In Romagna si cerca di capire quanto inquinamento abbia lasciato l’alluvione
Nei canali e in mare si sono riversate chiazze maleodoranti e colorate, sono morti quintali di pesci, e le analisi non soddisfano tutti
di Angelo Mastrandrea
Il 5 giugno il canale Destra Reno, che attraversa per 37 chilometri la Romagna in provincia di Ravenna, ha cominciato a colorarsi di nero. L’acqua sulla superficie aveva una patina oleosa e diffondeva un odore nauseabondo. Lo stesso giorno all’incrocio con il canale Mandriole, nelle campagne tra Casalborsetti e Sant’Alberto, nel parco regionale del Delta del Po, sono stati trovati migliaia di pesci morti vicino a una chiusa, un sistema idraulico che serve a far defluire le acque e a impedire le esondazioni. Li ha fotografati Alvaro Ancisi, un politico che da queste parti è molto conosciuto perché, tranne qualche breve parentesi, è in consiglio comunale dal 1967, prima con la Democrazia Cristiana e poi con una lista civica. La mattina dopo Ancisi ha presentato un’interrogazione urgente al sindaco di Ravenna Michele de Pascale, del Partito Democratico, chiedendogli un intervento urgente per motivi ambientali e sanitari.
I tecnici dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale dell’Emilia-Romagna (Arpae), del Consorzio di bonifica della Romagna occidentale e del comune di Ravenna hanno steso delle reti per evitare che le correnti portassero i pesci verso le spiagge o che formassero una sorta di tappo che avrebbe provocato l’inondazione dei capannoni, dei terreni coltivati e della cascina settecentesca che ospita l’altrettanto antica fattoria Guiccioli, dov’è ancora custodito il letto in cui, il 4 agosto del 1849, morì di «febbre perniciosa» Anita Garibaldi. Hanno tirato su 50 quintali di pesci, sia di acqua dolce che salata, come carpe, cefali, carassi, anguille e siluri che avevano risalito il canale per cercare da mangiare, come fanno spesso quando c’è la bassa marea.
L’inquinamento dei canali, dei fiumi e del mare è l’ultima conseguenza dell’alluvione che il 16 maggio scorso ha colpito la Romagna provocando 15 morti, migliaia di sfollati, l’esondazione di 23 fiumi e centinaia di canali di scolo, fossi e torrenti, oltre a un migliaio di frane, l’allagamento di un centinaio di comuni, di decine di chilometri quadrati di terreni agricoli e di allevamenti e la distruzione di ponti e strade. In una relazione presentata il 15 giugno al governo, la Regione Emilia-Romagna ha stimato i danni in 8,9 miliardi di euro, dei quali 1,8 sono richiesti per interventi urgenti. Il governo Meloni ha stanziato 1,6 miliardi, ma i soldi non sono ancora arrivati perché mancano i decreti attuativi.
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Nei giorni seguenti l’acqua nera è finita in mare a Casalborsetti, una frazione a 15 chilometri da Ravenna che si era appena vista riconfermare dalla Federazione europea per l’educazione ambientale la “bandiera blu” per la qualità delle acque e delle spiagge. A Casalborsetti il canale Destra Reno arriva al mare attraverso la vecchia foce del fiume Lamone, tagliando in due il paese. Un ponte pedonale congiunge il lato sud e quello nord, mentre sul lungofiume da una parte e dall’altra ci sono seconde case di villeggiatura e qualche ristorante di pesce. La chiazza si è estesa in mare per alcuni chilometri e il sindaco de Pascale ha vietato la balneazione nei punti più inquinati, in particolare nel raggio di un centinaio di metri dalla foce del canale Destra Reno, dove ci sono diversi stabilimenti balneari. Un operatore turistico ha scritto al Consorzio di bonifica a nome dei titolari dei lidi, denunciando che «l’acqua, nera e pestifera, mostra anche degli idrocarburi in superficie» e che «la gente del luogo presenta irritazioni al naso per i miasmi che respira».
