Genova vuole esportare la sua acqua per contrastare la siccità nella Pianura Padana
L'idea di costruire un grande dissalatore è ambiziosa, complicata e non si sa ancora bene se sia una cosa utile
Dall’inizio dell’anno il sindaco di Genova Marco Bucci ha parlato più volte e con un certo entusiasmo di un progetto ambizioso: l’idea è di prendere quasi 100 milioni di metri cubi di acqua da pompare oltre gli Appennini liguri verso la Pianura Padana con l’obiettivo di attenuare il problema della siccità. Si prenderebbe l’acqua degli scarichi della città, da pulire attraverso i depuratori, a cui verrebbe aggiunta quella prelevata dal mare e desalinizzata da un dissalatore, un impianto che trasforma l’acqua salata in acqua potabile. «Il progetto non ha niente a che vedere con Genova, che è autonoma, autosufficiente e non ha problemi di acqua», ha detto Bucci. «Quello che abbiamo ideato è per la Pianura Padana e per il Nord Italia. L’obiettivo è risolvere una questione importante: non lo facciamo per guadagnarci, è servizio civile».
Detto così non sembra un progetto semplice da realizzare, eppure il sindaco è molto fiducioso. Nei mesi scorsi Bucci ha presentato la sua idea al ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e a Raffaele Fitto, ministro per gli Affari europei e il PNRR. Anche il governo sembra credere molto in questa idea: se n’è parlato all’inizio di maggio durante la prima riunione della cabina di regia sulla siccità dopo la nomina del commissario Nicola Dell’Acqua, che ha il compito di valutare possibili interventi per ridurre l’impatto della siccità nelle zone più soggette a questo fenomeno. Secondo il commissario, l’installazione di dissalatori di acqua marina è una priorità e il piano di Genova può essere un modello da seguire anche da altre città sul mare.
I dissalatori sono impianti molto utili nelle zone dove c’è carenza d’acqua: aspirano l’acqua salata del mare, la filtrano e ne ricavano acqua dolce che viene immessa nella rete idrica. Al centro della produzione c’è un processo chiamato di osmosi inversa: l’acqua salata viene spinta attraverso una membrana semipermeabile che trattiene il sale. L’acqua pulita viene poi messa in vasche dove viene analizzata. Successivamente vengono aggiunti ipoclorito di sodio, bicarbonato di sodio e cloruro di calcio per renderla potabile e a quel punto può essere immessa nella rete idrica.
In Italia ci sono pochi dissalatori perché produrre acqua potabile dall’acqua salata è un procedimento che richiede molta energia, e quindi costoso. Inoltre l’impatto ambientale degli impianti non è trascurabile a causa della salamoia, cioè la soluzione con un’alta concentrazione di sale ributtata in mare come scarto di produzione. Ne sono stati installati alcuni sulle piccole isole dove è complesso soddisfare il fabbisogno idrico soprattutto nei mesi estivi quando la popolazione aumenta con l’arrivo dei turisti. Negli ultimi anni sono stati costruiti a Ustica, in Sicilia, a Giannutri, Capraia e all’isola del Giglio, nell’arcipelago toscano, a Ponza e Ventotene, nel Lazio. Lo scorso anno è iniziata la costruzione di un dissalatore anche a Capoliveri, un comune dell’isola d’Elba.
Non ci sono ancora molte informazioni sul piano del sindaco di Genova. Il progetto definitivo non è stato presentato e gli unici dettagli sono stati raccontati dallo stesso Bucci in diversi incontri con la stampa. Si sa per esempio che i costi per costruire il dissalatore di Genova sono stati stimati in 400 milioni di euro a cui vanno aggiunti altri 150 milioni per realizzare le nuove condotte dell’acqua.
Per prima cosa andrebbe costruita una nuova rete di collegamento tra i sette depuratori della città che attualmente versano l’acqua degli scarichi in mare dopo averla pulita. La rete porterebbe l’acqua nella zona di Multedo, l’area dove si trova il porto Petroli di Genova, il terminal del porto destinato allo sbarco e all’imbarco di prodotti petroliferi.
Da qui l’acqua verrebbe portata verso la Pianura Padana attraverso una conduttura già esistente che collega il porto Petroli alla raffineria ENI di Sannazzaro de’ Burgondi, in provincia di Pavia. La conduttura, in sostanza un oleodotto, è stata costruita negli anni Sessanta e non viene più utilizzata perché la raffineria sarà convertita a un impianto di smaltimento dei rifiuti. Non è chiaro, però, se l’acqua passerà dai tubi dell’oleodotto oppure sarà sfruttato il passaggio già presente per installare nuove tubazioni.
L’area dove dovrebbe essere costruito il nuovo dissalatore è già stata individuata: 80mila metri quadrati inutilizzati all’interno dello stabilimento di Acciaierie d’Italia a Cornigliano, un quartiere nella periferia ovest di Genova. Intervistato dal Sole 24 Ore, Bucci ha detto di aver già ricevuto proposte da alcune aziende italiane e straniere, in particolare israeliane e spagnole.
Il sindaco è convinto che lo scarto di produzione dell’acqua dei dissalatori, cioè la salamoia, non sia un problema, anzi piuttosto una risorsa: la salamoia si può trattare in diversi modi e negli ultimi anni sono state messe a punto tecnologie per ottenere sale solido utilizzabile in diverse produzioni. «Il sale ci serve per le strade d’inverno, ci serve per l’industria», ha detto Bucci. «Invece di andare a comprare in giro ce lo produciamo da noi».
Una delle domande che non hanno avuto ancora risposte è: serve davvero? Finora soltanto il sindaco di Genova e alcuni esponenti del governo hanno parlato del progetto, mentre non è chiaro quale sia la posizione dei territori a cui l’acqua è destinata. Tra le altre cose è molto complicato stimare quanto sarà utile trasportare circa 100 milioni di metri cubi da Genova alla Pianura Padana. In periodi di grave siccità questa quantità di acqua sarebbe un sollievo per alcuni territori, ma risolverebbe solo in minima parte i problemi in tutta la Pianura Padana: lo scorso marzo, per esempio, la regione Lombardia aveva stimato che il deficit idrico accumulato nei mesi invernali era di 2 miliardi di metri cubi di acqua rispetto alla media degli anni precedenti. Inoltre non si capisce perché si debba pompare l’acqua depurata degli scarichi di Genova e non, per lo stesso principio, pulire e riutizzare l’acqua degli scarichi delle città che si trovano nella Pianura Padana.
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Nell’ultimo anno si è discusso molto di un’altra strategia per conservare l’acqua in vista di periodi di siccità: il cosiddetto piano laghetti. Nelle intenzioni dell’ANBI, l’associazione nazionale bonifiche e irrigazioni, ovvero l’ente che coordina tutti i consorzi di bonifica italiani, il piano laghetti dovrebbe sfruttare meglio tutta l’acqua che oggi viene dispersa. In sostanza, il piano consiste nella realizzazione di 4.000 invasi “consortili”, cioè costruiti dai consorzi di bonifica, e 6.000 invasi fatti dalle aziende agricole. Si tratta di 10.000 bacini artificiali di piccole dimensioni e con un basso impatto ambientale perché non prevedono opere in cemento o l’interruzione di corsi d’acqua. Anche di questo progetto si è parlato durante la prima riunione della cabina di regia per contrastare la siccità, ma dall’inizio di maggio, dopo il primo incontro, il governo e il commissario non hanno dato aggiornamenti su tempistiche e finanziamenti.
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