Le persone nel sommergibile disperso sono morte
Il ritrovamento di alcuni detriti suggerisce che il Titan sia imploso
Le persone che si trovavano a bordo del sommergibile disperso nell’oceano Atlantico settentrionale da domenica scorsa sono morte. Giovedì sera lo hanno confermato OceanGate, l’azienda produttrice del sommergibile, e la Guardia Costiera statunitense, che ha coordinato le attività di ricerca. La Guardia Costiera aveva stimato che l’ossigeno nel veicolo si sarebbe dovuto esaurire intorno alle 13 di oggi (ora italiana), ma il ritrovamento di cinque grossi detriti del sommergibile ha reso evidente che sia imploso.
Durante una conferenza stampa l’ammiraglio della Guardia costiera John Mauger ha detto che il tipo di detriti trovati «è coerente con una perdita catastrofica della camera pressurizzata» del sommergibile. Non si sa ancora quando sia avvenuta l’implosione, ma ci sarà un’indagine per cercare di capire meglio come siano andate le cose. Non ci sono prove del fatto che il sommergibile si sia scontrato con il relitto del Titanic.
«Crediamo di avere ormai perso il nostro amministratore delegato Stockton Rush, Shahzada Dawood e suo figlio Suleman Dawood, Hamish Harding e Paul-Henri Nargeolet», dice il comunicato diffuso da OceanGate, che cita i nomi delle persone che erano a bordo.
Le ricerche del Titan sono andate avanti per quattro giorni, ma nonostante il dispiegamento di mezzi non c’erano stati grandi progressi e la probabilità di ritrovare vive le cinque persone a bordo si era via via ridotta.
Già prima che finisse il tempo di autonomia stimato non era certo che le persone all’interno del veicolo avessero ancora ossigeno a disposizione. Il Titan aveva un sistema di riciclo dell’aria, ma in assenza di corrente elettrica fornita dalle batterie le possibilità di avere ossigeno a sufficienza si sarebbero ridotte sensibilmente. Cinque persone in un cilindro lungo poco meno di 7 metri e con un diametro di 2,5 metri consumano rapidamente l’ossigeno al suo interno, causando un accumulo di anidride carbonica, che se non viene rimossa può causare asfissia e portare all’ipercapnia, un aumento della concentrazione di anidride carbonica nel sangue che si rivela mortale.
Un malfunzionamento a bordo potrebbe avere anche interrotto l’alimentazione dei sistemi per il riscaldamento dell’ambiente interno del Titan. L’acqua a grandi profondità arriva ad avere una temperatura inferiore ai 4 °C, di conseguenza l’equipaggio potrebbe avere sofferto a lungo di ipotermia, una condizione in cui l’organismo fatica a mantenere la propria temperatura e che dopo varie ore può rivelarsi letale. Anche se fossero stati ancora coscienti, i cinque occupanti del Titan non avrebbero comunque avuto grandi possibilità di far rilevare la propria presenza, in un ambiente come quello a svariate centinaia – se non migliaia – di metri sotto la superficie dove non arrivano i raggi solari ed è tutto buio.
La struttura del sommergibile potrebbe aver ceduto già giorni fa, magari quando il Titan aveva smesso di comunicare con la Polar Prince, la propria nave di appoggio, mentre stava compiendo la discesa per raggiungere i 3.800 metri di profondità dove si trova il relitto del Titanic. Gli altri resti del sommergibile e delle persone a bordo potrebbero anche non essere mai ritrovati, considerate le difficoltà di compiere ricerche per trovare oggetti di dimensioni relativamente contenute a grandi profondità nell’oceano.
Nelle ultime ore le ricerche si erano molto intensificate. Giovedì mattina nell’ampio tratto di mare al di sopra del punto in cui si trova il relitto del Titanic erano arrivate una decina di navi che si erano unite a quelle già presenti per fornire assistenza nelle ricerche, con l’ausilio di alcuni sottomarini guidati a distanza per le perlustrazioni. L’area di ricerca era stata intanto estesa fino a essere ampia circa 28.700 chilometri quadrati, poco più della Sicilia. Sono stati usati aerei da ricognizione per osservare la superficie dell’acqua, ma la parte più importante delle ricerche ha riguardato i quasi 4mila metri tra la superficie e il fondale, dove sono stati impiegati rilevatori acustici (sonar) per captare eventuali suoni prodotti dal sommergibile.
Mercoledì erano stati captati alcuni rumori sott’acqua che avevano indotto la Guardia Costiera statunitense in collaborazione con quella canadese a estendere le ricerche, anche se non era effettivamente possibile stabilire con certezza se quei suoni provenissero effettivamente dal Titan. Il capitano James Frederick della Guardia Costiera statunitense era stato molto cauto sull’andamento delle ricerche e sugli sviluppi legati ai rumori rilevati: «A essere onesto con voi, non sappiamo dove si trovino».