Non siamo ancora riusciti a recuperare gli esami e le visite saltate per la pandemia
Il ministero aveva stanziato 500 milioni di euro per smaltire le liste di attesa, ma molte regioni sono riuscite a spenderne solo una parte
A oltre tre anni di distanza dal blocco del sistema sanitario causato dalla pandemia, gli ospedali italiani non sono ancora riusciti a recuperare visite mediche, esami di screening oncologici e ricoveri saltati per via dell’emergenza coronavirus. Le regioni (che in Italia gestiscono la sanità) e il ministero della Salute avevano concentrato gli sforzi economici e organizzativi sul 2022: l’obiettivo era tornare a un numero di visite e ricoveri pari al 2019, l’anno prima della pandemia. Per raggiungere questo risultato erano stati stanziati 500 milioni di euro in più rispetto alla quota storica di trasferimenti statali, ma questi soldi sono stati spesi solo in parte: il recupero delle visite e degli esami continua a essere lentissimo, un problema grave che si ripercuote sulle liste e sui tempi di attesa, a loro volta molto lunghi.
Nel 2020 e in parte anche nel 2021 la pandemia ha messo sotto pressione i servizi sanitari: medici e infermieri sono stati dirottati all’assistenza di decine di migliaia di persone ricoverate a causa del Covid. Sono stati garantiti soltanto i ricoveri urgenti e le operazioni non rinviabili. Tutto il resto è passato in secondo piano: pazienti affetti da patologie croniche o acute non gravi hanno dovuto aspettare che la situazione sanitaria migliorasse prima di essere visitati. Secondo i dati dell’AGENAS, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, nel 2020 e nel 2021 sono state fatte 12,8 milioni di prime visite in meno rispetto al 2019. Le visite di controllo saltate sono state 17,1 milioni. Sono state fatte 1,3 milioni di ecografie, 3,1 milioni di elettrocardiogrammi e oltre 500mila mammografie in meno.
L’Osservatorio nazionale screening, un comitato di esperti che aiuta il ministero per controllare e definire le politiche di prevenzione dei tumori, ha stimato che soltanto nel 2020 sono stati mandati 4 milioni di inviti in meno e sono stati fatti 2,5 milioni di esami di screening in meno rispetto al 2019. L’impatto di questo ritardo è significativo perché gli screening sono molto importanti per individuare tumori nelle fasi iniziali, quando hanno più possibilità di essere curati. L’Osservatorio nazionale screening ha stimato che soltanto nel 2020 c’è stato un ritardo diagnostico per 3.300 tumori al seno, 2.700 tumori dell’utero, 1.300 tumori al colon, 7.400 adenomi.
In parte gli esami e le visite sono saltate a causa dell’alta mortalità dovuta al Covid: moltissime persone morte nel 2020, soprattutto gli anziani, erano in cura anche per altre malattie. La pandemia ha fatto annullare anche molte visite considerate superflue, che non rientrano nella cosiddetta “appropriatezza prescrittiva”: in molti casi i medici, infatti, prescrivono esami non necessari. Vale soprattutto per le ecografie e le radiografie. È anche vero che è complicato quantificare quante visite in meno si debbano fare, quindi nonostante tutto le regioni e i governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno stabilito di tornare al più presto ai livelli del 2019. La legge di Bilancio del 2021 aveva messo a disposizione delle regioni 500 milioni di euro per smaltire le liste di attesa allungate negli anni precedenti.
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Nel recente Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, la Corte dei conti ha esaminato i risultati ottenuti dalle regioni per capire se l’obiettivo di recuperare le visite e gli esami saltati tra il 2020 e il 2021 è stato raggiunto. Già l’analisi dei soldi spesi rispetto al totale stanziato dal governo è un segnale dei problemi organizzativi di molte regioni. Allo scorso marzo le regioni avevano speso il 69 per cento dei 500 milioni di euro a disposizione per il 2022. In totale sono rimasti nelle casse dei sistemi sanitari 152 milioni di euro non spesi.
I problemi sono soprattutto nelle regioni del Sud, dove è stato speso soltanto il 40 per cento dei fondi disponibili per ridurre le liste di attesa. Le uniche eccezioni positive sono la Puglia e la Basilicata, rispettivamente al 67 e all’81 per cento. Al Nord è stato raggiunto il 92 per cento, mentre al Centro il 57 per cento. In Piemonte, Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia sono stati spesi più soldi rispetto alla quota di finanziamento statale.
Le mancate spese influenzano il recupero di visite e ricoveri, molto più lento rispetto al previsto. Le regioni avevano stimato di dover recuperare poco meno di 630mila ricoveri programmati e rimandati negli anni dell’emergenza Covid. Secondo le previsioni, nel 2022 si puntava a farne 512mila, l’81 per cento del totale. In questo modo le liste di attesa si sarebbero accorciate in modo significativo. Rispetto all’obiettivo dichiarato, tuttavia, nel 2022 è stato raggiunto il 66 per cento del totale. Le regioni del Centro hanno recuperato il 78 per cento di tutti i ricoveri programmati, al Nord il 72 per cento, mentre nelle regioni del Sud il 40 per cento.
La percentuale di recupero delle prestazioni ambulatoriali, cioè delle visite, è più bassa: nel 2022 è stato raggiunto il 57 per cento dell’obiettivo dichiarato all’inizio dell’anno. Anche in questo caso gli ospedali delle regioni del Sud sono in difficoltà, hanno recuperato soltanto il 15 per cento del totale. Al Nord si è arrivati all’81 per cento, nel Centro al 79. La Campania è la regione con il risultato peggiore (7 per cento delle visite recuperate), ma le percentuali sono basse anche in Sardegna, Calabria e Friuli Venezia Giulia.
All’inizio del 2022 le regioni avevano stimato di dover inviare 5,7 milioni di inviti per sottoporsi a test di screening e fare successivamente 3,1 milioni di esami. Alla fine dell’anno è stato raggiunto un buon risultato per quanto riguarda gli inviti: è stato mandato l’82 per cento del totale, mentre le prestazioni si sono fermate al 67 per cento. Cinque regioni sono riuscite a rispettare gli obiettivi sia per gli inviti che per gli esami: Piemonte, provincia autonoma di Trento, Toscana, Basilicata e l’Umbria che aveva già recuperato tutto l’arretrato nel 2021.
Le evidenti difficoltà delle regioni, soprattutto dei sistemi sanitari meridionali, si spiegano con la scarsa organizzazione degli ospedali, che nonostante i soldi aggiunti dal governo non riescono ad assumere e di conseguenza a prolungare gli orari delle visite e degli esami. Il ruolo delle strutture sanitarie private, inoltre, è stato meno incisivo rispetto alle previsioni perché i privati, a differenza degli ospedali pubblici, possono concentrarsi sulle prestazioni più remunerative. Come emerge dai rapporti del Censis sulla sanità pubblica e privata, il ruolo del privato non è uguale in tutta Italia: nelle regioni del Nord ha quasi sempre una funzione di integrazione del servizio pubblico, cioè garantisce soprattutto esami e visite meno urgenti, mentre al Centro e al Sud colma le lacune della sanità territoriale: gestisce anche i ricoveri di cui gli ospedali non possono farsi carico perché disorganizzati e con poco personale.