Berlusconi ci provò con tutti gli sport
La storia di quando Fininvest comprò quasi tutte le società sportive di Milano, abbandonandole appena dopo le elezioni vinte nel 1994
di Pietro Cabrio
Silvio Berlusconi comprò il Milan nel febbraio del 1986. Divenne il proprietario di una delle due storiche squadre di calcio milanesi proprio nel periodo più difficile: agli inizi degli anni Ottanta, a causa di problemi economici e giudiziari, il Milan era retrocesso per due volte in Serie B, la prima delle quali per lo scandalo del calcioscommesse del 1980. Tornò poi in Serie A nel 1983, passò tre stagioni di assestamento e nel 1986 fu infine acquistato dal gruppo Fininvest di Berlusconi.
Da lì iniziò una lunga ascesa che nel 1988, con la vittoria dell’undicesimo Scudetto, diede simbolicamente inizio al periodo più vincente nella storia del club. Le tante vittorie di quel Milan coincisero con l’inizio dell’impegno politico di Berlusconi e con la sua prima vittoria elettorale nel 1994. Paolo Maldini, che di quel Milan fece parte fin dall’inizio, ha ricordato di recente al podcast Muschio Selvaggio: «Prima che diventasse presidente del Consiglio, nel ’94, avevamo una grande squadra e a inizio della stagione ci disse: “Abbiamo tre obiettivi: dobbiamo vincere il campionato, dobbiamo vincere la Champions League e io devo diventare presidente del Consiglio. Perché se noi vinciamo la Champions League io avrò più possibilità di diventare primo ministro”. E come è andata? Abbiamo vinto il campionato, abbiamo vinto la Champions e lui è diventato primo ministro».
Prima di diventare il presidente più importante nella storia del Milan, Berlusconi era già stato presente nel mondo dello sport sia come sponsor che con le sue emittenti televisive. Aveva anche tentato di entrare nel calcio valutando più volte la possibilità di comprare l’Inter, la squadra per cui si dice avesse tifato da giovane (e del cui storico proprietario, Angelo Moratti, la madre era stata segretaria), nonostante lui abbia sempre sostenuto di aver tifato Milan anche prima di acquistarlo. Lo raccontarono alla Gazzetta dello Sport prima l’ex giocatore e dirigente Sandro Mazzola e poi Giuseppe Prisco, a lungo avvocato e vicepresidente dell’Inter, che nel 2000 spiegò: «Berlusconi ha tentato di comprare l’Inter per due volte, con Fraizzoli e con Pellegrini (i due proprietari di allora). Aveva capito che il calcio era il miglior veicolo pubblicitario. Una volta mi disse che se avesse dovuto organizzare una campagna pubblicitaria per raggiungere lo stesso livello di popolarità, avrebbe dovuto spendere una cinquantina di miliardi di lire».
Ma i tentativi d’acquisto fatti prima con Ivanoe Fraizzoli e poi con Ernesto Pellegrini, entrambi solidi industriali milanesi, non portarono a nulla. Così Berlusconi si concentrò sul Milan già a metà degli anni Ottanta. Nell’ottobre del 1985 il Corriere dello Sport diede per fatto l’acquisto del club da parte di Fininvest per 24 miliardi di lire, ma il gruppo smentì la notizia. Da lì iniziarono lunghe trattative e quello stesso ottobre l’allora proprietario del Milan, Giuseppe Farina, lasciò la carica di presidente iniziando ad allontanarsi dalla società.
In quei mesi interlocutori i conti del Milan peggiorarono e la società venne messa in mora dalla Federcalcio per irregolarità contabili. Fecero poi discutere le affermazioni di Gianni Rivera, celebre ex giocatore del Milan e all’epoca vicepresidente, che accusò Fininvest di voler abbassare eccessivamente il prezzo d’acquisto avvicinando pericolosamente la società al fallimento: «Berlusconi pretende che i consiglieri si accollino tutte le passività, e non dà il giusto valore alla parte attiva. Fino a oggi sono stato zitto, ma adesso ho capito che non c’è la possibilità di trattare alle condizioni poste da Berlusconi».
Tra Rivera e Berlusconi non ci furono mai buoni rapporti, come lo stesso Rivera ha ricordato più volte: dal Milan si dimise a febbraio del 1986 senza mai più tornarci. Si arrivò poi al 20 febbraio del 1986. In quello stesso giorno la procura di Milano emise un ordine di arresto per evasione fiscale nei confronti di Farina, che nel frattempo aveva lasciato l’Italia, e Fininvest ufficializzò l’acquisto del Milan per circa 15 miliardi di lire, contro i 24 ipotizzati in precedenza.
