La strana truffa di un dipendente della Banca d’Italia a un’istituzione europea
Un economista che viveva nel suo ufficio è accusato di aver sottratto decine di migliaia di euro: nessuno riesce a rintracciarlo, da anni
A inizio giugno un ex dipendente della Banca d’Italia è stato condannato dalla Corte dei Conti italiana a risarcire un’istituzione dell’Unione Europea per cui l’uomo aveva lavorato, il Comitato Economico e Sociale Europeo, di 152.856 euro, cioè i soldi accumulati indebitamente fra il 2009 e il 2012 per una presunta truffa. La notizia è stata data dal Messaggero e pochi giorni fa dal sito di news Politico.
La storia è piuttosto intricata, e secondo Politico dimostra soprattutto quanto siano morbidi i controlli sulla trasparenza degli importanti funzionari che lavorano nelle istituzioni periferiche dell’Unione. Soprattutto nel Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE), un’istituzione nota da tempo per il suo contributo marginale al processo legislativo europeo e per la sua gestione opaca.
L’ex dipendente della Banca d’Italia, che Politico identifica soltanto con la lettera G., è stato per anni un economista della Banca, e considerato un esperto di rilevanza nazionale su alcuni temi. Nel 2009 venne “distaccato” temporaneamente a una istituzione europea, come spesso capita nella carriera di importanti funzionari pubblici. L’istituzione in questione però è piuttosto particolare. Il CESE fu istituito nel 1958 per dare modo a sindacati e associazioni di categoria di partecipare alla creazione del mercato unico europeo, lo spazio dentro al quale merci e servizi possono circolare senza frontiere: da allora però ha perso molta centralità.
Oggi rimane un organo consultivo, coinvolto in maniera molto ridotta nel processo legislativo gestito soprattutto dalla Commissione Europea, dal Parlamento Europeo e dai governi nazionali riuniti nel Consiglio. Negli ambiti europei ha la fama di un posto dove si lavora assai meno che in tutte le istituzioni più rilevanti, a fronte di stipendi rimasti piuttosto alti.
G. venne distaccato al CESE nel 2009. Prima di essere trasferito ottenne alcuni benefit dalla Banca d’Italia per fare fronte alle spese che avrebbe dovuto sostenere per trasferirsi a Bruxelles, in Belgio, dove ha sede il CESE (a pochissima distanza dal Parlamento Europeo, nel quartiere delle istituzioni). G. però chiese un aumento dello stipendio per coprire i costi dell’alloggio anche al CESE. La Corte dei Conti sostiene che i soldi ricevuti da G. sia dalla Banca d’Italia sia dal CESE per l’alloggio a Bruxelles non siano mai stati spesi. G., apparentemente, ha vissuto per anni dentro al suo ufficio.
Una fonte interna al CESE ha raccontato a Politico che la porta dell’ufficio di G. era sigillata in modo che nessuno potesse entrarci (più o meno come la porta di un appartamento). Un funzionario della Banca d’Italia che ha preferito rimanere anonimo ha aggiunto, sempre parlando con Politico, che nella stanza G. aveva sistemato un materasso. Il Messaggero cita una sentenza penale che G. ha ricevuto nel 2019 per questa stessa vicenda secondo cui nell’ufficio al CESE G. aveva anche portato degli «effetti personali», e in sostanza «trasformato il proprio studio in un alloggio».
Nel 2012, dopo tre anni di permanenza al CESE, la situazione di G. venne segnalata alla Banca d’Italia, poco prima però che finisse il suo distaccamento. Nel gennaio del 2014 G. venne infine licenziato per un’assenza ingiustificata di due mesi, che andava avanti da novembre. Intanto però aveva trovato lavoro alla Commissione Europea, dove è rimasto fino al 2016.
Più o meno da quell’anno di lui si sono completamente perse le tracce. La Corte dei Conti ha provato a rintracciarlo a Bruxelles, dove il suo ultimo indirizzo noto risale al 2017, senza successo. G. ha scelto di non essere rappresentato da alcun avvocato, circostanza prevista dalle leggi italiane per le cause civili e amministrative, non ha partecipato ad alcuna udienza e nemmeno Politico lo ha trovato. «Forse è in India!», ha scherzato un funzionario della Corte dei Conti che ha voluto rimanere anonimo, parlando proprio con Politico. La Banca d’Italia è già riuscita a recuperare gli 81.537 euro che aveva chiesto indietro a G., non è chiaro se il CESE riuscirà ad ottenere i 152.856 euro di risarcimento.
Non è la prima volta che il CESE, il cui funzionamento costa 150 milioni di euro all’anno e ha circa 700 dipendenti, finisce nei guai per questioni legate alla trasparenza: qualche anno fa si era scoperto che diversi dipendenti avevano lamentato di essere stati bullizzati o molestati, senza che l’istituzione prendesse sul serio le loro segnalazioni.