Alla fine di maggio alcuni tratti della costa ravennate erano stati dichiarati non balneabili per la presenza di batteri arrivati dall’esondazione delle fogne, come l’Escherichia coli, che se ingerito provoca gastroenteriti. In spiaggia però già non ci andava più nessuno perché in quei giorni le correnti portavano a riva di tutto. «Sulla sabbia abbiamo trovato centinaia di carcasse di animali morti, soprattutto galline e pecore», spiegano alcuni residenti di Casalborsetti e di Marina di Ravenna. Provenivano in gran parte dagli allevamenti intensivi e dalle piccole aziende agricole sommerse dall’acqua e dal fango. L’alluvione che il 16 maggio ha colpito la Romagna ha coinvolto circa 250mila animali, ma non è stata diffusa una stima precisa di quanti ne siano morti.
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Nelle stesse ore in cui i pesci morti si ammassavano alla chiusa del Mandriole, il canale di scolo Zaniolo, che attraversa il comune di Conselice e a sua volta finisce nel Destra Reno, è diventato di uno strano colore tra il rosa e il porpora in alcuni tratti, e in altri rosso. Anche in questo caso è intervenuta l’Arpae, che ha prelevato dei campioni e li ha fatti analizzare. Le analisi hanno stabilito che «la colorazione anomala, rosacea-purpurea, del torrente Zaniolo è da ricondursi alla presenza di batteri purpurei appartenenti probabilmente alla famiglia delle Chromatiaceae e di alghe unicellulari del genere Euglena, organismi che possono proliferare nelle acque dolci poco mobili o stagnanti, con scarsità di ossigeno e con una grande quantità di nutrienti». Nelle acque è stata trovata anche una concentrazione «più elevata che negli anni precedenti» di fitofarmaci, dei prodotti chimici utilizzati nell’agricoltura convenzionale per evitare che le colture siano attaccate da parassiti, per farle crescere più in fretta o per distruggere le erbe infestanti. Secondo Legambiente ciò è accaduto perché l’acqua ha «lavato» i campi, diluendo gli antiparassitari, gli anticrittogamici, gli erbicidi e i pesticidi spruzzati sulle colture.
Nelle settimane successive all’alluvione i canali artificiali del ravennate si sono riempiti delle acque che avevano ristagnato a lungo nelle strade di Conselice e che hanno allagato i campi, gli allevamenti e l’area industriale di Fornace Zarattini, a nord di Ravenna. Il Consorzio di bonifica ha stimato che vi sono finiti 400 milioni di metri cubi d’acqua «senza passare attraverso un processo di depurazione da parte del servizio idrico integrato i cui impianti, al pari di tutte le altre infrastrutture colpite dall’evento, sono stati gravemente danneggiati». I campioni prelevati nel canale Mandriole e a Casalborsetti hanno rilevato «una condizione di forte anossia», vale a dire di mancanza di ossigeno, che ha ucciso i pesci.
Secondo l’Arpae la forte puzza è invece stata provocata da un’alta percentuale di solfuri, cioè derivati dell’acido solfidrico, usati in agricoltura come insetticidi. È stata trovata pure un’alta percentuale di Escherichia coli, batteri tipicamente presenti nelle feci umane, che se ingeriti possono provocare varie infezioni e malattie. La patina oleosa notata dai residenti è invece un effetto della presenza di idrocarburi: nel canale Destra Reno ne sono stati trovati 0,4 milligrammi per litro, il doppio del valore massimo per «l’idoneità alla vita dei pesci», secondo l’Arpae. Gli esperti pensano che la gran quantità di pesci morti trovati a ridosso della chiusa sia stata provocata dal fatto che questi cercavano di sfuggire all’acqua inquinata e si sono concentrati nei pressi della chiusa, dove c’era una presenza maggiore di ossigeno. Finché è arrivata anche lì l’acqua nera.
