Le discussioni sulla polizia e le armi, in Francia
Sono ricominciate dopo l'uccisione del 17enne Nahel M. da parte di un poliziotto e ruotano attorno a una controversa legge approvata nel 2017
Nel 2022 in Francia tredici persone sono state uccise dalla polizia nel contesto del “refus d’obtempérer”, il rifiuto da parte di un automobilista o un motociclista di fermarsi su ordine di un poliziotto: la stessa situazione che si è verificata pochi giorni fa a Nanterre, comune a periferia ovest di Parigi, quando un agente di polizia ha ucciso il 17enne Nahel M.. Nel video dell’accaduto, che è stato diffuso e verificato e che ha smentito la versione ufficiale data inizialmente dalla polizia, si vede un agente al finestrino di un’auto mentre discute con il conducente, Nahel M., puntandogli una pistola a pochi centimetri di distanza. Poi si sente il rumore di uno sparo non appena la macchina riparte.
La morte di Nahel M. ha riaperto in Francia un dibattito che ha a che fare con la questione della legittima difesa della polizia e con la legittimità o meno, in alcune circostanze, dell’uso delle armi da parte degli agenti. I vari schieramenti politici hanno espresso posizioni molto differenti: quelle della destra coincidono in quasi tutti i casi con quelle dei sindacati della polizia. Ma la polarizzazione del dibattito, che c’era già stato, identico, lo scorso anno, «non si accontenta di sfumature e presta poca attenzione alle cause del fenomeno, che però possono essere chiarite da cifre inequivocabili», aveva scritto già alla fine del 2022 Antoine Albertini, specialista di Le Monde in questioni di polizia.
Nel 2020 il rapporto dell’Osservatorio interministeriale nazionale sulla sicurezza stradale aveva rilevato un aumento del 16,5 per cento rispetto all’anno precedente dei “refus d’obtempérer”, con 26.589 casi individuati. Dal 2010 al 2019 questo reato, previsto dal codice della strada francese, è aumentato di oltre il 49 per cento.
I sindacati di polizia hanno proposto come spiegazione del fenomeno un generico “odio contro la polizia”, ma le cause sembrano essere per lo più altre e diverse tra loro. Albertini stabilisce per esempio un nesso con l’entrata in vigore della patente a punti, introdotta in Francia nel 1993, che da allora ha portato a un numero di “refus d’obtempérer” venticinque volte maggiore. Sempre Albertini cita i circa 800mila conducenti francesi che non hanno un’assicurazione perché nella maggior parte dei casi non se la possono permettere: il sequestro del veicolo, la revoca della patente e il divieto di guida fino a cinque anni – conseguenze di essere scoperti a guidare senza assicurazione – avrebbero dunque un peso nella lettura dei dati.
Ad aumentare, comunque, non sono stati solo i casi di “refus d’obtempérer”, ma anche le volte in cui la polizia ha sparato. Diversi osservatori hanno collegato l’aumento delle sparatorie della polizia nei contesti di “refus d’obtempérer” alle conseguenze di una discussa legge approvata nel gennaio 2017 che di fatto ampliava il campo di applicazione della “legittima difesa” da parte della polizia. La legge accoglieva le richieste fatte dai sindacati di polizia dopo un episodio avvenuto nell’ottobre del 2016 a Viry-Châtillon, nella regione dell’Île-de-France, quando due agenti erano stati feriti dal lancio di alcune bombe molotov. L’episodio non era legato a un “refus d’obtempérer” ma aveva portato comunque a delle modifiche nell’uso delle armi anche per questa specifica circostanza.
