I due alleati di Putin diventati nemici del gruppo Wagner
Chi sono Sergei Shoigu, potente ministro della Difesa, e Valery Gerasimov, capo di stato maggiore delle Forze armate russe
Il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu è apparso lunedì in un video, apparentemente registrato in Ucraina, per la prima volta dopo la fine della rivolta armata di Wagner, gruppo di mercenari russi che tra venerdì e sabato aveva iniziato una “marcia” verso Mosca. Il video dura meno di un minuto, è senza audio e non è possibile affermare con certezza a quando risalga. La cosa rilevante però è che è stato diffuso dal ministero della Difesa russo, lo stesso che era stato duramente criticato da Wagner e che era stato individuato dal gruppo come uno dei due principali obiettivi da colpire tramite la rivolta: l’altro era Valery Gerasimov, capo di stato maggiore delle Forze armate russe. La diffusione del video è stata interpretata come un’implicita dichiarazione di sostegno a Shoigu da parte di Putin, rilevante perché qualcuno aveva ipotizzato che per fermare la rivolta il governo russo avesse negoziato con Wagner le dimissioni dello stesso Shoigu e di Gerasimov.
Shoigu e Gerasimov erano da mesi obiettivi di attacchi diretti da parte di Prigozhin, che li aveva accusati di errori, mancato appoggio a Wagner nella guerra in Ucraina e venerdì anche di presunte operazioni militari contro i mercenari (comunque finora non confermate da fonti credibili). Erano anche stati al centro delle critiche di blogger militari e nazionalisti russi, che li avevano incolpati dello scarso successo dell’invasione ucraina, nonché delle carenze nell’organizzazione dell’esercito e nei rifornimenti alle truppe al fronte.
I due sono però anche fra i più fedeli collaboratori del presidente Putin e fanno parte di quello che viene definito il «circolo ristretto» delle persone a lui più vicine: il sistema di attuale di potere in Russia, guidato da Vladimir Putin, è più attento infatti alla fedeltà personale che alla competenza o all’efficacia delle scelte. La diffusione del video di Shoigu va interpretata probabilmente in questo senso, quindi nella scelta di privilegiare ancora una volta l’elemento della fedeltà personale, nonostante gli estesi insuccessi militari che la Russia ha incassato negli ultimi mesi in Ucraina.
Un’altra caratteristica del sistema di governo putiniano è una diffusa corruzione, presente a quasi ogni livello politico e amministrativo e per lo più tollerata: l’esercito e più in generale la Difesa non ne sono immuni. Gli effetti di questa corruzione si vedono ai livelli più bassi nelle numerose mancanze della logistica dell’esercito, ma coinvolgono probabilmente anche i vertici dell’esercito e del ministero della Difesa..
La guerra ha cambiato la percezione che c’era verso entrambi in Russia: prima dell’invasione del febbraio 2022 i due godevano di ottima reputazione in patria grazie ai successi militari ottenuti in precedenza in Crimea (annessa dalla Russia nel marzo 2014) e in Siria (dove la Russia ha combattuto la guerra a fianco del presidente Bashar al Assad contro i ribelli siriani).
Per il regime russo, Sergei Shoigu non è un ministro qualunque: da molti anni è uno dei principali alleati di Putin. Originario della regione di Tuva, al confine con la Mongolia, ebbe lì i suoi primi incarichi politici, diventando poi ministro per le Emergenze e la Protezione civile negli anni Novanta, sotto la presidenza di Boris Eltsin, la prima post-sovietica. Il ruolo gli diede una grande visibilità e una reputazione positiva: in occasione di ogni calamità naturale in Russia, Shoigu arrivava, spesso in elicottero, fornendo aiuti immediati grazie a una struttura che arrivò a contare anche 350 mila uomini. Shoigu per vent’anni organizzò la protezione civile secondo un modello militare, ordinando ai suoi uomini di indossare sempre l’uniforme e dando loro gradi militari. Non aveva però una formazione militare: era ufficialmente “tenente” dopo aver superato un corso obbligatorio all’università, ma fu promosso direttamente a “generale” da Eltsin.
