L’industria dei videogiochi non ha più bisogno di una fiera come l’E3
Partecipare a un evento grande e impegnativo come quello di Los Angeles serve sempre meno ai grandi editori, e l'edizione di quest'anno è saltata
Per oltre 25 anni l’E3 (che sta per Electronic Entertainment Expo) è stata la più importante fiera di videogiochi del mondo. La prima edizione si tenne nel 1995 al Convention Center di Los Angeles e, pur con fortune alterne, ha sempre rappresentato il momento di maggiore visibilità per l’industria dei videogiochi. A causa di diversi fattori, sia contingenti come la pandemia, sia strutturali come gli altissimi costi di organizzazione della fiera, negli ultimi anni però l’E3 ha perso parte della sua importanza e ha dovuto cancellare l’edizione di quest’anno. È la terza in quattro anni che non ha luogo, se si considera quelle che non ci sono state a causa della pandemia.
L’E3 è una fiera campionaria, un evento cioè dedicato a un settore specifico, quello dei videogiochi, rivolto ai soli addetti ai lavori e alla stampa, che dal 2007 si è sempre tenuto tra la prima e la seconda settimana di giugno. L’obiettivo della fiera e di ESA (Entertainment Software Association, l’associazione di categoria di editori e sviluppatori statunitensi), che la organizza, è quello di concentrare quanti più sviluppatori ed editori possibili in un solo posto per poter comunicare con più efficacia quello che succede nel settore. Analogamente a quello che succede per altri grandi eventi (come ad esempio per il Salone del Mobile a Milano, contemporaneamente al quale viene organizzato il Fuorisalone), ESA e i singoli espositori creano intorno alla fiera una serie di eventi che servono ad attirare l’attenzione non solo della stampa di settore ma soprattutto di quella generalista.
L’edizione 2023 avrebbe dovuto essere quella del rilancio: ESA aveva infatti incaricato ReedPop, l’organizzatore del Comic Con di New York, di ideare un nuovo tipo di evento, che fosse sia in presenza che digitale e che si concentrasse non solo sulla stampa e gli addetti ai lavori ma anche sul pubblico. Per poter realizzare un evento di questo tipo però sarebbe stato necessario l’impegno dei grandi editori (Sony, Microsoft, Nintendo, Ubisoft, Electronic Arts e 2K), che avrebbero dovuto occupare e allestire gli spazi in fiera presentando i loro videogiochi, e che invece, a partire dai primi mesi del 2023, si sono mano a mano sfilati. Dopo la rinuncia di Microsoft, Nintendo e Ubisoft (Sony non aveva partecipato nemmeno all’edizione 2019), all’inizio di aprile ESA e ReedPop avevano comunicato che l’edizione 2023 dell’E3 non si sarebbe tenuta, lasciando comunque intendere che riproveranno a organizzarla il prossimo anno.
Alcuni dei motivi per i quali i grandi editori hanno deciso di non partecipare alla fiera di quest’anno sono riassunti dal presidente dell’ESA Stanley Pierre-Louis, che in un’intervista a GamesIndustry.biz (di proprietà della stessa ReedPop) ha evidenziato come l’impatto della pandemia sullo sviluppo dei videogiochi sia stata la ragione principale delle defezioni che hanno portato all’annullamento della fiera. Secondo Pierre-Louis diverse aziende si sono trovate a dover modificare anche in maniera sostanziale il proprio modo di lavorare, il che ha avuto ripercussioni sui tempi di sviluppo e conseguentemente sulle date di uscita di moltissimi videogiochi. Per il periodo dell’E3, quindi, in molti non avevano giochi nuovi da mostrare o informazioni rilevanti da condividere relative a quelli già conosciuti ma non ancora usciti.
Sempre secondo il presidente dell’ESA un altro fattore che ha inciso sulla scelta di molti di non partecipare è il periodo di crisi economica che stanno attraversando diverse aziende del settore, che ha ridotto il budget per i grandi eventi di marketing come l’E3. Queste stesse aziende poi, conclude Pierre-Louis, da ormai diversi anni stanno sperimentando nuovi modi di comunicare con il pubblico e con la stampa, utilizzando eventi in streaming preregistrati.
