Cos’è il “golden power”
Se ne parla perché il governo l'ha esercitato su Pirelli: è la decisione di bloccare alcune operazioni societarie per tutelare l'interesse e la sicurezza nazionali
Venerdì sera il governo ha annunciato l’esercizio del cosiddetto golden power sull’azienda di pneumatici Pirelli per limitare l’influenza del socio cinese Sinochem, che possiede il 37 per cento della società. La decisione era attesa da tempo, da quando era stato stretto un nuovo patto societario tra i soci cinesi e Camfin, la società dell’attuale amministratore delegato di Pirelli Marco Tronchetti Provera che detiene il 14 per cento delle azioni. Il patto prevedeva maggiori poteri per i soci cinesi, che secondo il governo avrebbero potuto creare problemi per la sicurezza e gli interessi strategici nazionali.
Il golden power è stato formalmente introdotto con una legge del 2012 dal governo di Mario Monti, anche se esisteva già da tempo in forma leggermente diversa. Nel corso degli anni, i suoi ambiti d’azione sono stati poi specificati e in molti casi ampliati dai governi successivi. Serve a limitare l’influenza degli azionisti stranieri in quelle società e in quei settori che il governo considera strategici per il paese: da allora è stato esercitato molte volte e negli ultimi anni ancora di più.
Le aziende italiane per cui vale il golden power (sia pubbliche sia private) sono quelle che operano in determinati settori strategici come la difesa, la sicurezza nazionale, i trasporti, l’energia e le comunicazioni. Recentemente i settori strategici sono stati allargati per comprendere anche la sanità, l’alimentazione, la finanza e il settore assicurativo.
Le aziende che operano in questi settori sono definite strategiche, e secondo la legge sono tenute a comunicare alla presidenza del Consiglio eventuali cambiamenti nel controllo delle stesse, come per esempio l’acquisizione di una quota rilevante da parte di una società straniera o il cambio dei meccanismi di governance dell’impresa (come la composizione del consiglio di amministrazione, i patti societari tra azionisti e via così).
Con poteri speciali il governo può mettere un veto sulle operazioni riguardanti le attività strategiche, imporre determinate condizioni o anche solo fare delle semplici raccomandazioni. Per farlo però bisogna che l’azione del governo sia proporzionata all’effettivo rischio per la sicurezza nazionale o per gli interessi del paese.
Un settore molto interessato dalla normativa sul golden power è quello delle telecomunicazioni, soprattutto nell’ambito della tecnologia 5G, le reti di ultima generazione. Le imprese che stipulano contratti o accordi con aziende esterne all’Unione Europea nell’ambito di attività sullo sviluppo di queste tecnologie devono notificarlo alla presidenza del Consiglio. Attorno al 5G da anni è in corso una battaglia in gran parte politica: gli Stati Uniti stanno cercando di limitare l’influenza dell’azienda cinese Huawei in Europa e tra i paesi alleati, perché, sostiene l’amministrazione americana, Huawei è vicina al governo cinese e pone un rischio per la sicurezza (l’azienda e il governo cinese, ovviamente, rigettano queste accuse). Questa disputa economico-politica va avanti da tempo: ci sono state pressioni diplomatiche, dazi commerciali e processi giudiziari.
Il coordinamento di tutte le attività legate al golden power è di competenza della presidenza del Consiglio, che agisce comunque sempre in contatto con i ministeri di competenza a seconda del settore in cui arrivano le comunicazioni delle aziende strategiche, in caso di eventi sensibili come per esempio le acquisizioni.
Negli ultimi anni sono aumentate notevolmente le notifiche di attività che potrebbero essere oggetto dell’esercizio del golden power: gli ultimi dati sono relativi al 2021, quando il governo ha ricevuto 496 notifiche di azioni di mercato contro le 342 del 2020 e le 83 del 2019. Nel 2014 erano state solo otto. La tendenza è quella di una crescita sempre più intensa perché è stato effettivamente esteso l’ambito di applicazione del golden power, ma anche perché la pandemia e la guerra in Ucraina hanno reso più vulnerabili i settori strategici.
Nel 2021 è stato il settore sanitario quello interessato da gran parte delle notifiche, per un totale di 120 segnalazioni; 63 erano poi relative al settore della difesa, 42 al settore creditizio e assicurativo, 41 al settore dell’energia e 38 al trattamento dei dati.
Tutte le notifiche inviate dalle aziende sono valutate dal governo, ma non è detto che poi il governo agisca. Anzi, l’effettivo esercizio del golden power è avvenuto poche volte: solo in due casi il governo ha deciso di mettere un diritto di veto sulle operazioni (cioè le ha bloccate del tutto) e per altre 22 notifiche ha imposto specifiche condizioni e prescrizioni. Di queste ultime, 11 erano nell’ambito 5G, su 20 notifiche totali riguardanti questa tecnologia.
Il caso di Pirelli rientra tra i casi in cui il governo esercita il golden power ma si limita a imporre le sue condizioni – senza porre quindi un formale diritto di veto – per la tutela di una particolare tecnologia dell’azienda, i sensori cyber impiantabili nei pneumatici, che riescono a raccogliere dati del veicolo, dello stato delle infrastrutture e sulla geolocalizzazione. Per queste caratteristiche è stata giudicata una tecnologia strategica e sensibile.
La decisione del governo era attesa da tempo e riguardava un patto parasociale – un patto privato tra soci – che era stato sottoscritto tra Camfin, la società di Tronchetti Provera, e Sinochem, entrambe società azioniste di Pirelli rispettivamente per il 14 e il 37 per cento del capitale e che insieme hanno la maggioranza. Il patto riduceva il numero di consiglieri di rappresentanza italiana nel consiglio di amministrazione fin da subito e prevedeva che dal 2026 Camfin avrebbe perso la possibilità di nominare le cariche esecutive, come per esempio l’importantissima figura dell’amministratore delegato.
Il rischio era che alla fine il socio cinese avrebbe avuto più voce in capitolo nelle decisioni anche più strategiche dell’azienda. Il gruppo Sinochem è oltretutto partecipato dallo stato cinese, il che, secondo quanto scrive Laura Serafini sul Sole 24 Ore, avrebbe esposto la società «al rischio di non poter esportare più pneumatici negli Stati Uniti e, progressivamente, anche in altri paesi della NATO. E ancora: i timori erano legati alle richieste avanzate dall’azionista cinese negli ultimi mesi al fine di condividere informazioni e piattaforme tecnologiche».
Le condizioni imposte dal governo annullano sostanzialmente il nuovo patto ristabilendo la situazione precedente: il numero dei consiglieri italiani tra quelli espressi dagli azionisti di maggioranza resterà quello attuale, ossia 4, e quello dei consiglieri cinesi resterà 8 (e non 9 come prevedeva il nuovo patto); l’amministratore delegato dovrà essere sempre indicato dalla società italiana Camfin; in più d’ora in poi le decisioni strategiche dell’azienda dovranno essere approvate con una maggioranza allargata a quattro quinti del consiglio di amministrazione.
In sostanza queste condizioni, pur non eliminando formalmente il potere decisionale dei soci cinesi con un veto del governo al patto, limitano molto le loro possibilità di determinare le decisioni più importanti.
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