Nonostante la discreta popolarità, non si oppose mai all’ascesa del meno noto Vladimir Putin, ma anzi lo affiancò e se ne mise in un certo senso al servizio, anche all’interno del partito Russia Unita, il partito di Putin. I due col passare degli anni mostrarono una crescente vicinanza: Shoigu invitò spesso Putin nella regione di Tuva e in Siberia per sessioni di pesca e di caccia, che contribuirono alla creazione dell’immagine di uomo d’azione del presidente: cavalcate a cavallo, foto a petto nudo, persino la “neutralizzazione” di una tigre con un fucile caricato con proiettili tranquillanti.
Nel 2012 Putin lo nominò ministro della Difesa, rendendolo membro permanente del Consiglio di sicurezza, nonché principale attore nei successivi interventi militari. Shoigu è considerato come uno degli artefici della modernizzazione dell’esercito russo (che ha mostrato molti limiti nell’invasione dell’Ucraina) e della grande attività dei servizi segreti militari (GRU), che hanno condotto assassini mirati anche all’estero. La sua reputazione interna è cresciuta in seguito all’annessione della Crimea e all’intervento decisivo in appoggio al regime di Bashar al Assad in Siria, nonostante crescenti critiche provenienti dall’interno del mondo militare: è spesso accusato di essere più interessato alla sua immagine pubblica che alle reali esigenze dell’esercito.
Le stesse critiche sono state rivolte spesso al capo delle forze armate Valery Gerasimov, soprattutto da quando, a gennaio, Putin lo ha messo a capo anche delle operazioni in Ucraina. Gerasimov, che è anche vice-ministro di Shoigu, ha invece fatto carriera militare fin da giovane, dal periodo dell’Armata Rossa sovietica: fu uno dei comandanti russi durante la seconda guerra cecena (1999-2009) e poi nominato a capo delle forze armate proprio nel 2012, quando Shoigu divenne ministro della Difesa.
Per anni è stato ritenuto l’inventore della “guerra ibrida” russa, definita anche “dottrina Gerasimov”.
Secondo l’interpretazione diventata popolare anche in Occidente, messa però in dubbio in tempi recenti e frutto probabilmente di un fraintendimento, la dottrina Gerasimov prevedeva che le forze nemiche non dovessero essere combattute con uno scontro militare diretto, ma indebolite dall’interno, facendo uso di «misure politiche, economiche, mediatiche, umanitarie e altre», sfruttando quindi mezzi non convenzionali, come la disinformazione, gli attacchi informatici, e le azioni mirate delle forze speciali al posto di quelle generalizzate degli eserciti convenzionali. La nascita della narrativa intorno alla “dottrina Gerasimov” viene fatta risalire a un discorso del 2013, in cui però il generale riferiva un insieme di concetti che circolavano da tempo negli ambienti militari, non soltanto russi, accusando di questi mezzi proprio le forze occidentali.
Prigozhin ha accusato Gerasimov e Shoigu di stare «seduti nei loro uffici lussuosi con gli interni in legno mentre mandano a morire i ragazzi russi». Shoigu è stato al centro delle critiche anche per la vita agiata e molto pubblicizzata sui social network della figlia minore Ksenia e di suo marito Alexey Stolyarov, un personal trainer diventato una celebrità sui social russi grazie proprio ai notevoli mezzi economici della famiglia Shoigu. Come molti appartenenti al circolo dei più stretti collaboratori di Putin, Shoigu e Gerasimov sembrano aver costruito in questi anni anche grandi fortune economiche personali, oggetto peraltro delle sanzioni internazionali dopo l’invasione dell’Ucraina.
La conclusione della rivolta armata del gruppo Wagner ha lasciato parecchie domande senza risposta, comprese quelle sul futuro di Prigozhin, ma anche dell’attuale leadership militare russa e della solidità del potere di Putin. Proprio il progetto di uno scioglimento del gruppo Wagner promosso e sostenuto da Shoigu e Gerasimov era stato probabilmente fra le cause dell’iniziativa militare di Prigozhin: Putin sembra averlo confermato lunedì nel breve messaggio alla nazione, il primo dopo la fine della rivolta.