Servirà un sacco di soldi per rimediare ai danni alle coltivazioni in Romagna
Secondo la regione 1,1 miliardi di euro, e non è ancora chiaro come il governo intenda risarcire le imprese agricole
di Angelo Mastrandrea
A Boncellino, una frazione di Bagnacavallo in provincia di Ravenna, i campi coltivati sono ricoperti da una coltre di fango che in qualche punto è secco e in altri ancora molto umido. Il mese scorso sono stati sommersi due volte: il 3 maggio, quando il fiume Lamone è esondato a causa delle forti piogge, e il 16 maggio, quando la piena ha sfondato l’argine e una grande massa di acqua, detriti e fango ha inondato le case e la campagna circostante. A Luigi Bosi, che gestisce un’azienda agricola a conduzione familiare, l’esondazione del Lamone ha distrutto l’80 per cento dei terreni, spazzando via gli ortaggi e allagando una ventina di ettari di viti, peri, meli, peschi e ciliegi. A un’altra piccola imprenditrice agricola, Maria Gordini, il fango ha cancellato un intero meleto della varietà golden «che era il nostro orgoglio».
In un terreno vicino una donna cerca gli oggetti che la piena ha portato via dalla sua abitazione. Fa così ogni giorno da quando l’acqua le ha svuotato la casa. Più avanti, dai filari di un vigneto spuntano alcune automobili che sono state trascinate lì dall’inondazione. Alcune abitazioni e aziende agricole vicine al punto in cui l’acqua ha sfondato l’argine non sono agibili, nelle altre gli abitanti sono rientrati ma non possono ancora cucinare perché manca il gas.
Secondo i dati forniti dalla Regione Emilia-Romagna al governo di Giorgia Meloni, l’alluvione ha provocato danni per 1,1 miliardi di euro all’agricoltura, un settore che è secondo per esportazioni solo alla meccanica. Confagricoltura ha fatto i conti delle perdite causate dalla mancata produzione di quest’anno: 6mila euro a ettaro per i seminativi e 32mila per frutteti, vigneti e oliveti. Il costo complessivo sarà però più alto, «perché l’acqua rimasta nei frutteti ha soffocato le radici degli alberi fino a farle marcire», gli alberi dovranno essere sostituiti e ci vorranno quattro o cinque anni per vedere i primi raccolti. In totale, dovranno essere estirpati e sostituiti circa dieci milioni di alberi da frutta, con un costo aggiuntivo tra i 40 e i 50 mila euro in media per ogni frutteto, che non tutti gli agricoltori sono in grado di sostenere. Anche volendo ripiantarli tutti, sarebbe difficile trovarne un numero così alto sul mercato.
La Coldiretti ha elencato la frutta che quest’anno non finirà sui banchi dei mercati, sugli scaffali dei supermercati e all’estero: albicocche, pesche nettarine, susine, mele, pere, kiwi e fragole. La regione in generale è la maggiore produttrice italiana di albicocche, mentre la Romagna in particolare produce il 20 per cento delle pesche, il 50 per cento della varietà nettarina, e il 70 per cento delle pere diffuse in Italia. In Romagna si coltivano tantissime varietà di pere: Abate Fetel, Conference, Decana del Comizio, Kaiser, Max Red Bartlett, Cascade, Passa Crassana, Williams, Santa Maria e Carmen, che hanno il marchio europeo IGP (Indicazione geografica protetta).
L’alluvione ha sommerso 7.500 ettari di terreni coltivati a pesche nettarine, 4.500 ettari ad albicocche, 4.200 a kiwi e 2.600 a pere. Inoltre ha distrutto 27mila ettari di vigneti, in cui si producono uve come Sangiovese e Trebbiano, e ha fatto saltare la raccolta stagionale di orzo, mais, soia, girasole, erba medica e ortaggi. Secondo le stime della Coldiretti sono andate perdute anche 400mila tonnellate di grano tenero coltivato in 30mila ettari di terreni allagati. In questo caso non dovrebbero esserci gravi ripercussioni economiche, poiché il prezzo dei cereali è calato dopo essere aumentato molto lo scorso anno per la guerra in Ucraina. Sarà sostituito con il grano proveniente dal Canada, dalla Romania e dall’Ungheria.
«Il governo dice che ci risarcirà al cento per cento, ma non sappiamo quali criteri utilizzeranno: ad esempio, ci ripagheranno tutte le piante perdute o solo i frutti pendenti?», si chiede Lino Bacchilega, direttore generale della Cooperativa agricola braccianti (CAB) Terra. La CAB Terra, che è la cooperativa agricola più antica d’Italia e oggi ha 70 soci lavoratori, il 19 maggio ha consentito che i tecnici del Consorzio di bonifica facessero una «rottura controllata» dell’argine del canale Magni, piazzando un tubo che ha fatto defluire l’acqua per quasi due chilometri nei terreni della cooperativa. «Non abbiamo avuto alcuna esitazione a sacrificare i nostri campi, perché l’acqua avrebbe sommerso il centro di Ravenna e il petrolchimico, con danni ben maggiori», dice Bacchilega. In totale sono stati sommersi 150 ettari di coltivazioni. «C’erano barbabietole da zucchero, erba medica, ravanelli, per fortuna i frutteti non sono stati inondati e stiamo ancora cercando di capire se riusciamo a salvare anche il grano, perché solo la paglia è finita sott’acqua».
