In Darfur si rischia una nuova catastrofe
Le violenze della guerra in Sudan si stanno concentrando soprattutto lì e stanno colpendo i civili spesso su base etnica, come successe nella guerra di vent'anni fa
Mercoledì in Sudan, dove è in corso da oltre tre mesi una guerra civile, è stato rapito e ucciso Khamis Abakar, il governatore del Darfur occidentale, uno degli stati del Sudan e più precisamente del Darfur, regione in cui già negli anni Duemila c’era stata una sanguinosa guerra durata quasi vent’anni che aveva provocato centinaia di migliaia di morti.
Abakar aveva appena denunciato nuove violenze sui civili, spesso su base etnica, compiute soprattutto da parte delle Rapid Support Forces (RSF), una delle due forze militari che stanno combattendo nel paese. Le RSF, guidate dal vicepresidente Mohamed Hamdan Dagalo, sono formate in larga parte dalle milizie arabe dei Janjaweed, proprio quelle che negli anni Duemila, durante la guerra in Darfur, si resero responsabili di enormi violenze e crimini di guerra contro le comunità non arabe della regione, che da molti erano stati definiti un genocidio.
Abakar è il funzionario locale più importante tra quelli uccisi finora nel conflitto. Nel corso di alcune interviste aveva denunciato in particolare la ripresa delle violenze contro le comunità non arabe in Darfur, in particolare contro i Massalit, gruppo etnico di cui lui stesso faceva parte, e più in generale contro centinaia di civili. Abakar aveva attribuito la maggior parte delle violenze alle RSF e ad altre milizie arabe a loro affiliate, sostenendo che stessero compiendo un «genocidio» e chiedendo un intervento da parte della comunità internazionale.
L’ultima intervista, quella in cui Abakar aveva accusato le RSF di genocidio, era proprio di mercoledì. Poche ore dopo è circolata online una serie di filmati che mostravano un gruppo di uomini armati, alcuni dei quali con uniformi delle RSF, che lo arrestavano. Della sua morte le RSF hanno accusato alcuni non meglio definiti «fuorilegge», sostenendo che i propri membri avessero cercato di proteggerlo e di portarlo nella propria sede di El Geneina, la capitale del Darfur occidentale, che sempre secondo la loro versione sarebbe stata assaltata. Secondo le RSF, Abakar sarebbe stato successivamente «ucciso a sangue freddo» dai fuorilegge.
La guerra civile in corso in Sudan è combattuta dall’esercito regolare del paese, comandato dal presidente Fattah al Burhan, e dalle RSF, nei fatti un esercito parallelo. La guerra era iniziata lo scorso 15 aprile, al culmine di una serie di tensioni tra al Burhan e Dagalo, noto anche come Hemedti. I due guidano una giunta militare, il Consiglio Sovrano, che governa il paese da ottobre del 2021 dopo aver preso il potere con un colpo di stato. Le tensioni riguardavano le modalità con cui sarebbe dovuta avvenire la transizione a un governo civile, e in particolare la volontà di al Burhan di integrare proprio le RSF nell’esercito sudanese, creando un’unica forza armata.
Finora sono state uccise almeno 2mila persone e ci sono oltre 2 milioni di sfollati, ma una delle regioni più colpite e in cui si stanno verificando più violenze è proprio il Darfur, dove secondo stime fatte da organizzazioni di attivisti citate da Reuters sono state uccise oltre mille persone.
I combattimenti hanno portato all’uccisione indiscriminata di civili; alcuni sopravvissuti hanno raccontato di essere stati attaccati dalle RSF che li avrebbero inseguiti per ucciderli con ogni mezzo, tra cui veicoli militari, automobili e perfino cavalli, oppure li avrebbero cercati uno per uno. Sono state distrutte abitazioni, decine di mercati, sono state chiuse moltissime strutture sanitarie, e sono stati lasciati cumuli di corpi ammassati ai lati delle strade.
Operatori umanitari, analisti e funzionari delle Nazioni Unite ascoltati dal New York Times hanno detto che il Darfur è attualmente sottoposto a livelli di violenza «mai visti negli ultimi anni». Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, oltre 370mila persone sono fuggite dal Darfur nell’arco dell’ultimo mese e mezzo. Anche Volker Perthes, inviato delle Nazioni Unite in Sudan, ha detto che nel Darfur la maggior parte degli attacchi sembra essere stata compiuta proprio dalle RSF e da milizie arabe a loro affiliate, in quelli che secondo lui «potrebbero costituire crimini contro l’umanità».