Lorenzo Mancini, referente di Legambiente per Ravenna, crede che quella monitorata dall’Arpae sia solo una parte dell’inquinamento provocato dall’alluvione. «Il problema vero sono le sostanze chimiche finite nei corsi d’acqua e poi in mare», dice. A Conselice si sono allagati due stabilimenti industriali, l’Officina dell’Ambiente e l’Unigrà, «che lavorano con sostanze tossiche», spiega. L’Officina dell’Ambiente recupera le scorie prodotte dagli inceneritori dei rifiuti solidi urbani, trasformandole in “matrix”, un materiale utilizzato per la produzione di cemento. L’azienda, contestata dagli ambientalisti nonostante presenti la sua produzione come un esempio di economia circolare al servizio della cosiddetta green economy, sostiene però che tutte le sostanze usate per le lavorazioni fossero stoccate nei depositi e si siano salvate dall’alluvione.
L’Unigrà è invece una multinazionale che trasforma prodotti agroalimentari. Già nei giorni dell’alluvione le acque che hanno invaso lo stabilimento si sono colorate di nero, ma le autorità sanitarie e l’azienda hanno sostenuto che non contenessero sostanze inquinanti. A loro dire, il colore scuro sarebbe stato provocato dal contatto del fango con il grano e con altri prodotti agricoli in lavorazione. L’Arpae ha fatto tre prelievi di acque all’Officina dell’Ambiente e all’Unigrà e non ha trovato né idrocarburi né metalli pesanti. Legambiente però non è convinta che sia stato fatto tutto il necessario per individuare le sostanze chimiche diluite nelle acque. «Non è stato cercato tutto perché avrebbero dovuto fare delle analisi specifiche che sarebbero state più complicate e costose», sostiene Mancini. Vicino all’Officina dell’Ambiente scorre il canale Zaniolo, quello che si è colorato di rosa porpora in alcuni punti e di rosso in altri la mattina del 6 giugno.
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A Conselice c’è ancora fango nero, limaccioso e visibile a occhio nudo. Raffaella Verdiani, una volontaria delle Brigate di solidarietà attiva che tutti i giorni vanno a ripulire abitazioni private, cantine e garage, lo mostra davanti a un capannone di proprietà del comune dove sono accatastate maschere e carri della festa di San Grugnone, il carnevale più famoso dell’Emilia-Romagna. A suo parere si tratta di acqua delle fogne che si è mescolata al limo delle esondazioni. Il fango nero è un residuo delle acque rimaste stagnanti per due settimane nel paese. Il 26 maggio il colore nerastro che avevano assunto ha spinto la sindaca Paola Pula, eletta con una lista civica di centrosinistra, a ordinare l’evacuazione del paese per ragioni igienico-sanitarie. Ora la situazione è migliorata, l’acqua si è asciugata lasciando fango rinsecchito e polvere ovunque, nelle strade come nelle abitazioni o nei giardini. «L’emergenza non è finita, perché i dormitori e le mense sono stati chiusi, la gente è rientrata nelle case vuote e ha bisogno di maggiore aiuto», dice Verdiani. Per questo le Brigate di solidarietà attiva, che contano su 700 volontari da tutta Italia e solo a Conselice hanno fatto «300 interventi», hanno deciso di proseguire la loro attività, organizzandosi con dei turni di lavoro.
Il 15 giugno l’Arpae è tornata a controllare il canale Destra Reno. A un mese dall’alluvione in alcuni tratti «sono state rilevate acque di colore scuro e maleodorante», scrive. In altri punti «sono risultate anossiche», con l’ossigeno misurato pari a un milligrammo per litro. È migliorata invece la situazione verso la foce, dove i valori di inquinamento sono tornati nella norma.
In un comunicato stampa diffuso il 21 giugno l’Arpae ha scritto che nelle acque analizzate finora «non c’è evidenza di una contaminazione persistente di sostanze inquinanti pericolose di origine antropica». Il mare è tornato limpido e pare aver diluito l’acqua nera. Il sindaco ha tolto il divieto di balneazione quasi ovunque, tranne per un centinaio di metri a nord della foce del canale Destra Reno. I lidi hanno riaperto e i vacanzieri, per ora pochi perché è bassa stagione, sono tornati a fare il bagno. La presidente di Italia Nostra Francesca Santarella comunque denuncia che «abbiamo trovato alla foce del torrente Bevano, in un’area protetta a sud di Ravenna, degli uccelli morti o in stato di grave sofferenza», forse per aver bevuto l’acqua del canale. Alcuni di questi appartengono a specie protette.