Bacchilega indica sul computer del suo ufficio a Piangipane, poco fuori Ravenna, i terreni ricoperti di fango «dove abbiamo perso tutto» e quelli finiti sott’acqua, dove dovrebbe saltare solo la produzione di quest’anno. La CAB Terra stima il danno economico provocato dalla perdita dei raccolti in un milione e 800 mila euro, circa un terzo del fatturato annuo, che è di sei milioni di euro. Per ora ha ripreso l’attività, ma secondo Bacchilega «i problemi di liquidità li avremo alla fine dell’anno, quando avremmo dovuto incassare il ricavato dei raccolti estivi». Dice Fabrizio Galavotti, presidente della CAB Terra: «Abbiamo quasi 700 ettari di terra compromessi e ci aspettiamo degli aiuti concreti, come le altre 5 mila imprese agricole del territorio di Ravenna che sono state gravemente danneggiate».
– Leggi anche: Come è stata protetta Ravenna dall’alluvione
La CAB Terra non è l’unica cooperativa del ravennate che ha sacrificato i propri terreni per evitare danni alle città. A Conselice la Cooperativa agricola braccianti Massari, che occupa 134 persone, ha acconsentito a un’inondazione controllata per alleggerire la pressione sull’area industriale del paese, sommergendo tutti i 2.500 ettari di terreni sui quali lavora, gli uffici aziendali, un’officina, un agriturismo, una stalla da latte biologico, un biodigestore (un impianto in cui gli scarti organici fermentano per produrre gas combustibile) e un’azienda faunistico-venatoria. Il mensile Altreconomia ha fatto i conti delle perdite della CAB Massari: «82 ettari di vigneto, considerando che ogni ettaro di vigna conta circa 2.800 piante e ognuna ha un costo di due euro, arriviamo a 460mila euro solo per il ripristino di un vigneto. Nel caso di meli, peri e peschi il costo è di otto euro a pianta e per ciascun ettaro di frutteto perso servono 20mila euro, nel caso di mele o pere, e 12mila euro per le pesche».
Su 12mila ettari coltivati dalle 7 cooperative di braccianti del ravennate, se ne sono allagati 6.150, «una misura che corrisponde a novemila campi da calcio», dice il presidente di Legacoop Romagna Paolo Lucchi, usando un consueto termine di paragone per dare l’idea dell’ampiezza delle inondazioni. Alla CAB di Bagnacavallo, in cui lavorano 39 persone, sono stati inondati 900 ettari di terreni, il centro aziendale e il biodigestore. Alla Agrisfera lavorano 133 braccianti e sono stati sommersi 60 ettari di mais biologico destinato alla stalla da latte di Conventello, un’altra frazione di Ravenna.
Secondo i dati della regione l’alluvione ha colpito 21mila aziende agricole, allagando 80 mila ettari di terreni, il 42 per cento della «superficie agricola utilizzabile». Le persone che lavorano nelle piccole e medie aziende agricole dei comuni colpiti sono 41mila, mentre altre 23 mila lavorano in 2.800 grandi imprese dell’agroindustria. Confagricoltura sostiene che sono a rischio 50mila posti di lavoro tra «agricoltori e lavoratori dipendenti nelle campagne, nelle industrie e nelle cooperative di lavorazione e trasformazione».
Le aziende agricole chiedono che il governo di Giorgia Meloni, dopo aver nominato il generale Francesco Paolo Figliuolo a commissario straordinario per la ricostruzione, sblocchi i soldi già stanziati con un decreto-legge il 2 giugno: 175 milioni di euro oltre ai 21 milioni messi a disposizione dalla regione, che ha chiesto anche di poter accedere al Fondo di solidarietà nazionale per la «ricostruzione e ripartenza», alimentato da tutte le regioni italiane. Le imprese possono presentare la richiesta di risarcimento attraverso un sito del governo, ma per i rimborsi dovranno attendere che vengano emanati i decreti attuativi della legge approvata. Nel frattempo l’Italia ha chiesto all’Unione Europea di accedere al Fondo di solidarietà europea, che è stato creato per «sostenere la ripresa dalle catastrofi naturali» e ha un bilancio annuale di 1,2 miliardi di euro.
Un altro fondo da cui si possono attingere finanziamenti utili alla Romagna è la cosiddetta «riserva di crisi» della Politica agricola comune dell’Unione Europea (PAC), che per quest’anno è di 450 milioni di euro, 200 dei quali già impegnati per aiuti straordinari agli agricoltori dell’Europa orientale penalizzati dal calo recente del prezzo dei cereali. Italia, Francia, Portogallo e Spagna hanno chiesto che i fondi vengano distribuiti a loro, con la possibilità per gli agricoltori di chiedere un anticipo del 70 per cento e, in alcuni casi, fino all’85 per cento. Il 27 giugno la Commissione Europea ha proposto all’Italia un pacchetto di aiuti straordinari per 60,5 milioni di euro, presi dalla riserva della PAC.