Cosa sta succedendo con le guardie mediche in Lombardia
A Milano e Bergamo i medici protestano per i tagli, che secondo i sindacati sono un segnale della riduzione del servizio in tutta la regione
di Isaia Invernizzi
Quando nella serata di giovedì 1° giugno una medica si è presentata nella sede della continuità assistenziale di Bergamo per iniziare il suo turno di lavoro ha trovato decine di persone in attesa. Molte aspettavano da ore perché non erano riuscite a contattare i loro medici di famiglia, a riposo nel giorno pre festivo prima della festa della Repubblica. Ma anche alla sede della guardia medica, il servizio che da qualche anno ha cambiato nome in “continuità assistenziale”, non c’erano medici. Quasi tutte le persone erano molto tese, alcune tra loro decisamente arrabbiate.
La medica ha lavorato tutta la notte da sola per cercare di assistere tutti. Alle 11:30 di venerdì 2 giugno, dopo 15 ore di lavoro, ha chiesto di essere accompagnata a casa perché era talmente provata da non riuscire a guidare. «Dopo quindici ore stavo male», ha detto al Corriere di Bergamo. «Ho avuto paura per la violenza che si è scatenata, da grida e insulti a quelli che volevano scardinare la porta, c’è gente che voleva la visita e la voleva subito».
Nello stesso fine settimana molte altre persone hanno chiamato il numero unico 116 117. Quasi tutte le telefonate sono state dirottate alle sedi di Cassano d’Adda, in provincia di Milano, o di Brescia perché da Bergamo non rispondeva nessuno. Nelle ultime settimane l’attesa al telefono è sempre stata molto lunga. Anche quando si riesce a prendere la linea, soprattutto se chi risponde è in un’altra provincia, è complicato trovare risposte: la soluzione più rapida è rivolgersi al pronto soccorso di un ospedale. Il servizio di guardia medica dovrebbe servire a evitare di intasare gli ospedali, ma quando le cose non funzionano è inevitabile rivolgersi alle strutture sanitarie che non chiudono mai.
A mandare in crisi la già precaria organizzazione delle guardie mediche della provincia di Bergamo sono stati gli 11 certificati di malattia presentati da medici previsti nei turni. Il rischio di azioni così eclatanti era stato annunciato da settimane: medici e sindacati avevano criticato l’azienda sanitaria di Bergamo (ATS) per aver tagliato drasticamente il servizio in tutta la provincia, una delle più estese della regione. Nella bergamasca dovrebbero esserci circa 220 guardie mediche, una ogni cinquemila abitanti: a maggio ne erano rimaste soltanto 31 e anche per questo l’azienda sanitaria aveva annunciato una riduzione delle sedi da 27 a 7 per poi ripensarci in seguito alle proteste.
Secondo sindacati e addetti ai lavori, quello che sta accadendo in provincia di Bergamo è il segnale di problemi identici attesi nei prossimi mesi anche nelle altre province lombarde. «Tre anni a parlare di territorio e di medicina di prossimità, e il primo vero atto politico della sanità regionale lombarda è di quasi cancellare il servizio di guardia medica», ha scritto il presidente dell’Ordine dei medici di Milano, Roberto Carlo Rossi. «Si è iniziato con Bergamo, ma è chiaro che si tratta di un segnale più che preoccupante. Peraltro, in direzione contraria rispetto a quanto sempre dichiarato in questi ultimi due anni, con pandemia annessa».
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Anche a Milano i medici della continuità assistenziale stanno protestando con l’azienda sanitaria che ha presentato un’ipotesi di nuova organizzazione con una serie di tagli. Nella città di Milano il servizio funziona in due modi: ci sono 8 ambulatori dove le persone possono presentarsi negli orari in cui il medico di famiglia è a riposo e altre 8 postazioni con 22 medici che servono per l’assistenza domiciliare, cioè quando una persona che sta male non può muoversi da casa e le sue condizioni sono precarie. La visita medica domiciliare è un servizio importante per una città come Milano dove vivono sempre più persone anziane sole. Ogni anno ne vengono fatte circa 5.500.
Nell’ultima versione del piano presentata ai sindacati, l’azienda sanitaria ha proposto di ridurre le guardie mediche dedicate alle visite domiciliari da 22 a 18 e soprattutto di lasciare una sola sede, in via Carlo Farini vicino al cimitero monumentale, invece che 8. Otto medici coprirebbero il turno dalle 19:30 all’1:30 e altri 10 il turno notturno dalle 20 alle 8 del mattino. L’azienda sanitaria ha spiegato ai sindacati che il taglio è necessario perché i medici della continuità assistenziale sarebbero troppi rispetto al carico di lavoro misurato nel numero di telefonate ricevute e di visite domiciliari fatte.
I sindacati dicono che non è possibile valutare il servizio di guardia medica – uno dei più delicati e a contatto con i pazienti – soltanto dal punto di vista quantitativo. «Siamo una prima barriera sanitaria soprattutto per le persone che non hanno un’auto o non possono spostarsi, in particolare anziani: sarebbero i più colpiti da questo taglio», spiega Lorenzo Messina, medico e rappresentante dello SMI, il sindacato dei medici italiani. «Se ora ho il tempo per andare a visitare una persona con una sospetta polmonite, in futuro potrei non riuscirci più, con conseguenze per il carico di lavoro degli ospedali e dei medici di famiglia. Anche perché un conto è partire da una sede vicina e fare pochi chilometri, un altro è andare dalla parte opposta della città. Si allungheranno i tempi di attesa delle telefonate e delle visite».
