“Ich bin ein Berliner”, 60 anni fa
La storia del famoso discorso che l'allora presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy tenne a Berlino ovest il 26 giugno del 1963
Nel 1963 l’allora presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy andò in Germania per una visita di stato. Il 26 giugno, davanti a centinaia di migliaia di cittadini e cittadine di Berlino ovest, pronunciò uno dei discorsi più famosi della storia: «Oggi, nel mondo libero, l’orgoglio più grande è dire “Ich bin ein Berliner!”», “Io sono un berlinese”.
Quando Kennedy parlò, era appena terminato uno dei confronti più duri tra Stati Uniti e Unione Sovietica, la crisi dei missili cubani, e il celebre Muro che divideva la città era stato costruito da poco meno di due anni. Il giorno del discorso era anche il quindicesimo anniversario dell’inizio del ponte aereo organizzato dopo che i Sovietici avevano chiuso le vie di accesso alla zona controllata da Stati Uniti, Regno Unito e Francia. E la visita di Kennedy, in quel contesto, era particolarmente attesa.
La divisione di Berlino tra i settori occupati dagli Alleati che avevano vinto la guerra, Francia, Regno Unito e Stati Uniti, e una zona controllata dall’Unione Sovietica era stata decisa dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Berlino fu per tutta la prima parte della Guerra fredda, la lunga fase di ostilità tra Unione Sovietica e Stati Uniti successiva alla Seconda guerra mondiale, il punto di maggior tensione tra i due blocchi. Uno degli episodi più critici fu la chiusura dell’accesso via terra imposto dall’Unione Sovietica alla zona controllata dagli Alleati, cominciato il 24 giugno del 1948. Fino a quel momento il sostentamento della popolazione di Berlino ovest, che era un’enclave interamente circondata dai sovietici, era stato garantito da un “corridoio” ferroviario e stradale attraverso i territori di competenza dell’URSS.
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L’obiettivo del blocco sovietico era costringere gli alleati a lasciare Berlino, ma la risposta fu creare il più grande ponte aereo della storia. Le prime settimane furono difficili, con molti incidenti e un flusso di rifornimenti appena sufficiente. Con il passare dei mesi sempre più aerei, e aerei sempre più grandi, arrivarono nelle basi della Germania occidentale. A settembre, due mesi dopo l’inizio del ponte aereo, l’aviazione americana e quella inglese erano arrivate a consegnare a Berlino ovest le 5mila tonnellate di rifornimenti che erano state ritenute necessarie all’inizio dell’operazione. Il successo del ponte aereo, ancora oggi molto ricordato in città da targhe e monumenti, costrinse l’Unione Sovietica a revocare il blocco nel maggio del 1949.
Quando Kennedy arrivò a Berlino, nell’estate del 1963, era appena terminata una delle crisi diplomatiche più dure tra Stati Uniti e Unione Sovietica: la crisi dei missili cubani. Cominciò il 16 ottobre 1962, quando il presidente fu informato, con prove fotografiche, che l’Unione Sovietica stava costruendo a Cuba delle basi per lanciare missili nucleari in grado di colpire gli Stati Uniti. Terminò il 28 ottobre, quando per decisione di Nikita Kruscev, leader del Partito Comunista, l’Unione Sovietica ritirò i missili. In mezzo ci furono 13 giorni di altissima tensione politica e militare, in cui il conflitto nucleare fu non solo minacciato, ma sfiorato. In quel contesto, furono decisive le trattative diplomatiche segrete e l’individuazione di una soluzione che permise a entrambe le parti in causa di ridurre la tensione, mantenendo l’apparenza di una conclusione senza vincitori né vinti.
Accanto a questo clima di dialogo, che spinse i consiglieri di Kennedy a scrivere un discorso dai toni bassi e pacifici per la sua visita a Berlino, c’era un’altra questione che spingeva invece nella direzione opposta. Poco meno di due anni prima che Kennedy arrivasse a Berlino, il governo della Germania orientale aveva costruito quello che poi sarebbe divenuto famoso come il Muro, una barriera in filo spinato e più tardi di cemento, che seguiva il confine di Berlino ovest cingendola come una cintura. All’epoca, gli Stati Uniti furono accusati di non aver risposto con sufficiente durezza alla costruzione e vi furono anche molte manifestazioni di protesta a Berlino ovest.
Quando nel 1963 Kennedy arrivò in Germania, i suoi abitanti associarono la visita a una speranza di libertà e la interpretarono come il segnale che gli Stati Uniti non li avevano abbandonati. Prima del suo discorso, Kennedy attraversò Berlino ovest su un’auto scoperta, davanti a centinaia di migliaia di berlinesi, alcuni dei quali tenevano in mano striscioni con scritto “Quando cadrà il Muro?”.
