Il problema dei governi italiani coi decreti attuativi
Ce ne sono centinaia in sospeso, che bloccano l'entrata in vigore di moltissime leggi e i relativi finanziamenti
Nella percezione comune una norma, che si tratti di una legge o di un decreto-legge, entra in vigore quando il testo viene pubblicato in gazzetta ufficiale: in realtà è così solo formalmente, perché nella pratica in moltissimi casi prima che cominci a essere applicata servono una serie di “provvedimenti secondari”, i decreti attuativi, cioè altre norme che spieghino nel dettaglio come quella legge deve essere messa in pratica.
La politica italiana ha da tempo un problema coi decreti attuativi: attualmente ce ne sono in sospeso diverse centinaia, senza i quali molte leggi o decreti-legge rimangono sostanzialmente bloccati e inapplicabili, insieme ai fondi che erano stati stanziati per realizzare i provvedimenti. In alcuni casi si tratta di norme a lungo al centro di discussioni, magari che avevano fortemente mobilitato l’opinione pubblica o che un governo aveva presentato come un successo, una “promessa mantenuta”: eppure anche dopo che sono state definitivamente approvate possono non entrare in vigore per molto tempo.
Ci sono provvedimenti bloccati che riguardano la sanità, la cultura, il PNRR e altri temi ancora, e molte persone che aspettano i relativi finanziamenti senza sapere se e quando li riceveranno. Non è un problema nato col governo di Giorgia Meloni, e anzi i ritardi sulla pubblicazione dei decreti attuativi si accumulano da alcuni decenni, ma proprio ora si è arrivati a un punto piuttosto critico: secondo la più recente analisi della fondazione Openpolis, che fa controlli periodici sullo stato dei decreti attuativi, a fine aprile c’erano 479 decreti attuativi mancanti, per un totale di oltre 17 miliardi di euro di risorse già stanziate e non erogabili. 180 di questi decreti attuativi sono persino scaduti, ma il superamento dei termini non comporta grandi conseguenze per gli uffici che non li rispettano.
I dati presi in considerazione da Openpolis peraltro riguardano solo la legislatura attualmente in corso, la 19esima, e quella precedente (che va dal 2018 al 2022): ma secondo una recente relazione dell’ufficio per il programma di governo (che fa parte della presidenza del Consiglio), ci sarebbero ancora una quarantina di decreti attuativi da smaltire anche dalla 17esima legislatura (2013-2018). Se invece si considera solo l’esecutivo in carica, manca oltre l’80 per cento dei decreti attuativi richiesti dalle norme approvate dal governo Meloni.
Tra quelle bloccate dai decreti attuativi ce ne sono alcune molto rilevanti, come diversi punti dell’ultima legge di bilancio, quella che viene approvata dai governi alla fine di ogni anno e che serve a decidere come lo Stato spenderà i suoi soldi nell’anno successivo: secondo Openpolis a fine aprile per questa ragione non potevano essere erogati quasi 6 miliardi di euro previsti nella legge di bilancio. Tra i provvedimenti della legge di bilancio più pubblicizzati dal governo e ancora fermi ci sono per esempio i due bonus da 500 euro per i 18enni voluti dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, il primo in base al reddito e il secondo ai diplomati con il massimo dei voti, ma anche alcune modifiche nelle modalità con cui viene erogato il reddito di cittadinanza che sarebbero dovute entrare in vigore dal 2023.
C’erano poi altri due miliardi di euro bloccati nel cosiddetto “decreto aiuti ter”, che conteneva molte misure di sostegno e bonus a imprese e famiglie per far fronte all’aumento dei costi dell’energia: era stato pubblicato in gazzetta ufficiale a fine settembre del 2022, e sei mesi dopo parte dei soldi stanziati non poteva essere erogata.
Altri decreti attuativi sono indispensabili per stanziare finanziamenti legati al PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza: un esempio è il fondo messo a disposizione per i familiari delle vittime dei crimini di guerra commessi dai nazisti in Italia tra il 1939 e il 1945, la cui scadenza è il prossimo 28 giugno. Lo scorso marzo invece Quotidiano Sanità aveva raccolto i 57 decreti attuativi sui temi sanitari che mancavano: alcuni risalivano al governo di Matteo Renzi (in carica fino al 2016), altri riguardavano norme urgenti come il commissariamento della sanità in Calabria
Ci sono diverse ragioni alla base di questi ritardi, tra le quali è difficile capire se una sia più decisiva di altre: c’entra il funzionamento della burocrazia italiana, notoriamente molto macchinosa, ma anche il modo in cui sono organizzati gli uffici che dovrebbero occuparsene. Altre ragioni sono legate a certe abitudini consolidate nella politica italiana: i ministri per esempio sono spesso più interessati a occuparsi delle leggi nelle fasi in cui vengono discusse e generano attenzioni mediatiche, rispetto a quelle meno “pubblicizzabili” e che riguardano aspetti tecnici e amministrativi.
A questo proposito un fattore importante è il fatto che i decreti attuativi sono sempre necessari quando viene approvata una norma che prevede qualche forma di spesa pubblica, quindi molto spesso: in quei casi il decreto deve per esempio spiegare le modalità di selezione dei soggetti beneficiari dei finanziamenti economici in questione, come dovranno essere erogati, in che tempi.
Il ricorso massiccio ai decreti-legge fatto dai governi italiani rende più frequente questa situazione: i decreti-legge sono atti che vengono emanati direttamente dal governo, e che poi il parlamento deve convertire in legge entro 60 giorni per non farli decadere; entrano subito in vigore e per questo vengono spesso usati per stanziare fondi con una certa urgenza a cittadini, imprese e istituzioni. Il governo Meloni finora ha stabilito un record nel ricorso ai decreti-legge per il periodo di tempo in cui è stato in carica, e spesso si è trattato di provvedimenti di questo genere.
In tutto questo ha un ruolo importante anche il fatto che in Italia generalmente i governi cambiano spesso: da una parte a volte hanno poco tempo per portare a termine i processi burocratici di alcune norme, dall’altra chi arriva dopo ha priorità diverse dal governo precedente, e finisce per convogliare le energie su provvedimenti che ritiene più importanti, magari tralasciando il completamento di quelli vecchi. In Italia la durata media di un governo è di poco più di un anno se si considera tutta la storia repubblicana e di circa 20 mesi se si considera solo la Seconda Repubblica, cioè dal 1994 a oggi.
Nella maggior parte dei casi i decreti attuativi devono essere emanati dai ministeri, ma quando cade un governo si rinnovano anche i vertici degli uffici ministeriali: come ha spiegato il Sole 24 Ore, ciascuno è composto da una cinquantina di funzionari, che sommati su tutto il governo fanno un migliaio di persone che deve fare complicati passaggi di consegne ad altrettante persone. La burocrazia da sbrigare in un insediamento e l’agenda del nuovo governo fanno in modo che ci si concentri più sull’ordinaria amministrazione che sul recupero degli arretrati. I direttori generali dei ministeri invece restano in carica per tre mesi dopo l’insediamento di un nuovo governo, e questo può portare a situazioni in cui un direttore nominato da una certa parte politica deve lavorare con un ministro della fazione opposta, a volte con alcuni contrasti sulle priorità.
I decreti ministeriali rappresentano quasi il 70 per cento dei decreti attuativi, altre forme di questi atti possono essere decreti del presidente del Consiglio (16 per cento) o del presidente della Repubblica, decreti interministeriali, deliberazioni del CIPE (il comitato interministeriale per la programmazione economica) e altri ancora.