Il goffo tentativo di Shein di ripulirsi l’immagine
La contestata azienda cinese di fast fashion ha invitato nelle proprie fabbriche alcune influencer, ma i follower non hanno gradito
L’azienda cinese di abbigliamento fast fashion Shein è da tempo al centro dell’attenzione dei media per via del suo successo, del suo modello di produzione superveloce e dei suoi prezzi bassi, che secondo esperti e inchieste comporterebbero pratiche di sfruttamento dei lavoratori e un impatto ambientale insostenibile. Questa settimana l’azienda è tornata è essere molto discussa negli Stati Uniti dopo che alcune influencer hanno raccontato sui social di essere state invitate a visitarne le fabbriche a Canton, in Cina, e ne hanno elogiato la trasparenza sui social definendole «sorprendenti».
Non è strano che un’azienda organizzi un “viaggio stampa” coinvolgendo giornalisti o influencer per far parlare di sé, ma in questo caso le persone coinvolte sono state molto criticate, tanto che alcune hanno finito per cancellare video e foto e chiedere scusa ai propri follower. L’operazione infatti è apparsa a molti una specie di goffa messa in scena di Shein per ripulire la propria immagine e smentire quanto emerso in diverse inchieste giornalistiche sulle condizioni inumane di lavoro nelle sue fabbriche.
Shein (che si pronuncia sci-in) fu fondata nel 2008 dall’imprenditore cinese Chris Xu a Nanchino e oggi ha un valore stimato di 100 miliardi di dollari, più di H&M e Zara messe insieme. All’inizio vendeva abiti da sposa comprati nei mercati all’ingrosso, poi cominciò a vendere anche abiti normali, sfruttando il fatto che all’epoca i negozi di vestiti online non erano molti. L’obiettivo di Shein era conquistare direttamente il mercato europeo e americano (senza passare dalla Cina) e competere con i più grandi marchi di fast fashion. Nel 2021 quella di Shein era diventata la app di shopping più scaricata negli Stati Uniti, battendo Amazon, ma si era diffusa molto anche in Europa. È apprezzata in particolare da un pubblico di donne giovani per la scelta molto ampia di articoli e taglie, e per i prezzi estremamente bassi.
Oggi a Shein bastano pochi giorni per produrre una nuova collezione, e l’azienda si vanta di confezionare migliaia di nuovi capi ogni giorno. Per dare l’idea di come sia riuscita a superare di molto la velocità del fast fashion e dell’ultra fast fashion, l’esperto di tecnologia cinese Matthew Brennan ha definito la strategia di Shein “real-time retail”, “commercio in tempo reale”.
La polemica online di questi giorni ha coinvolto diverse influencer, ma si è concentrata soprattutto attorno a un video (poi cancellato) pubblicato dalla modella Dani Carbonari sul suo account Instagram. «Mi sento più fiduciosa che mai della mia collaborazione con Shein», aveva scritto in un commento al video in cui si vedevano gli stabilimenti dell’azienda. «Sono consapevoli di ogni singola diceria e invece di stare tranquilli stanno combattendo con quanto è in loro potere non solo per mostrarci la verità, ma per continuare a perfezionarsi ed essere il meglio che possono». Carbonari si definiva inoltre «emozionata e colpita» dalle condizioni di lavoro dei dipendenti. Dopo le molte critiche, Carbonari ha pubblicato un video in cui spiega di aver sbagliato e si scusa per non aver fatto abbastanza ricerche su Shein.
Tra le inchieste fatte su Shein negli ultimi due anni, una delle più approfondite è quella del documentario Inside the Shein Machine: UNTOLD uscito l’anno scorso e prodotto da Channel 4, un canale della televisione britannica. Nel documentario vengono mostrate le riprese fatte di nascosto da un operaio sotto copertura, si parla di salari attorno ai 550 euro al mese, produzioni di 500 capi a persona al giorno e giornate lavorative da 18 ore con solo una giornata di riposo al mese.
Oltre che per le condizioni dei lavoratori, Shein è stata molto criticata anche per aver adottato un modello di ideazione dei propri vestiti basato sulla pratica di copiare quelli di altre case di moda o designer. Nel 2021 inoltre la reputazione di Shein era stata compromessa anche da un’indagine che aveva rivelato come i suoi capi d’abbigliamento contenessero sostanze considerate tossiche dagli esperti. L’azienda aveva poi tolto i capi in questione dal proprio sito.
Shein cominciò a usare influencer e social network quando pochi altri lo facevano, e più di recente è stata tra i primi a usare TikTok a scopi promozionali. Soprattutto negli Stati Uniti, si è costruita un seguito semplicemente chiedendo alle sue utenti di pubblicare foto con i vestiti di Shein e l’hashtag #SheinGal, cioè “ragazza di Shein”, offrendo in cambio la pubblicazione della foto sul canale ufficiale dell’e-commerce, che su Instagram ha milioni di follower. Secondo l’analisi fatta dalla giornalista Heather Tal Murphy su Slate, i contenuti pubblicati dalle influencer criticate in questi giorni sarebbero solo una minima parte di quelli che ogni giorno vengono pubblicati sui social, dove la presenza di Shein è ormai pervasiva.