Il taglio delle postazioni è considerato l’ennesimo ridimensionamento del servizio di continuità assistenziale. Nel 2019 aveva fatto discutere la decisione dell’azienda sanitaria di far spostare le guardie mediche in taxi. L’Anpas, l’associazione di volontariato che si occupa di soccorso con le ambulanze, aveva giudicato il bando dell’azienda sanitaria poco conveniente e per questo la scelta dell’ATS era andata sui taxi a cui da allora spetta un rimborso di 50 euro per ogni visita. Le ambulanze delle associazioni arrivavano molto rapidamente, mentre è complicato trovare un taxi a Milano, in particolare durante settimane con eventi molto partecipati. Le guardie mediche aspettano fuori dalle sedi, a volte a lungo, prima di trovarne uno libero. Gli spostamenti più lunghi previsti dalla nuova organizzazione renderebbero tutto ancora più incerto.
A Milano, così come a Bergamo, il numero delle guardie mediche è inferiore rispetto a quanto prevedono le linee guida del ministero della Salute. I medici sono circa 180: se si rispettasse il rapporto di un medico ogni cinquemila abitanti ne servirebbero in totale 270, il 50 per cento in più. L’ampio divario riflette la complessa situazione dell’assistenza sanitaria territoriale: mancano i medici di famiglia e quelli rimasti assistono fino a duemila pazienti ciascuno, un numero molto elevato che mette a rischio la qualità delle cure. Il rapporto più recente dell’Agenas, l’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, dice che nel 2021 in Lombardia c’erano 997 guardie mediche: sono 10 ogni 100mila abitanti, quasi la metà rispetto alla media nazionale. Negli ultimi due anni sono ulteriormente diminuite.
Il calo delle guardie mediche è il risultato di problemi che interessano anche altri ambiti dell’assistenza sanitaria sul territorio. Da decenni il servizio di guardia medica viene assicurato dai medici che stanno frequentando i corsi di specializzazione negli ospedali o il corso per diventare medico di base. Già prima della pandemia agli specializzandi è stato consentito di assistere un certo numero di pazienti in forma provvisoria per sopperire alla mancanza di medici sul territorio, togliendo disponibilità al servizio di continuità assistenziale.
I compensi inoltre sono abbastanza bassi, 23 euro lordi all’ora anche per i turni notturni, e spesso i medici devono affrontare tensioni e aggressioni non solo verbali da parte dei pazienti in attesa, un problema che riguarda anche i pronto soccorso degli ospedali. Quella che un tempo era considerata un’opportunità, oggi è spesso un lavoro gravoso e pagato poco. Per questo motivo molti medici hanno preferito non dare più la disponibilità a coprire i turni e le aziende sanitarie faticano a trovare guardie mediche.
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Negli ultimi mesi ci sono stati segnali di ridimensionamento anche in altre province lombarde, anche se meno eclatanti rispetto ai casi di Bergamo e Milano. Giorgio Barbieri, coordinatore regionale dei medici di medicina generale per la Cgil, dice che la strategia di ridimensionare l’assistenza territoriale fa parte di un piano complessivo portato avanti dalla Regione Lombardia. «Da quasi vent’anni in Lombardia non viene rispettato il rapporto tra numero di medici e pazienti», spiega. «Questa cosa non è successa per caso. Fa parte di un progetto in cui le corporazioni mediche vorrebbero sostituire mano mano il servizio di sanità pubblica con uno di sanità privata. È evidente negli ospedali e ora anche nella medicina territoriale». A Como, per esempio, è stato aperto un servizio di guardia medica privato che assicura visite domiciliari a 300 euro.
A pagare le conseguenze di questa situazione sono i pazienti. In migliaia non hanno più un medico di base, non riescono a rivolgersi alla guardia medica, non vengono assistiti oppure sono costretti a pagare per servizi privati. Il direttore del pronto soccorso dell’ospedale Papa Giovanni di Bergamo, Roberto Cosentini, ha raccontato a L’Eco di Bergamo che accade frequentemente di accogliere pazienti con disturbi all’apparenza generici che si rivelano tumori in stato avanzato scoperti al pronto soccorso: «È un segnale molto grave di ritardate diagnosi causate da un primo contatto medico difficile o che non c’è stato».
Negli ultimi giorni c’è stato un riavvicinamento tra i sindacati e l’azienda sanitaria di Bergamo, che ha detto di aver trovato altri 65 medici disponibili a coprire i turni. Dopo il caos di inizio giugno l’ATS si è detta disponibile ad assecondare alcune delle richieste dei medici, per esempio la flessibilità dei contratti per lavorare anche solo 12 ore alla settimana e compensi più alti per la copertura di sedi dove c’è carenza di medici.
A Milano, invece, la trattativa è ancora in corso, ma finora sono state date poche informazioni ai sindacati. Uno dei problemi più rilevanti riguarda la responsabilità del servizio di continuità assistenziale: nonostante la proposta di riorganizzazione sia stata gestita da ATS Milano, dal 1° luglio la gestione delle guardie mediche dovrebbe essere presa in carico dalle aziende socio sanitarie territoriali, le ASST che gestiscono gli ospedali e i distretti sul territorio, comprese le nuove “case della comunità”. Non è chiaro, però, come cambierà la gestione e finora i medici non hanno avuto risposte alle tante domande fatte. Contattata, ATS Milano ha spiegato che darà informazioni e commenterà la proposta di riorganizzazione soltanto quando sarà definitiva.