitare il relitto del Titanic. In particolare, i giornalisti John Branch e Christina Goldbaum hanno riportato il racconto di Christine Dawood, moglie dell’imprenditore britannico-pakistano Shahzada Dawood e madre del diciannovenne Suleman, due delle cinque persone morte nel Titan, che è rimasta insieme a loro fino alla partenza nelle prime ore del mattino.
Oltre ai due membri della famiglia Dawood, a bordo del Titan c’erano altre tre persone. Due avevano già fatto svariate immersioni nel Titan: Paul-Henri Nargeolet, 77 anni, scienziato francese tra i maggiori esperti del naufragio del Titanic, e Stockton Rush, 61enne fondatore e amministratore delegato di OceanGate, la società che organizzava il viaggio. Il terzo, Hamish Harding, 58 anni, era il manager britannico a capo della società di servizi aerei Action Aviation, ed era alla sua prima esperienza.
Secondo quanto ricostruito dal New York Times la famiglia Dawood – composta oltre che da Christine, Shahzada e Suleman, anche dalla figlia Alina di 17 anni – aveva cominciato a interessarsi molto alla storia del Titanic dopo aver visto una mostra allestita a Singapore nel 2012, in occasione del centesimo anniversario del naufragio. Molti degli oggetti che avevano visto esposti erano stati portati in superficie proprio da Nargeolet, uno dei cinque passeggeri del loro viaggio e una specie di presenza fissa nei viaggi di OceanGate. Nel libro del 2022 Dans les profondeurs du Titanic, Nargeolet aveva scritto che tutta la sua esistenza girava attorno al Titanic. Christine Dawood ha detto che prima della partenza del 18 giugno, Nargolet aveva raccontato al gruppo di una volta in cui era rimasto bloccato per tre giorni in profondità nei pressi del relitto, senza possibilità di comunicare con la superficie.
Per la famiglia Dawood tutto era cominciato quando qualche anno fa a Christine era capitato di vedere una pubblicità dei viaggi per turisti di OceanGate, che prometteva un’osservazione diretta dei resti della nave attraverso l’oblò di un sottomarino. Secondo i piani iniziali sarebbe dovuta essere Christine ad accompagnare il marito perché i due figli avevano meno di 18 anni, l’età minima prevista da OceanGate. Poi i piani erano stati rimandati a causa della pandemia, Suleman era diventato maggiorenne e aveva deciso di andare lui insieme al padre.
Il New York Times scrive che la famiglia Dawood e Rush si erano incontrati a Londra a febbraio: il capo di OceanGate infatti aveva l’abitudine di trattare direttamente con i propri potenziali clienti, e rispondere personalmente ai loro possibili dubbi. Christine Dawood però ha detto al New York Times che non avevano idea di come funzionasse il Titan da un punto di vista ingegneristico: «voglio dire, quando ti siedi su un aeroplano non sai come funziona il motore».
La famiglia era arrivata in aereo a Toronto il 14 giugno. L’aereo che avrebbero dovuto prendere per Saint John’s, la città da cui sarebbe partita la spedizione del Titan, fu cancellato e quello che avrebbero dovuto prendere al suo posto il giorno dopo era in ritardo: Christine Dawood ha detto al New York Times che erano preoccupati che venisse cancellato anche quello, e che col senno di poi ovviamente avrebbe preferito accadesse.
Arrivata a Saint John’s, la famiglia Dawood è salita a bordo dell’ex nave rompighiaccio della Guardia Costiera canadese utilizzata come base da OceanGate e rinominata Polar Prince. Oltre a loro a bordo c’era un equipaggio di 17 persone, e circa una ventina di altre persone tra sub e membri dello staff. I coniugi Dawood avevano una piccola cabina con un letto a castello e i figli una cabina ciascuno. Si mangiava tutti insieme e tutti i giorni si facevano riunioni plenarie di circa un’ora alle 7 del mattino e alle 7 di sera. Durante queste riunioni erano previsti dei momenti per permettere a chiunque volesse di esprimere dubbi e preoccupazioni. La sera si teneva solitamente un incontro con Rush e Nargeolet, oltre ai clienti esperti che di volta in volta erano sulla nave. A volte si guardava Titanic, il film.
Il New York Times spiega come la comunicazione di OceanGate riprendesse immaginari e termini simili a quelli delle missioni spaziali, tanto che Rush parlava della propria azienda come della «SpaceX dell’oceano» (riferendosi all’azienda di Elon Musk che per prima ha portato in orbita dei privati cittadini). I passeggeri del Titan non venivano mai chiamati passeggeri, clienti o turisti, ma «specialisti di missione». E infatti il pomeriggio prima del giorno dell’immersione uno dei passeggeri del Titan, Hamish Harding, aveva scritto sul suo profilo Facebook: «Sono orgoglioso di annunciare che alla fine mi sono unito a @oceangateexped per la missione RMS TITANIC come specialista di missione nel sommergibile che scenderà fino al Titanic». Harding aveva partecipato anche a una delle missioni di Blue Origin, l’azienda spaziale di Jeff Bezos.
Christine Dawood ha raccontato che la mattina del 18 giugno, quando alle 5 del mattino l’equipaggio di sub ha preparato le ultime cose prima dell’immersione prevista per le 17:30, «sembrava un’operazione ben oliata, era evidente che l’avessero fatto molte volte». Il Titan era effettivamente partito molte volte prima di quella, anche se le missioni arrivate effettivamente fino alle profondità del Titanic erano solo una minima parte di quelle totali.
L’immersione sarebbe dovuta durare in tutto 12 ore e Rush aveva consigliato come sempre di mangiare poche fibre e di non bere caffè, perché andare in bagno durante l’immersione non sarebbe stato comodo: bisognava farlo in un contenitore coperti soltanto da una tenda. Aveva aggiunto di portare un cappellino e un paio di calze spesse, per essere preparati a quando le temperature sarebbero scese, con l’aumentare della profondità. I passeggeri erano vestiti con pantaloni e giacche arancioni impermeabili, stivali con la punta rinforzata in acciaio, salvagenti e caschetti. Christine Dawood ha detto di aver sentito il marito lamentarsi del caldo. Lui aveva deciso di portare con sé una macchina fotografica, il figlio un cubo di Rubik perché voleva battere il record mondiale per quanto riguarda la profondità.
Le luci del sommergibile sarebbero state spente nella discesa per non sprecare energia, quindi i passeggeri erano stati avvisati che non avrebbero visto niente fuori dagli oblò nelle prime ore, salvo forse qualche pesce bioluminescente, cioè che emana luce propria. Rush aveva anche chiesto ai passeggeri di scaricare qualche canzone da condividere con gli altri passeggeri attraverso un impianto audio bluetooth, specificando che la musica country era vietata.
I contatti con il sommergibile si interruppero un’ora e quarantacinque minuti dopo. All’inizio lo staff rassicurò Dawood spiegandole che era normale e che se il silenzio fosse durato più di un’ora l’immersione sarebbe stata interrotta. Col passare delle ore divenne chiaro che era successo qualcosa di insolito. Nel pomeriggio le confermarono che non si sapeva dove fosse il Titan. Quattro giorni dopo, dopo estese ricerche, la Guardia Costiera annunciò di aver individuato alcuni rottami del sommergibile, imploso uccidendo all’istante i suoi passeggeri.