Un vento, in fotografie e parole
Lo scrittore inglese Nick Hunt e la fotografa Rachel Cobb raccontano il mistral nel nuovo The Passenger dedicato al mar Mediterraneo
The Passenger, il libro-rivista della casa editrice Iperborea dedicato ai luoghi del mondo, non parla solo di paesi e città: dopo il numero dedicato allo Spazio nel 2021, e quello sull’Oceano l’anno scorso, ne è arrivato uno sul Mediterraneo. Racconta il mare e le terre che lo circondano, e la celebre dieta che ne prende il nome, uno dei tanti naufragi che vi sono avvenuti negli ultimi anni e rappresentano una delle più grandi storie di attualità di questi tempi, e il rapporto che abbiamo con alcuni dei suoi abitanti animali: i tonni e le cicale.
Contiene anche un articolo dedicato ai venti del Mediterraneo: lo ha scritto Nick Hunt, autore di libri di viaggio tra cui Dove soffiano i venti selvaggi (2018). Ne pubblichiamo un estratto che parla in particolare del mistral, che soffia nel sud della Francia verso il Mediterraneo.
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Al di sopra del Mediterraneo esiste un altro mare: un turbolento e palpitante oceano gassoso anziché liquido. Così come il mare visibile sottostante viene modellato dall’interazione dell’acqua con la terraferma che la comprime da ogni lato, anche questo mare invisibile è il prodotto di fattori che si scontrano caoticamente: la bassa pressione sopra l’Atlantico, l’alta pressione sul Sahara, i fiumi d’aria che scorrono attraverso i valichi di montagna dall’Alto Atlante alle Alpi, fronti freddi e caldi che ciclicamente avanzano e si ritirano e il contrasto atmosferico che si crea tra condizioni climatiche oceaniche e continentali. La carta dei venti, come quella delle correnti, è un panorama psichedelico di frecce che ruotano, deviano e scorrono da nord a sud e da sud a nord, in un incredibile caos fluidodinamico. […]
Il mistral, il cui nome deriva dal latino magister, maestro, si tuffa nel cuore del Mediterraneo come un proiettile. Nasce nella zona di Valence, all’altezza di quello che è considerato l’inizio del Midi, il Meridione della Francia, e soffia verso sud, lungo il corridoio naturale della Valle del Rodano che, restringendosi progressivamente, ne accelera il flusso. Nel suo viaggio sfreccia davanti alle mura medievali di Avignone e ai caffè di Arles, attraverso le paludi della Camargue fino al Golfo del Leone. Una volta in mare, dove in condizioni estreme può raggiungere i 180 chilometri orari sollevando onde di sette metri, semina scompiglio tra le imbarcazioni. I marinai più esperti sanno bene quanto sia fondamentale prestare attenzione alla formazione di nubi lenticolari scure verso il tramonto, segno premonitore di un imminente colpo di vento. Anch’esso estremamente secco e freddo, il mistral viene talvolta soprannominato mange-fange, «mangia fango», per i suoi effetti essiccanti. Un vecchio adagio dice sia così forte da strappare la coda a un asino.
Molti conoscono il mistral grazie al ciclismo e alla tappa del Tour de France che porta in cima al Mont Ventoux, il «monte ventoso», il più alto della Provenza. La velocità del vento in vetta può raggiungere l’intensità di un uragano, disarcionando gli atleti e obbligando l’organizzazione a modificare il percorso di gara. In estate gli appassionati di ciclismo, per paura di scontrarsi con il mistral lungo la strada, seguono le rotte migratorie degli uccelli che si spostano verso le zone paludose delle Bocche del Rodano e oltre, attenti a programmare le loro escursioni muovendosi verso sud e mai verso nord.
Come nel caso della bora, indizi nel paesaggio annunciano che ci si trova nel territorio del mistral: il lato nord delle abitazioni, ad esempio, è privo di finestre. Le tradizionali case rurali, infatti, per proteggere gli occupanti dal mistral, venivano costruite con finestre, cortili e attività quotidiane al riparo, nella zona sottovento dell’edificio. Si tratta di una soluzione che si perde nella notte dei tempi: in un sito archeologico nei pressi di Nizza, gli scavi hanno riportato alla luce bivacchi circondati da ossa di bisonti, elefanti e rinoceronti macellati, risalenti a quattrocentomila anni fa e realizzati, esattamente come le fattorie, con alte pareti rivolte a nord. Presenza antichissima, il mistral ha soffiato su queste terre per migliaia di anni.
Un ulteriore indizio è evidente nei campanili delle chiese dove, a sostituire la classica torre campanaria, ci sono strutture metalliche che permettono al vento del nord di passare senza ostacoli. Ancora, tra le tradizionali statuine dei presepi locali, che rappresentano personaggi caratteristici della vita provenzale, se ne trova una che raffigura un vecchio che si calca il cappello in testa per evitare che il mistral glielo porti via. L’elemento paesaggistico più sorprendente è tuttavia costituito dai filari di cipressi che, piantati lungo l’asse est-ovest, perpendicolare alla direzione del vento, fungono da barriera vivente a protezione dei vigneti e dei frutteti retrostanti.
Il più grande dono del mistral alla Provenza e alla storia dell’arte occidentale è senza dubbio la tersa luce dorata per cui è famosa la regione. Ripulendo l’aria da umidità e inquinamento, il vento crea quella luce limpida e brillante che, insieme alla promessa di una dolce vita, temperature miti e vino a buon mercato, ha spinto generazioni di artisti a vivere e lavorare nel Sud della Francia. Pablo Picasso, Marc Chagall, Paul Cézanne, Paul Gauguin, Claude Monet e Henri Matisse hanno tutti posato qui i loro cavalletti anche se, tra tutti, nessun pittore fu associato al vento quanto Vincent van Gogh.
Stabilitosi ad Arles nel 1888, Van Gogh, affascinato dalla luce prodotta dal mistral, dipinse in Provenza alcuni tra i suoi capolavori. L’inquietante permanenza del vento è onnipresente nelle sue tele, nelle quali nulla è mai immobile: ogni singola pennellata si contorce agitandosi freneticamente. Ma mentre ispirava la sua arte, il mistral diventava anche la colonna sonora della sua crescente follia depressiva; l’artista lamenta spesso nelle sue lettere di essere tormentato da quel vento che poteva infuriare per settimane intere, senza concedergli un attimo di respiro. Nei due brevi anni di esposizione al mistral, Van Gogh dipinse oltre duecento quadri, ma l’intensa esperienza si rivelò eccessiva: dopo essersi tagliato un orecchio e aver trascorso un periodo in manicomio, nel 1890 si tolse tragicamente la vita.
Forse non dovrebbe sorprendere che il mistral abbia anche un altro nome: è comunemente conosciuto come «il vento della follia» (nell’antica lingua occitana viene chiamato vent du fada, «il vento del matto»). La credenza popolare vuole che soffi per tre, sei o nove giorni, con un urlo incessante che si dice conduca le persone alla pazzia. Ogni anno questa presenza tormentosa è considerata responsabile di depressioni, insonnie, condotte irrazionali, ansie e perfino di omicidi e suicidi. Storicamente, il vento della follia veniva annoverato tra le circostanze attenuanti in caso di crimine passionale: se si era in grado di provare che era stato il mistral a spingere al delitto, un giudice provenzale bendisposto avrebbe potuto comminare una pena più lieve.
© Nick Hunt, 2023
Traduzione di Tommaso Stella