Nel 2016 le “sparatorie sui mezzi in movimento” erano state 137, l’anno successivo 202, mentre la media nei cinque anni precedenti era di 119 (per l’Ispettorato generale della polizia di stato, le sparatorie contro i mezzi in movimento, una categoria più ampia ma che comprende anche i casi di “refus d’obtempérer”, sono la maggioranza dei casi di uso delle armi da parte degli agenti). Nel 2021 le sparatorie erano calate a 157, rimanendo comunque più alte rispetto agli anni precedenti al 2017. Sempre nel 2017 le forze dell’ordine francesi avevano registrato un forte aumento, pari al 54,51 per cento, dell’uso delle armi in generale: 384 casi rispetto ai 255 del 2016. Tra il 2018 e il 2020 la media annua era stata pari a 300, cinquanta casi in più rispetto a quella registrata tra il 2012 e il 2016.
La legge approvata nel 2017 riguardava di fatto le circostanze in cui la polizia poteva agire legittimamente usando le armi. Il testo, almeno per come fu interpretato allora e continua a essere interpretato anche oggi, ampliava queste circostanze, consentendo alle forze di polizia di usare la propria arma in condizioni più flessibili rispetto a quelle previste fino a quel momento.
Si parlò molto del fatto che la norma allineava il regime di uso delle armi da parte degli agenti della polizia nazionale a quello in vigore per la gendarmeria, considerato più flessibile: la gendarmeria è una forza di polizia a ordinamento militare che ha giurisdizione soprattutto nei territori di confine e nei piccoli centri. In pratica, nel 2017 si considerò che gli agenti di polizia venivano autorizzati a sparare nei seguenti casi: in caso di pericolo per la loro vita o per la loro integrità fisica, o di minaccia; se non potevano difendersi o proteggere altrimenti terze persone; per impedire la reiterazione di un omicidio o di un tentato omicidio; se dovevano neutralizzare un individuo che cercava di scappare e che rischiava di aggredire terze persone durante la fuga; e quando il “refus d’obtempérer” da parte di un automobilista minacciava fisicamente gli agenti.
Non tutti però furono d’accordo con questa interpretazione della norma. Diversi esperti di diritto, ricorda Le Monde, sostennero che l’ampliamento del concetto di “legittima difesa” (che è una causa di irresponsabilità penale e che, se riconosciuta, rende l’autore non perseguibile) era più formale che sostanziale, visto che per poter sparare e vedersi riconosciuta la legittima difesa gli agenti avrebbero dovuto comunque continuare a rispettare i criteri di “assoluta necessità” e “stretta proporzionalità” previsti entrambi dalla legge. Secondo questa idea, il successivo uso disinibito delle armi da parte dei poliziotti sarebbe dipeso non tanto dal testo della legge in sé, quanto dall’interpretazione che ne diedero le stesse forze dell’ordine. In pratica il testo aveva avvalorato, tra gendarmi e poliziotti, la falsa idea secondo cui era consentito sparare su qualsiasi veicolo il cui conducente si rifiutava di sottoporsi a un controllo.
Da tempo alcuni sindacati di polizia francesi chiedono di passare dai principi di “stretta proporzionalità” e “assoluta necessità” a un principio di “presunzione di legittima difesa” nei casi che coinvolgono l’uso di un’arma da fuoco da parte degli agenti di polizia in servizio. La presunzione di legittima difesa, dicono, dovrebbe essere sistematica per gli appartenenti alle forze dell’ordine: in pratica vorrebbero che per le forze dell’ordine la presunzione di legittimità della difesa valesse in tutte le circostanze esonerando chi ha commesso il fatto, come ad esempio sparare, dall’obbligo di provare l’esistenza di tutti i requisiti che giustificano quell’azione. In questo modo dovrebbe essere l’accusa a dover dimostrare che non sussistono i requisiti della legittima difesa e non le forze di polizia a dover dimostrare invece che le loro azioni rispettano i requisiti di proporzionalità e necessità.
Per Thibault de Montbrial, avvocato specializzato nella difesa dei membri delle forze dell’ordine e teorico della nozione di presunzione di autodifesa, non si tratterebbe tanto di modificare la legge quanto di consentire ai tribunali di tener conto dello status specifico di chi spara. L’avvocato, così come alcuni sindacati di polizia, ha chiesto poi la creazione di tribunali specializzati nel giudicare chi fa parte delle forze dell’ordine.