Sull’immigrazione la sinistra danese è diventata un modello per la destra
Le sue politiche restrittive e molto controverse sono elogiate e apprezzate dai conservatori di tutta Europa
Nel 1952 la Danimarca è stata il primo paese al mondo a ratificare la Convenzione di Ginevra sui diritti dei rifugiati, un trattato internazionale delle Nazioni Unite fondato sui principi della protezione e del non respingimento. Oggi la Danimarca è presa però come un esempio dai partiti conservatori di tutt’Europa per le sue politiche molto restrittive in tema di migrazione: una politica attuata prima dalla destra e portata avanti con continuità anche dai Socialdemocratici al governo.
I Socialdemocratici, storico partito del centrosinistra danese, sono tornati al governo dopo le elezioni del 2019. E per la prima volta dopo anni la campagna elettorale di quell’anno non si era concentrata sul tema dell’immigrazione perché la maggior parte dei partiti era di fatto d’accordo con le misure molto severe e discriminatorie contro le persone migranti imposte negli ultimi anni dal centrodestra d’intesa con il centrosinistra che, una volta al governo, le aveva portate avanti con continuità.
Nel 2022, a causa di una crisi interna alla coalizione di governo, c’erano state elezioni anticipate, vinte con una sottilissima maggioranza dai Socialdemocratici che, per la prima volta dalla fine degli anni Settanta, avevano formato un governo con il partito dei Liberali, di centrodestra e loro storici rivali, e con i Moderati, partito fondato pochi mesi prima del voto dall’ex primo ministro di centrodestra Lars Løkke Rasmussen.
Il discorso dei Socialdemocratici sulla gestione dell’immigrazione e dell’integrazione dei danesi di seconda generazione nella società aveva cominciato a spostarsi a destra nel 2015, a fronte di un significativo flusso di migranti arrivati in Danimarca dal Nord Africa e dal Medio Oriente. Per giustificare questo spostamento, il centrosinistra non aveva utilizzato argomenti identitari o religiosi, ma tesi che storicamente appartengono alla sinistra come la necessità di difendere i lavoratori e le fasce più vulnerabili della popolazione (intesa come popolazione danese).
In uno dei suoi libri Frederiksen aveva giustificato così la sua presa di posizione: «Per me è sempre più chiaro come il prezzo di una globalizzazione senza regole, dell’immigrazione di massa e della libertà di movimento dei lavoratori venga pagato dalle classi più povere».
Gli argomenti identitari però sono alla base di alcune delle leggi più severe e discriminatorie contro i migranti che ci siano in Europa e che i Socialdemocratici hanno in alcuni casi votato insieme alla destra e in altri proposto direttamente. Hanno contribuito a far approvare la legge che permette di requisire i gioielli a chi fa domanda d’asilo in Danimarca, e quella che vieta di indossare burqa e niqab. Si sono astenuti, invece che votare contro, sulla legge che obbliga chi fa richiesta di cittadinanza a stringere la mano di un funzionario pubblico (una legge pensata per mettere in difficoltà i musulmani più tradizionalisti) e su un piano per mandare tutti i migranti regolari che non è possibile espellere su un’isola a circa tre chilometri e mezzo dalla costa, grande meno di un chilometro quadrato e un tempo utilizzata come laboratorio per malattie infettive animali.
Secondo il nuovo paradigma sull’immigrazione promosso dai partiti di estrema destra e condiviso anche dal centrosinistra danese, le persone migranti, ma in particolare i rifugiati, non avrebbero il desiderio di integrarsi, ma quello di tornare il prima possibile nel loro paese di origine.
Nel 2022 lo status di rifugiato è stato concesso a 1.400 persone, contro le 6.200 del 2001. Il governo sostiene che il tasso di rimpatrio volontario, e incentivato economicamente, sia pari oggi al 94 per cento. La cifra non è però verificabile, e dovrebbe essere presa con estrema cautela, secondo Thomas Gammeltoft-Hansen, docente all’Università di Copenaghen e esperto in diritto dell’immigrazione che ha parlato con Le Monde. Non ci sono prove che le persone che lasciano la Danimarca tornino nel loro paese di origine, anzi: una quota sempre maggiore si ripresenta in altri paesi europei.
Nel tempo la Danimarca ha approvato diverse leggi per scoraggiare l’arrivo di persone migranti: ha introdotto, tra le altre cose, un nuovo tipo di test per ottenere la cittadinanza, molto più difficile da superare del precedente, ha reso più severo il criterio per il ricongiungimento familiare e molto più semplice la revoca del permesso di soggiorno, cosa che ha coinvolto ad esempio diverse centinaia di cittadini e cittadine siriane dal 2019.
