Le proteste in Kenya contro l’automazione della raccolta del tè
Coinvolgono centinaia di migliaia di persone: ci sono stati scontri con la polizia e sono stati distrutti diversi macchinari
Nell’ultimo anno in Kenya i raccoglitori e le raccoglitrici di tè, centinaia di migliaia di persone, protestano contro l’automazione nella raccolta delle foglie di tè, che secondo lavoratori e sindacati sta causando la perdita di migliaia di posti di lavoro. Diversi macchinari acquistati dalle aziende sono stati bruciati e distrutti e ci sono stati anche violenti scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. Una delle ultime maggiori proteste si è verificata negli stabilimenti di Ekaterra, multinazionale che possiede il marchio Lipton, nell’ovest del Kenya: un gruppo di lavoratori occasionali ha distrutto, incendiandoli, cinque macchinari, e l’azienda ha sospeso momentaneamente la propria produzione.
Il Kenya è il terzo esportatore al mondo di tè dopo Cina e Sri Lanka: a livello locale questo settore genera circa 200mila posti di lavoro diretti e circa 2 milioni indiretti, secondo stime fatte dal ministro per le Cooperative e lo sviluppo keniano Simon Kiprono Chelugui. I raccoglitori e le raccoglitrici di tè sono soprattutto donne e giovani, che spesso non hanno altre opportunità lavorative.
In Kenya hanno le proprie piantagioni grandi aziende multinazionali che producono e vendono il tè, come Associated British Foods, che possiede il marchio Twinings, ed Ekaterra. Sono piantagioni enormi: quelle di Ekaterra (a Kericho, nell’ovest del Kenya, e a Limuru, vicino a Nairobi) si estendono complessivamente per oltre 140 chilometri quadrati. Per la produzione di queste l’aziende, finalizzata soprattutto alla vendita di bustine di tè nella grande distribuzione, l’utilizzo di macchinari può essere molto vantaggioso e rendere molto più rapida, efficiente ed economica la raccolta delle foglie.
La raccolta manuale è ritenuta preferibile soprattutto per produrre i tè più pregiati, fatti, con le foglie più piccole e più giovani, che vanno individuate e scelte, e per cui è meno indicato l’utilizzo di macchinari, che sono dei grossi trattori guidati da una persona che falciano e raccolgono le foglie mentre procedono.
Un singolo macchinario può sostituire fino a 100 lavoratori e ridurre i costi della raccolta di circa due terzi: secondo calcoli fatti dal governo keniano, l’utilizzo dei macchinari può far scendere i costi della raccolta del tè da 15 a 4 scellini al chilo (cioè da circa 9 a 2 centesimi di euro al chilo). Sammy Kirui, un dirigente di Ekaterra, ha detto a Semafor che l’automazione è «cruciale» per la competitività della sua azienda.
Sono state fatte stime anche su quanti posti di lavoro sarebbero stati persi a causa del crescente utilizzo di macchinari per la raccolta del tè. Jared Momanyi, rappresentante di un sindacato di lavoratori e lavoratrici nel settore del tè, ha detto a VOA News che solo nell’area di Bomet, vicino a Kericho, «prima dell’introduzione delle macchine lavoravano oltre 50mila persone: ora sono tra le 5mila e le 7mila».
Un’altra stima è stata fatta da Nicolas Kirui, ex sindacalista e ora membro di uno dei gruppi istituiti dai governo keniano che si occupano di questo problema: sempre a Semafor, Kirui ha detto che nell’arco degli ultimi 10 anni, a Kericho, l’automazione ha causato la perdita di 30mila posti di lavoro.
Oltre alla distruzione di macchinari ci sono state anche violente manifestazioni in cui centinaia di raccoglitori di tè sono entrati in alcuni stabilimenti, hanno danneggiato di proposito le piantagioni e si sono poi scontrati violentemente con gli agenti di polizia, a volte dando fuoco anche alle loro auto. In due delle ultime proteste dello scorso maggio negli stabilimenti di Ekaterra e di Finlays 23 persone sono rimaste ferite e 46 sono state arrestate.
L’automazione della raccolta del tè ha anche i suo sostenitori. Tabitha Njuguna, direttrice generale della sede keniana di AFEX, società che compra e vende valute, ha detto a Semafor che adottare nuove tecnologie per l’automazione è necessario per «liberare il potenziale dell’agricoltura in tutta l’Africa» e che quindi dovrebbero essere accolte come una cosa positiva, «nonostante la frustrazione di alcuni lavoratori». Njuguna ha aggiunto che «l’integrazione di nuove tecnologie in un settore può causare interruzioni che appaiono minacciose», ma che quell’integrazione va vista come un processo «imminente e inevitabile».
Lo scorso marzo il gruppo istituito dal governo locale della contea di Nandi, nell’ovest del Kenya, ha raccomandato che almeno il 40 per cento della raccolta delle foglie avvenga manualmente. Lo stesso gruppo vorrebbe che fosse introdotto un limite all’importazione di macchinari. Nel frattempo Florence Bore, ministra del Lavoro del Kenya, ha detto durante una visita a Kericho, pochi giorni dopo la distruzione di alcuni macchinari, di voler «espandere il mercato del lavoro per dare impulso alle opportunità lavorative per i keniani e le keniane». Ci sono state manifestazioni di interesse per risolvere il problema anche da parte delle stesse aziende, almeno a parole: Kirui, il dirigente di Ekaterra ascoltato da Semafor, ha detto di voler avviare iniziative di formazione a livello locale per creare nuovi posti di lavoro.