Le accuse contro Trump sui documenti riservati, dall’inizio
Il caso è considerato solido e molto pericoloso per l'ex presidente: sia per la gran quantità di prove sia per una registrazione incriminante
Martedì l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump è stato incriminato in un tribunale di Miami, in Florida, per aver conservato nella propria villa di Mar-a-Lago, sempre in Florida, alcuni documenti governativi riservati che risalgono al suo periodo da presidente e contengono informazioni su armi nucleari, piani militari e di intelligence. Trump è stato incriminato per 37 capi d’accusa che riguardano la violazione di sette leggi federali, di cui si è dichiarato non colpevole.
I capi d’accusa per cui Trump è stato incriminato includono conservazione non autorizzata di informazioni sulla difesa, cospirazione per ostacolare la giustizia, occultamento di documenti governativi, complotto per nascondere informazioni alle autorità e false dichiarazioni al governo. Insieme a Trump è stato incriminato anche il suo assistente personale, Walt Nauta, con sei capi d’accusa per false dichiarazioni all’FBI e per aver cospirato con Trump per nascondere informazioni: secondo l’accusa, Nauta avrebbe aiutato Trump a nascondere i documenti riservati.
Trump era già stato incriminato lo scorso aprile in un caso separato, per un pagamento illegale all’attrice di film porno Stormy Daniels, diventando il primo ex presidente statunitense a dover affrontare un processo penale. Ma l’incriminazione di martedì ha tutta un’altra dimensione: anzitutto perché Trump è accusato di aver compiuto reati federali, ed è la prima volta nella storia degli Stati Uniti che a un ex presidente vengono rivolte accuse simili (l’incriminazione dello scorso aprile risultava da un procedimento statale della procura di Manhattan).
In secondo luogo, perché nel processo di Miami le prove contro Trump sono considerate estremamente solide, ma anche per via della registrazione di una conversazione in cui Trump aveva di fatto ammesso di aver conservato documenti riservati nella villa in Florida e di essere consapevole del fatto che quei documenti erano ancora riservati e che non avrebbero dovuto essere in suo possesso.
– Leggi anche: La registrazione in cui Trump ammette di avere documenti riservati nella sua villa
L’indagine per cui Trump è stato incriminato era stata avviata a seguito di una richiesta fatta al dipartimento di Giustizia dalla National Archives and Records Administration (NARA), agenzia del governo degli Stati Uniti che si occupa di conservare i documenti governativi e storici più importanti del paese.
Secondo l’agenzia, al termine del proprio mandato presidenziale Trump aveva portato via dalla Casa Bianca svariati documenti governativi – alcuni dei quali indicati come “classificati”, cioè riservati e coperti da vincolo di segretezza e che non possono essere assolutamente divulgati – violando il Presidential Records Act, una legge che impone ai presidenti statunitensi di consegnare ai National Archives tutti i documenti prodotti dalla propria amministrazione.
Nei mesi precedenti c’erano stati diversi tentativi delle autorità di avere indietro quei documenti. La NARA aveva chiesto la restituzione di alcune scatole di documenti in possesso di Trump ad agosto del 2021, e Trump ne aveva consegnate una parte a gennaio del 2022, nelle quali erano stati trovati anche alcuni documenti contrassegnati come “classificati”. Secondo l’accusa, in quell’occasione Trump aveva cercato di trarre in inganno il suo stesso avvocato, nascondendogli la gran parte dei documenti per evitare che li restituisse alla NARA.
A quel punto le autorità avevano supposto che Trump possedesse altri documenti, e a marzo del 2022 era iniziata l’indagine del dipartimento di Giustizia. Nel frattempo a Trump erano state inviate altre richieste formali di restituire tutti i documenti in suo possesso.
Ad agosto del 2022 l’FBI (l’agenzia investigativa della polizia federale) aveva infine perquisito Mar-a-Lago e aveva trovato oltre venti scatoloni contenenti più di 13 mila documenti, tra cui un centinaio classificati come riservati e che non potevano essere conservati al di fuori di sedi governative. A suo tempo il dipartimento di Giustizia aveva detto che la perquisizione era stata decisa dopo la raccolta di «numerose prove» sui tentativi di Trump e dei suoi di nascondere i documenti riservati conservati nella villa e di evitare di consegnarli alle autorità.
Tra i documenti che si trovavano nella villa di Trump ce n’erano numerosi classificati come “top secret” o come “sensitive compartmented information”, una tra le categorie che indicano informazioni altamente sensibili e riservate.
Cosa contenessero esattamente quei documenti è uno degli aspetti su cui si hanno meno informazioni, anche per la loro natura riservata, ma secondo la documentazione dell’accusa riguardavano la capacità di difesa e di armamento degli Stati Uniti e di paesi stranieri, programmi nucleari degli Stati Uniti, informazioni sulle potenziali vulnerabilità di Stati Uniti e dei suoi paesi alleati a eventuali attacchi militari, piani per eventuali ritorsioni in risposta a un attacco straniero, tra le altre cose.
Altre prove vengono dalla registrazione della conversazione in cui Trump aveva di fatto ammesso di avere con sé i documenti. Nella conversazione, fatta nel 2021 al golf club di Trump a Bedminster, nel New Jersey, e registrata da uno dei presenti, Trump smentiva un articolo pubblicato alcuni giorni prima dal New Yorker in cui si sosteneva che Mark Milley, capo di stato maggiore delle forze armate statunitensi, gli avesse impedito di attaccare l’Iran negli ultimi mesi della sua presidenza.
Nella conversazione Trump diceva di avere con sé un documento del Pentagono che avrebbe dimostrato invece come fosse stato Milley a spingere per attaccare l’Iran, ma che questo documento non poteva essere diffuso perché riservato. Si sente poi Trump dire cose che fanno capire che stesse mostrando ai suoi interlocutori alcuni fogli, tra cui presumibilmente anche quello riservato del Pentagono, e dire loro che se avesse potuto mostrarli in pubblico avrebbe potuto smentire quanto scritto dal New Yorker, ma che appunto non poteva farlo perché erano coperti da segreto.
L’accusa ha anche avuto la possibilità di interrogare uno dei principali avvocati di Trump, M. Evan Corcoran, e di accedere alle note da lui prese nel corso dei colloqui con l’ex presidente. Normalmente gli avvocati sono protetti dal segreto professionale e non possono rivelare nessuna informazione sui loro clienti, ma in questo caso è stata fatta un’eccezione perché è stato provato che Trump stava cercando di servirsi di Corcoran per nascondere i documenti, e quindi per commettere un reato. In questo caso il segreto professionale decade.
Nell’indagine federale che ha portato all’incriminazione di Trump ci sono ancora alcune questioni non chiare, soprattutto sui motivi che avrebbero spinto Trump a portare quei documenti nella sua villa e che cosa stesse cercando di farci. Ascoltati dal Washington Post lo scorso novembre, alcuni dei procuratori e delle autorità coinvolte nell’indagine avevano detto che a spingere Trump a portare via quei documenti era stato «soprattutto il suo ego e il desiderio di conservare i materiali come trofei o ricordi», ma ulteriori dettagli verranno diffusi man mano che il caso procederà.