Ha reso più difficili anche le condizioni per l’accesso alla cittadinanza, subordinata a un lunghissimo elenco di requisiti. Per ottenerla, occorrono in media non meno di diciannove anni dall’arrivo nel territorio. In nome della lotta alla segregazione, nel 2018 il paese ha infine adottato un piano “anti ghetto” per regolamentare la vita delle persone che vivono in 25 zone del paese abitate soprattutto da musulmani, con l’obiettivo di imporre una loro “assimilazione” più che un’integrazione nella società.
Il piano prevede di ridurre il numero di unità abitative a basso reddito nei quartieri dove gli immigrati di prima e seconda generazione (pari al 15,4 per cento dei residenti totali) costituiscono più della metà della popolazione. Per legge, i bambini in questi quartieri sono tenuti a frequentare l’asilo nido dall’età di un anno e le pene per alcuni reati sono due volte più severe che altrove. Arrivati al governo, i Socialdemocratici hanno semplicemente sostituito la parola “ghetto” con l’espressione “società parallela”, tenendo invariato il progetto.
Sebbene questa strategia abbia effettivamente fatto diminuire gli arrivi, non tutte le iniziative hanno avuto successo. A gennaio il governo ha sospeso il suo progetto di deportare in Ruanda centinaia di richiedenti asilo. Inoltre finora nessun detenuto è stato inviato in Kosovo, dove la Danimarca ha proposto di affittare 300 posti nelle carceri da destinare agli stranieri condannati nel loro paese.
Se la Danimarca ha potuto istituire questo sistema così severo è perché nel 1992 ha negoziato delle specifiche deroghe ai Trattati europei in materia di immigrazione: «Questo è anche ciò che rende difficile duplicare il modello danese, perché si basa sulla strategia dell’ognuno per sé», ha spiegato Thomas Gammeltoft-Hansen. Eppure il modello danese è preso ad esempio da diversi governi o partiti conservatori d’Europa.
Nelle ultime settimane, e mentre in Europa si sta negoziando un nuovo Patto di asilo e migrazione, diverse delegazioni di politici hanno fatto visita al governo danese o ne hanno elogiato le politiche in tema di migrazione. Fanno soprattutto parte della destra conservatrice, ma non solo. All’inizio di maggio è toccato ad esempio al portavoce del governo francese Olivier Véran incontrare il ministro danese per l’Immigrazione, Kaare Dybvad, socialdemocratico, e poi a Eric Ciotti, uno degli esponenti più di destra dei Repubblicani. Accompagnato da diversi deputati del suo partito, Ciotti ha visitato un centro di detenzione amministrativa danese e un quartiere coinvolto nella legge “anti ghetto” spiegando che in Francia si dovrebbe fare come in Danimarca.
Visite d’un centre d’accueil des réfugiés ainsi que d’un centre de détention. Grâce à ces structures, les danois contrôlent l’immigration.
Les personnes qui entrent sur le territoire danois ne sont pas laissées dans la nature comme c’est le cas en France. pic.twitter.com/bDht9wZSba
— Eric Ciotti (@ECiotti) May 24, 2023
Un mese prima, il 25 aprile, la prima ministra danese Mette Frederiksen aveva ricevuto il suo omologo svedese, il conservatore Ulf Kristersson, a capo di una coalizione che dipende dall’appoggio dei Democratici Svedesi, una formazione di estrema destra, diretta discendente dei neonazisti svedesi che ha una grossa influenza sull’azione dell’esecutivo. In Svezia il governo dice esplicitamente che la Danimarca è diventata per loro un modello in materia di migrazioni.
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Anche la destra austriaca ammira la strategia danese. Il 26 maggio Gerhard Karner, ministro dell’Interno conservatore, ha incontrato a Vienna Kaare Dybvad e ha detto: «La Danimarca è molto brava a rimandare le persone nel loro paese di origine». Al suo fianco, il ministro danese per l’Immigrazione ha a sua volta parlato dell’Austria come del suo più antico partner «in questa battaglia per cambiare il sistema europeo di asilo, che è disfunzionale». E spiegando che gli attuali flussi migratori «non sono decisi da funzionari democraticamente eletti», ha aggiunto: «Tutti i partiti di centrodestra o di centrosinistra come il nostro dovrebbero occuparsi del tema dell’immigrazione per essere sicuri di mantenerne il controllo».