Oltre a quelli citati da Pierre-Louis ci sono stati anche altri motivi che hanno spinto molte società a non rinnovare la disponibilità a partecipare all’edizione di quest’anno della fiera, e il principale di questi è il calo di fiducia dell’industria nei confronti della stessa ESA, accusata di dedicare troppo tempo all’organizzazione dell’E3 (dalla quale ricava il 50% del suo budget annuale) e troppo poco a quello che invece dovrebbe fare in quanto associazione di categoria degli editori di videogiochi negli Stati Uniti, e cioè trattare con gli enti regolatori e la politica per ottenere concessioni che facciano crescere il settore a livello industriale.
Le difficoltà della fiera, o almeno di come la fiera è stata organizzata e pensata negli ultimi anni, partono idealmente da quando Nintendo nel 2011 concepì il primo Nintendo Direct, un evento registrato trasmesso poi in streaming su YouTube che fece da apripista ad altri simili organizzati successivamente da Electronic Arts, Sony, Microsoft, Ubisoft e tanti altri, che hanno colto l’occasione per comunicare in maniera esclusiva i propri prodotti. Organizzando eventi autonomi, le aziende hanno potuto evitare di dover competere per l’attenzione di stampa e pubblico durante un evento in cui si concentrano molte presentazioni, come l’E3, e in occasione del quale è comune che prevalgano gli annunci dei marchi più grandi.
Da quando si sono affermate piattaforme di streaming o basate sulla generazione dei contenuti da parte degli utenti come Twitch o YouTube, le aziende hanno poi indirizzato molti degli investimenti pubblicitari verso i creatori di contenuti piuttosto che verso la stampa di settore (che si mantiene perlopiù proprio grazie alle inserzioni pubblicitarie delle stesse aziende che creano i videogiochi), modificando profondamente il modo in cui i videogiochi vengono presentati e di fatto il lasso di tempo nel quale sono aggiornati e supportati, e quindi giocati dalle persone. Da metà degli anni Novanta il sistema era basato su grandi eventi collettivi come l’E3, la Gamescom (che si tiene a Colonia in agosto) e il Tokyo Game Show (settembre), nei quali i giochi venivano annunciati per la prima volta, sapendo che sarebbero stati effettivamente pubblicati solo anni dopo. In questi anni la stampa poteva solitamente provarli due o tre volte prima dell’uscita, alimentando un sistema di attesa che dal punto di vista industriale e comunicativo puntava a massimizzare l’interesse prima della messa in vendita del videogioco stesso.
Nell’ultimo decennio invece la dinamica è cambiata, e sempre più spesso l’attenzione principale è rivolta alla fase successiva alla pubblicazione, e non a quella precedente. Industria, content creator, stampa e pubblico alimentano vicendevolmente un sistema che oggi tende a prediligere i giochi capaci di durare nel lungo periodo, continuamente arricchiti da espansioni o aggiornamenti (gratuiti o a pagamento), così come contenuti video di commento e gameplay (quando cioè un content creator trasmette in diretta le proprie partite). Lo spostamento dell’interesse sulla fase successiva al lancio ha tolto rilevanza e centralità alle grandi fiere, rendendo quindi enormi eventi come l’E3 insostenibili dal punto di vista economico.
Dalla sua prima edizione l’E3 ha cambiato forma diverse volte, attraversando momenti di crisi profonda e successivi rilanci in grande stile. La fiera fu ideata nel 1995 dalla neonata IDSA (Interactive Digital Software Association, che sarebbe poi diventata l’ESA) insieme a International Data Group, per aiutare il settore a espandersi e ad affrancarsi dall’elettronica di consumo, alla quale era fino ad allora stato associato. Con elettronica di consumo si intendono infatti tutti quei prodotti elettronici utilizzati quotidianamente a casa o in ufficio, come televisori, telefoni, computer, radio, macchine fotografiche digitali o appunto console per videogiochi. Al tempo i produttori di videogiochi partecipavano perlopiù al CES (Consumer Electronics Show, importante fiera di elettronica di consumo che si tiene ancora oggi) negli Stati Uniti o all’ECTS (European Computer Trade Show) in Europa, senza avere un evento dedicato specificatamente ai videogiochi.
