C’erano da tempo dubbi e scetticismi sull’azienda del sottomarino disperso
OceanGate aveva scelto di non farlo certificare, e ha licenziato un dirigente che aveva fatto notare alcuni problemi tecnici
Il sommergibile Titan, che è disperso nell’Atlantico settentrionale dalla mattina di domenica 18 giugno con cinque persone a bordo, è molto diverso dalla maggior parte delle imbarcazioni progettate per muoversi nelle profondità del mare. OceanGate, l’azienda statunitense che l’ha prodotto, lo considera «il sommergibile d’alto mare più leggero ed economico mai realizzato»: il suo scafo è realizzato con un mix di fibra di carbonio e titanio, ed è un’imbarcazione molto meno pesante dei sommergibili classici, realizzati principalmente con materali più robusti come acciaio o titanio. Inoltre, al contrario di quanto avviene per la maggior parte dei sommergibili, OceanGate non ha mai voluto sottoporlo a certificazione, un processo che negli Stati Uniti non è obbligatorio per le imbarcazioni private ma che è altamente consigliato per evitare i moltissimi rischi che accompagnano le esplorazioni sottomarine, oltre che per garantire la sicurezza dell’equipaggio.
Secondo OceanGate, proprio il fatto che il Titan fosse così all’avanguardia e diverso da tutti gli altri sommergibili lo rendeva impossibile da far certificare. Alla luce degli sforzi per cercare il Titan, però, è emerso il fatto che l’azienda fosse da tempo stata messa al corrente dei rischi che correva, e avesse deciso di ignorarli e concentrarsi su scelte che riducevano significativamente i costi operativi di trasporto, rendendo il sommergibile «un’opzione economicamente interessante per chi vuole esplorare le profondità del mare».
In particolare, il pilota e sommozzatore David Lochridge, assunto da OceanGate nel maggio del 2015 come appaltatore indipendente e poi promosso a direttore delle operazioni marittime, nel 2018 disse di essere stato licenziato «per aver sollevato problemi di sicurezza critici riguardanti il progetto sperimentale e non testato “Titan”». In una causa intentata da OceanGate contro Lochridge nel 2018 per violazione degli accordi di riservatezza si legge che «aveva espresso inizialmente preoccupazioni verbali sui problemi di sicurezza e controllo di qualità riguardanti la gestione [del Titan]», ma «le comunicazioni verbali erano state ignorate».
Le preoccupazioni riguardavano in particolare «il rifiuto di OceanGate di condurre test critici, ma non distruttivi, sul progetto sperimentale dello scafo»: a suo parere il portello di osservazione all’estremità anteriore del sommergibile era stato costruito per sostenere una pressione certificata di 1.300 metri d’acqua (circa 130 bar), ma l’azienda prevedeva di portare il sommergibile a una profondità di 3.800 metri, dove la pressione si avvicina ai 400 bar. «OceanGate ha rifiutato di pagare il produttore per costruire un portello certificato per resistere alla profondità richiesta di 4.000 metri», continua il documento. «Ma piuttosto che considerare le sue preoccupazioni o sottoporsi ad azioni correttive per garantire la sicurezza del Titan, o utilizzare un’agenzia di certificazione per ispezionarlo, OceanGate ha fatto l’esatto contrario: ha immediatamente licenziato Lochridge». Ne seguì una causa legale tra l’azienda e l’ex dipendente, che si concluse con un accordo.
L’ex dipendente non è l’unico ad aver sollevato dubbi sulla sicurezza dell’imbarcazione: sempre nel 2018 38 esperti nel settore delle imbarcazioni sommergibili che facevano parte del comitato Manned Underwater Vehicles della Marine Technology Society, un gruppo industriale che promuove e studia le tecnologie oceaniche da sessant’anni, avevano espresso «preoccupazione unanime» sul modo in cui il Titan era stato sviluppato e sull’obiettivo di navigare attorno al Titanic. «Il nostro timore è che l’attuale approccio sperimentale adottato da OceanGate possa portare a esiti negativi (da minori a catastrofici) che avrebbero gravi conseguenze per tutti nel settore», scrivevano nella lettera.
Sul proprio sito l’azienda nel 2019 diceva di non aver fatto certificare il Titan non per evitare i costi o nascondere eventuali rischi, ma perché ci sarebbe voluto troppo tempo date le tecnologie all’avanguardia del proprio sommergibile. «Sebbene le agenzie di certificazione siano disposte a esaminare progetti e idee nuove e innovative, spesso hanno un ciclo di approvazione pluriennale a causa della mancanza di standard preesistenti», scrivevano. «La stragrande maggioranza degli incidenti marittimi (e aerei) è il risultato di un errore dell’operatore, non di un guasto meccanico. Di conseguenza, concentrarsi semplicemente sulla certificazione della nave non affronta i rischi operativi. Il mantenimento di un livello elevato di sicurezza operativa richiede uno sforzo costante e impegnato e una cultura aziendale mirata: due cose che OceanGate prende molto sul serio e che non vengono valutate durante la certificazione».
Antipodes, un’altra imbarcazione di OceanGate che porta i passeggeri fino a 300 metri di profondità (quindi molto meno della Titan) ed è usata soprattutto per fare sub, è invece stata certificata tranquillamente.
Alfred S. McLaren, un sommergibilista della Marina statunitense in pensione che ha visitato due volte il Titanic in sommergibile, ha detto al New York Times che la natura innovativa del Titan rendeva semmai la certificazione più, e non meno, importante. «Tre persone diverse mi hanno chiesto opinioni sul farci o meno un’immersione, e io ho detto loro di non farlo», ha detto McLaren.
David Pogue, un giornalista che era stato a bordo della Titan per un documentario l’anno scorso, ha invece raccontato su Twitter che anche quella volta «il sommergibile si era perso per cinque ore circa». «Quel giorno non ero nel sottomarino: ero sulla nave in superficie, nella sala di controllo. Riuscivano ancora a inviare brevi messaggi al sottomarino, ma non sapevano dove fosse», ha scritto Pogue. «L’atmosfera era silenziosa e molto tesa, e hanno spento la connessione Internet della nave per impedirci di twittare al riguardo».