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  • Domenica 25 giugno 2023

La virtuosa gestione dei rifiuti organici in Corea del Sud

È tra i paesi che li smaltiscono meglio riducendo il loro impatto sull'ambiente, ma arrivarci è stato difficile e ci sono ancora sprechi

(Carl Court/Getty Images)
(Carl Court/Getty Images)
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Da quasi vent’anni in Corea del Sud è vietato conferire i rifiuti organici nelle normali discariche, per via di un ampio programma nazionale per lo smaltimento dei rifiuti e la riduzione delle emissioni di gas serra prodotte dalla fermentazione degli scarti di cibo. Il paese ne produce infatti grandi quantità, che devono essere smaltite velocemente prima che producano metano e odori molto sgradevoli, dovuti soprattutto al fatto che la cucina coreana che comprende numerosi stufati e altre pietanze in brodo.

Molte città in giro per il mondo, comprese alcune in Italia, hanno avviato progetti per gestire i rifiuti organici e farne compost e biogas, ma come ha raccontato di recente il New York Times (e molte altre testate in passato) in pochi paesi è stato avviato un piano su larga scala come quello della Corea del Sud. Il programma ha un costo annuale stimato intorno ai 600 milioni di euro e consente di sfruttare il 90 per cento del cibo scartato, evitando che finisca nelle discariche o negli inceneritori, utilizzati invece per la gestione dei rifiuti che non possono essere riciclati.

Già una trentina di anni fa in Corea del Sud era stata avviata una parziale raccolta differenziata, con l’obbligo di raccogliere separatamente la carta e i rifiuti plastici. All’epoca i rifiuti organici continuavano invece a essere conferiti nelle discariche, insieme ad altri tipi di rifiuto. Il paese stava continuando a crescere e a industrializzarsi, di conseguenza la produzione di rifiuti era in crescita e lo spazio per costruire nuove discariche iniziava a scarseggiare.

Gli scarti di cibo costituivano il problema principale, a causa dei miasmi che si producevano durante la loro fermentazione. Come in altri paesi orientali, in Corea del Sud c’è la tradizione di offrire nei ristoranti e negli altri luoghi di ristoro piattini di benvenuto, che spesso non vengono terminati e devono essere poi gettati. I piatti contengono per esempio tofu, germogli di soia, verdure fermentate e soprattutto il kimchi, il piatto nazionale coreano. È a base di cavolo napa, o cavolo cinese, e ravanelli coreani, fermentati con vari tipi di spezie e condimenti (ne esistono moltissime varianti), che comprendono zenzero, aglio, cipolle e jeotgal, una salsa di pesce sotto sale, fatta con gamberi, ostriche, vongole, pesce o uova di pesce. È un piatto che contiene molta acqua, come varie altre pietanze coreane, di conseguenza i suoi scarti sono pesanti e marciscono molto velocemente.

Preparazione del kimchi (Getty Images)

Verso la fine degli anni Novanta l’odore insopportabile che proveniva da alcune discariche portò alla costituzione di comitati e iniziative per chiederne la chiusura o una revisione del modo in cui venivano utilizzate. Il problema portò all’elaborazione di un piano per gestire diversamente i rifiuti organici, al divieto del 2005 sul conferimento dei residui di cibo in discarica e alla successiva riduzione dell’impatto ambientale dello smaltimento, con tecniche per ridurre le emissioni di gas serra a cominciare da quelle di metano dovute alla fermentazione in discarica.

I ristoratori sudcoreani, per esempio, raccolgono gli scarti di cibo in grandi bidoni sui quali appongono un’etichetta con un codice, in modo da dimostrare di avere separato nel modo corretto l’organico. A fine giornata ogni bidone contiene una melma fatta di ciò che resta di stufati, kimchi e altri scarti. Il mix viene recuperato giornalmente dalle aziende che si occupano della raccolta dei rifiuti e viene portato in impianti per essere processato, utilizzando varie tecniche a seconda dello stabilimento.

– Ascolta anche: La guida di “Ci vuole una scienza” sul riciclo e la differenziata

Attraverso sistemi di separazione automatizzata o a mano, vengono rimossi i pezzi più grandi come ossa e conchiglie, poi il resto dei rifiuti organici viene triturato e fatto passare in un forno e in un essiccatoio per rimuovere l’acqua e farlo seccare completamente. Il vapore acqueo che si produce nella reazione viene fatto condensare e viene purificato prima di essere scaricato, mentre i gas vengono convogliati in un sistema di raccolta per la gestione del biogas.

Il processo dura intorno alle quattro ore e porta alla produzione di una polvere secca che ricorda il terriccio e che può essere impiegata come mangime, insieme ad altre sostanze, per il pollame. Un intricato sistema di tubature e di filtraggio dell’aria fa sì che gli odori che si producono all’interno dello stabilimento non raggiungano l’esterno, anche se a volte chi vive nelle vicinanze degli impianti lamenta lo stesso di sentire puzza (seppure non comparabile con quella della normale fermentazione in discarica).

In altri stabilimenti viene seguito un approccio diverso, sempre più utilizzato in vari paesi per la gestione dei rifiuti organici. Gli scarti vengono mantenuti per circa un mese in grandi vasche, lasciando che i batteri e i microrganismi digeriscano la parte organica, ma in condizioni controllate e soprattutto con la possibilità di raccogliere i gas che si producono, a differenza di quanto avverrebbe in una discarica a cielo aperto. Il biogas, costituto per lo più da metano e anidride carbonica, viene utilizzato per vari scopi compreso il teleriscaldamento, per dare acqua calda a migliaia di abitazioni con un sistema centralizzato.

Ciò che resta viene mischiato con trucioli di legno per realizzare un fertilizzante naturale, che viene poi consegnato ai coltivatori nella zona in cui si trova l’impianto. I responsabili di una delle aziende della Corea del Sud che gestiscono questo processo hanno detto al New York Times che in questo modo si arriva a ridurre di circa la metà le emissioni di gas serra, rispetto alla fermentazione non controllata in discarica.

È raro che tecniche di questo tipo siano impiegate su larga scala in un intero paese, perché spesso la gestione dei rifiuti è lasciata agli enti locali, che hanno un certo margine di scelta sulle tecniche da adottare per lo smaltimento. Nell’Unione Europea esistono regole comuni e ci sono periodicamente nuove iniziative per rendere più omogeneo il sistema di gestione tra paesi diversi e non solo al loro interno.

L’approccio sudcoreano ha permesso di raggiungere buoni livelli di efficienza e per questo è osservato con interesse dall’estero, ma non è comunque riuscito a ridurre lo spreco di cibo alla fonte, cambiando le abitudini della popolazione. La produzione di rifiuti organici non è infatti variata molto negli ultimi anni, secondo le analisi del ministero dell’Ambiente sudcoreano.