Berlusconi iniziò così i suoi ambiziosi progetti nel calcio, e l’intuizione di assumere il poco conosciuto Arrigo Sacchi come allenatore fu vincente, tanto che il Milan di quegli anni fu la miglior squadra al mondo. Ma quella era solo la prima parte di un progetto più ampio e altrettanto ambizioso. Tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta, Fininvest creò infatti una polisportiva che, rappresentata dai colori e dall’immagine preponderante del Milan calcistico, avrebbe dovuto raggruppare al suo interno il maggior numero possibile di società sportive milanesi.
L’operazione fu gestita dai dirigenti Fininvest, tra cui Fabio Capello, passato momentaneamente a una carriera dirigenziale dopo aver allenato il Milan nel 1987 e in attesa di allenarlo ancora, dal 1991 in poi. Con il sostegno di Banca Mediolanum, sponsor e parte del gruppo, dal 1988 in poi la polisportiva acquistò il Milano Baseball 1946, gli Amatori Milano Rugby, l’Hockey Club Devils Milano e il Volley Gonzaga. Non riuscì ad acquistare però l’Olimpia, la squadra di basket di riferimento in città, per via delle resistenze della proprietà dell’epoca all’idea di lasciare una squadra già molto vincente e amata dal pubblico.
Tutte queste acquisizioni da parte di Fininvest vennero effettuate con modalità simili. Il gruppo comprò le proprietà e quando possibile mantenne in carica i vecchi dirigenti. A questi garantiva sponsorizzazioni, assistenza logistica, promozionale e naturalmente i fondi per ingaggiare i migliori atleti possibili. A tutte le squadre furono date le stesse divise: bianche o rosse con al centro, dall’alto verso il basso, il logo di Fininvest, la scritta Mediolanum e il nome della squadra. Questo tutt’uno fra proprietà, sponsor e club creò innanzitutto un veicolo promozionale d’eccellenza e capillare nel territorio milanese, ma non solo.
Per queste squadre iniziò un periodo di investimenti mai visti fino ad allora, e conseguentemente anche di grandi vittorie. Fu un progetto che scombussolò lo sport italiano e, come fece parallelamente la famiglia Benetton con le squadre di Treviso, anticipò di decenni le attuali grandi multiproprietà sportive. Ma la Polisportiva Mediolanum, come venne chiamata, mostrò crepe fin dal suo inizio, e quando smise di essere utile venne smantellata con conseguenze ancora attuali.
Per far tornare Milano nella Serie A della pallavolo il più velocemente possibile, nell’estate del 1989 fu rilevato il titolo sportivo — cioè il diritto a partecipare a un determinato campionato — appartenente al Mantova. Fu poi messo a disposizione un budget che permise di ingaggiare alcuni dei più grandi campioni dell’epoca, come gli italiani Andrea Zorzi e Andrea Lucchetta, o gli statunitensi Dusty Dvorak e Bob Ctvrtlik. Il Mediolanum Gonzaga non vinse Scudetti, ma fu due volte campione del mondo.
Nell’hockey fu rilevata una piccola società milanese, i Diavoli Rossoneri, poi rifondata grazie a una fusione con il Como che garantì una rapida salita in Serie A. Questo creò attriti con l’altra squadra cittadina, la Saima, erede diretta della vecchia tradizione hockeistica milanese. Quest’ultima denunciò più volte il modo in cui Fininvest era entrata in quel mondo stravolgendo il mercato con ingaggi esorbitanti, e nel 1992 si sciolse proprio per insostenibilità economica. I suoi tifosi divennero i primi veri contestatori della nuova polisportiva: rimasti senza squadra, e con molti dei loro ex giocatori passati ai Devils, presero l’abitudine di andare alle partite dei rivali soltanto per contestarli: loro, Berlusconi e Fininvest.
Nonostante questo i Devils diventarono ugualmente una squadra di livello internazionale costruita attorno a una colonia di giocatori canadesi di origini italiane come John Vecchiarelli, Mario Chitaroni e Gaetano Orlando, oltre a campioni stranieri come il finlandese Jari Kurri. Vinsero tre Scudetti di fila dal 1991 al 1994 e la prima edizione dell’Alpenliga, torneo a cui partecipavano anche squadre austriache e slovene.
Nel baseball Milano tornò ai vertici del campionato nazionale come non succedeva da metà Novecento: anche se non riuscì a vincere lo Scudetto, vinse quattro coppe. Fu però nel rugby che ci fu lo stravolgimento più notevole. Fininvest comprò l’Amatori Milano, squadra di grande tradizione che aveva vinto la maggior parte dei campionati italiani nella prima metà del Novecento, ma che all’epoca non ne vinceva uno dal 1946.