Dopo le prime due edizioni di grande successo al Convention Center di Los Angeles, l’E3 si spostò ad Atlanta nel 1997 e 1998, per poi ritornare alla sede originaria fino al 2007, quando a causa dei grandi costi che gli espositori dovevano sostenere passò a un formato molto più raccolto e contenuto, che però, proprio data la minor ambizione, non riuscì ad attrarre l’attenzione di pubblico, della stampa e di nuovi sponsor. Dal 2009 l’E3 si ingrandì di nuovo raggiungendo la dimensione che ebbe per i successivi dieci anni, fino all’ultima edizione con pubblico tenuta appunto nel 2019.
Per quanto formalmente l’E3 sia composto da soli 3 giorni di fiera organizzati all’interno del Convention Center, quelli in cui la stampa (e in certe edizioni anche una limitata quota di pubblico) solitamente può provare i giochi portati dagli editori, quello che ne ha costruito l’immagine e la forza sono gli eventi che gli editori presenti hanno sempre organizzato per massimizzare la copertura mediatica, che si tengono solitamente nella settimana che precede la fiera. Questi eventi sono chiamati solitamente “conferenze” e sono grandi spettacoli organizzati dalle più importanti aziende dell’industria, nei quali vengono presentati i nuovi giochi, le nuove console o i nuovi servizi. Per anni le conferenze sono state utilizzate più per creare un immaginario legato alla piattaforma di riferimento e descriverne le grandi potenzialità piuttosto che per dettagliare il catalogo dei giochi effettivamente pronti alla commercializzazione.
Questo ha alimentato quella che per decenni è stata chiamata “console war”, una concorrenza fatta di giochi in esclusiva (cioè pubblicati da un editore per una sola console) e marketing estremamente aggressivo, che ha portato a una forma di polarizzazione dell’utenza, spinta a scegliere una piattaforma anziché un’altra più in base a prese di posizioni personali che a preferenze oggettive.
Uno degli esempi più calzanti che si usano per descrivere sia cosa fosse la console war, sia quanto grande fosse l’impatto degli annunci fatti all’E3, è quello dello svelamento del prezzo della prima PlayStation, avvenuto nel 1995. Uno dei protagonisti dell’industria di quegli anni era SEGA, che aveva da poco messo in vendita in Giappone il Saturn e che all’E3, dopo una breve presentazione, annunciò che sarebbe costato 399 dollari. L’allora presidente della divisione americana di Sony Steve Race salì allora sul palco nel momento a lui dedicato e si limitò a dire «299», che era quanto sarebbe costata PlayStation negli Stati Uniti, scendendo dal palco senza aggiungere altro. Quell’intervento ad effetto di fatto fece partire una delle campagne marketing più imponenti e di successo per il lancio di una nuova console, e segnò l’inizio del declino di SEGA come produttore di console (il Saturn prima e il Dreamcast poi non riuscirono mai a imporsi come alternative a PlayStation).
Nonostante l’industria dei videogiochi abbia rifiutato l’attuale formato della fiera, non ha comunque rinunciato a utilizzare la stessa finestra temporale e tutto sommato le stesse modalità di comunicazione offerta dalla Summer Game Fest, un evento creato nel 2020 da Geoff Keighley che ha saputo imporsi come alternativa all’E3, per quanto con ambizioni estremamente più contenute. Keighley, che già organizza ogni anno i Game Awards, ha infatti proposto a sviluppatori ed editori un evento più piccolo e sostenibile dell’E3, nel quale non fosse necessario riempire enormi spazi espositivi ma semplicemente portare in anteprima i propri giochi in modo che una selezionata porzione della stampa di settore potesse provarli e quindi parlarne. Alla Summer Game Fest di quest’anno hanno partecipato diversi editori che avevano precedentemente detto no a ESA e all’E3. A prova del fatto che in questa fase transitoria, in cui in molti non sanno ancora in che direzione andare per quanto riguarda la comunicazione con il pubblico, un evento del genere ha sempre un certo interesse. Al momento l’intenzione di Stanley Pierre-Louis e dell’ESA è quella di provare comunque a organizzare l’edizione del 2024 «a patto di trovare il bilanciamento che riesca ad andare incontro alle necessità dell’industria».