Dopo una sosta alla Porta di Brandeburgo e al checkpoint Charlie, dove per 16 ore, dal 27 al 28 ottobre del 1961, i carri armati statunitensi e quelli sovietici si affrontarono da una parte e dall’altra di Berlino, Kennedy arrivò al municipio di Schöneberg intorno alle 13:00.
Il presidente ringraziò innanzitutto il generale Lucius D. Clay, responsabile del ponte aereo. E la folla lo applaudì. Dopodiché, nel momento culminante del discorso, e ripetendo l’ultima frase di nuovo alla fine, il presidente disse:
Duemila anni fa, l’orgoglio più grande era poter dire civis romanus sum. Oggi, nel mondo libero, l’orgoglio più grande è dire “Ich bin ein Berliner!”
Non è chiaro se la prima versione del discorso contenesse già la frase “Ich bin ein Berliner“. Alcuni collaboratori dissero che era stata inserita ancora prima di cominciare il viaggio, mentre altri dissero di averla vista nella versione del discorso preparata il giorno precedente. Altri sostengono ancora che Kennedy abbia chiesto come tradurre “Io sono un berlinese” pochi minuti prima del discorso e che si sia appuntato la pronuncia.
In ogni caso, Kennedy trascurò quasi completamente il discorso preparato e parlò a braccio. Non usò toni prudenti o concilianti, ma criticò duramente l’Unione Sovietica, la Germania est e il comunismo. Esaltò lo spirito dei cittadini di Berlino ovest, suscitando gli applausi dei circa 250 mila spettatori.
In un’altra parte del discorso, pronunciata in tedesco ma molto meno citata, Kennedy parlò di coloro che ritenevano che si potesse dialogare con i comunisti: «Lass’ sie nach Berlin kommen», “Lasciate che vengano a Berlino”. Pochi giorni dopo Nikita Kruscev, leader dell’Unione Sovietica, criticò apertamente quella espressione, interpretandola come un netto rifiuto del dialogo.
«Ci sono molte persone al mondo che non capiscono, o che dicono di non capire, quale sia la grande differenza tra il mondo libero e il mondo comunista. Che vengano a Berlino.
Ce ne sono alcune che dicono, ce ne sono alcune che dicono che il comunismo è l’onda del progresso. Che vengano a Berlino.
Ce ne sono alcune che dicono, in Europa come altrove, che possiamo lavorare con i comunisti. Che vengano a Berlino.
E ce ne sono anche certe che dicono che sì il comunismo è un sistema malvagio, ma permette progressi economici.
Lass’ sie nach Berlin kommen. Che vengano a Berlino».
Dopo vari passaggi in cui criticava esplicitamente la costruzione del Muro, Kennedy concluse il suo discorso, dicendo:
«La libertà è indivisibile e quando un solo uomo è reso schiavo, nessuno è libero. Quando tutti saranno liberi (…) quando quel giorno finalmente arriverà, e arriverà, la gente di Berlino ovest sarà orgogliosa del fatto di essere stata al fronte per quasi due decenni. Ogni uomo libero, ovunque viva, è cittadino di Berlino. E, dunque, come uomo libero, sono orgoglioso di dire “Ich bin ein Berliner”».
Negli anni successivi al discorso ci fu una controversia sul significato letterale delle parole di Kennedy. Nel romanzo di spionaggio Berlin Game dello scrittore Len Deighton, uno dei personaggi spiega che in realtà Kennedy non disse “Sono un berlinese”, ma “Sono un bombolone”. Questo errore era dovuto all’articolo indeterminativo “ein” messo prima di “Berliner”. In tedesco non si utilizza, solitamente, l’articolo determinativo prima della cittadinanza.
Il lato comico derivava dal fatto che Berliner nella Germania settentrionale è il nome del dolce che in gran parte d’Italia si chiama bombolone e nell’Italia settentrionale e nella Germania meridionale si chiama krapfen. Nella recensione del romanzo il New York Times dette per scontato, come fosse un fatto assodato, l’errore di Kennedy: negli anni successivi moltissimi giornali e televisioni diffusero questa versione.
In realtà, esattamente come in italiano, l’uso dell’articolo indeterminativo prima della cittadinanza non è formalmente scorretto e, come hanno sostenuto diversi docenti di lingua tedesca e altri madrelingua, è improbabile che di fronte a un contesto così chiaro, qualcuno, il 26 giugno del 1963, abbia potuto anche per un secondo pensare che Kennedy avesse detto “Io sono un bombolone”.