In un contesto fin lì ampiamente dominato da squadre venete — Treviso, Rovigo e Padova — il Milan del rugby divenne una squadra di livello europeo. Fu costruito attorno ad alcuni dei più grandi rugbisti italiani dell’epoca: Diego Dominguez, i fratelli Massimo e Marcello Cuttitta, Franco Properzi e Massimo Giovanelli, oltre al campione australiano David Campese, che mentre era a Milano vinse addirittura la Coppa del Mondo con l’Australia. In Italia il Mediolanum Amatori ingaggiò una lunga rivalità con la Benetton Treviso, con cui si divise gli Scudetti dei primi anni Novanta.
Quel periodo per molti aspetti irripetibile dello sport milanese si concluse piuttosto improvvisamente nel 1994, quando il gruppo Fininvest iniziò a ritirare i suoi investimenti. L’annuncio dello smantellamento della polisportiva stupì perché arrivò a fine maggio, appena un mese dopo la vittoria di Berlusconi alle sue prime elezioni politiche. Franco Tatò, dal 1993 amministratore delegato di Fininvest, fece capire che quegli investimenti non ripagavano e non servivano più. In quei giorni un dirigente del Gonzaga disse a Repubblica per commentare la notizia: «Lo sport non rende? Dovevano pensarci quando hanno aperto una polisportiva».
In circa cinque anni le squadre della Polisportiva Mediolanum, eccetto il calcio, non erano riuscite ad attrarre spettatori; avevano riunito grandi giocatori e ottenuto importanti vittorie, ma non altrettanto significative e d’impatto come quelle calcistiche. Fininvest iniziò così a defilarsi, garantendo le iscrizioni ai campionati 94/95 e sponsorizzazioni di un anno per un miliardo di lire, che nel migliore dei casi servirono a far sopravvivere le società per un paio di stagioni.
Una dopo l’altra le squadre smisero di esistere, o si allontanarono da quei livelli senza mai più avvicinarcisi. La squadra di baseball ripartì dalla Serie C ma esiste tuttora, anche se ai margini del piccolo campionato italiano. La sua attuale dirigenza ha commentato la morte di Berlusconi scrivendo sul suo sito: «Indipendentemente dalle valutazioni su come sia intervenuto nel nostro sport, ha riportato il Milano tra le grandi del baseball italiano ed europeo, lasciandogli in eredità i mezzi per andare avanti».
Alle altre tre società andò peggio. I Devils si trasferirono a Courmayeur, in Valle d’Aosta, con il loro titolo sportivo, e lì resistettero qualche anno prima di fallire definitivamente. Il Gonzaga cedette squadra e staff al Cuneo, e il suo titolo sportivo al Padova. Ripartì dalla Serie B2 ma nel 1999 cessò definitivamente le attività professionistiche: quelle giovanili vennero riprese soltanto grazie all’Istituto Gonzaga di Milano, dove la squadra aveva avuto inizialmente origine. Anche gli Amatori cedettero il loro titolo sportivo, confluirono nel Calvisano e lasciarono Milano senza la sua squadra di riferimento nel rugby.
Nel complesso lo sport milanese uscì più debole di prima da quell’esperienza. Se da una parte il Milan tornò a essere una grande del calcio mondiale insieme all’Inter, altrove gli investimenti di Fininvest ebbero risultati soltanto nel breve termine, non crearono nulla attorno a loro e, una volta conclusi, contribuirono a dissolvere radicate tradizioni sportive cittadine. A proposito di questo, la squadra di baseball ha scritto in questi giorni: «Molti sostengono che l’operazione della polisportiva sia stato solo un test per aumentare la popolarità in chiave politica. Sta di fatto che dopo la sua uscita dallo sport minore milanese, nessun altro imprenditore si è fatto avanti per sostenere queste società, tutte destinate a tornare nell’anonimato».
Al di fuori del calcio, da allora Milano è rimasta stabile e competitiva soltanto nel basket, con una squadra che non fece mai parte di quel progetto. Le altre realtà un tempo solide e anche rappresentative della città, come il rugby e la pallavolo, ne uscirono profondamente dissestate. Senza le vecchie società di riferimento, che riunivano comunità e famiglie anche in assenza di visibilità e grandi vittorie, negli ultimi decenni si sono alternate e susseguite fra di loro tante società di più piccole dimensioni che ancora oggi faticano a mantenersi, ad attrarre il pubblico e a essere competitive, se non a livello giovanile.
– Leggi anche: Quando la Disney si buttò nello sport