Su qualche canale in tv c’è ancora chi vende opere d’arte
Dopo la fine di Telemarket sono rimaste una decina di emittenti che trasmettono ore e ore di dirette dividendosi un mercato piccolo e particolare
di Valerio Clari
In Italia si vendono oggetti d’arte in televisione fin dagli anni Ottanta, quando l’emittente Elefante Tv si inventò una formula e costruì un mercato. In quarant’anni le televendite hanno occupato migliaia di ore di dirette televisive e nel frattempo sono cambiate, si sono ridimensionate, sono passate attraverso alcuni scandali e alcuni fallimenti, che hanno portato a qualche regola in più rispetto alle origini.
Oggi esistono una decina di canali di televendite di arte sul digitale terrestre e sul satellite: per vederli bisogna spingersi verso le numerazioni alte, difficilmente ci si finisce per caso, e non esistono dati Auditel che ne rilevino gli ascolti. Ognuno corrisponde a una diversa azienda che commercia in quadri, sculture, antiquariato e oggetti d’arte in generale, con fatturati e dimensioni diverse. Molti sono eredi della stagione d’oro di Telemarket, l’azienda di Giorgio Corbelli per un ventennio fu quasi monopolista nelle televendite d’arte, ebbe grandi successi economici e finì, per le sue politiche commerciali piuttosto spregiudicate, al centro di un’inchiesta per associazione a delinquere, ricettazione e truffa. Telemarket chiuse definitivamente nel 2013, ormai troppo grande per un mercato che si era ristretto. Oggi molte aziende sono poco più che a gestione familiare.
A prima vista può sembrare che dagli anni Ottanta a oggi molti aspetti di questo modo siano rimasti uguali. Le trasmissioni sono tutte simili: uno studio con arredi minimi, un tavolo o una parete su cui mostrare quadri e oggetti, un presentatore dalle rodate arti di venditore capace di parlare per decine di minuti della stessa opera, un numero in sovrimpressione e un centralino collegato alla diretta per raccogliere domande e prenotazioni. In realtà intorno a questa scenografia immutabile, e a metodi di vendita rimasti analoghi, è cambiato molto. I canali di televendite si sono dovuti adattare all’era digitale, a un pubblico più piccolo e più informato, a margini di guadagno più ridotti. Si sono creati delle nicchie in cui sopravvivono, fanno profitti, in rari casi crescono, nonostante il fisiologico calo del pubblico della televisione tradizionale.
L’idea di vendere opere d’arte mostrandole e raccontandole in televisione nacque come evoluzione di altri generi di televendite: prima le creme di Wanna Marchi, i tappeti, la gioielleria e da lì l’antiquariato e appunto l’arte, anche contemporanea. Gabriele Boni, amministratore delegato di ArteInvestimenti Tv e figlio di Franco Boni, uno dei personaggi più famosi di Telemarket (si guadagnò anche un’imitazione da Corrado Guzzanti), spiega: «Erano anni in cui il presentatore contava più della merce venduta. La televisione era depositaria della verità e su ciò che veniva affermato in onda il pubblico non poteva fare ricerche e verifiche in tempi stretti». Si vendeva molto, ad alto prezzo, si faceva spesso passare per capolavoro qualsiasi cosa. Nella maggior parte dei casi si restava nei confini del legale, al massimo esaltando opere che a un occhio attento sarebbero apparse trascurabili. In alcuni casi invece si superarono i limiti della truffa.
«Quelle televisioni degli esordi avevano creato un mercato e un modo di vendere che in un certo senso era stato costruito sul momento, day by day: dava grossi risultati economici e non c’erano grandi regole predefinite. Dal lato del pubblico l’ignoranza portava a pagare le cose delle cifre stupide» dice Ivano Costantini, che ora lavora a Telearte Tv e ha una lunga storia familiare nel mondo dell’antiquariato romano e delle televendite.
Tutti gli operatori del settore parlano di quegli anni come di una perduta età dell’oro: un presentatore di alto livello poteva guadagnare il corrispettivo di 50-60 mila euro al mese, il fatturato della televisione monopolista del settore superava l’equivalente di 150 milioni di euro l’anno, e una trasmissione in prima serata che raccoglieva solo 70-80 mila euro di merce prenotata era considerata un fallimento, e poteva causare l’allontanamento del presentatore. Un risultato simile oggi sarebbe trionfale.
Per chi compra, invece, il discorso è opposto: erano anni in cui le regole che tutelavano i consumatori erano poche. Il pubblico numeroso si affidava totalmente ai conduttori, per approcciarsi a un mondo che non conosceva: nella maggior parte dei casi pagava le opere molto più di quanto valessero. Se comprava per investimento, erano quasi sempre investimenti perdenti.
Oggi anche questo settore commerciale deve rispettare le leggi pensate per le vendite a distanza. Prima di tutto non è possibile completare la vendita durante una diretta, prendendo una telefonata: le case venditrici prendono solo la “prenotazione” dell’oggetto, poi si impegnano a portarlo a casa del cliente, che può essere anche a centinaia di chilometri. Il compratore in quella sede lo valuta e decide se procedere all’acquisto, poi ha comunque due settimane per il diritto di recesso, per cambiare idea. Ma ci sono anche altri strumenti a vantaggio di chi compra: se un tempo un pittore mediocre poteva essere definito in trasmissione come in grande ascesa, oggi è possibile verificare con una certa facilità, su internet, le reali quotazioni.
Il pubblico in un certo senso casuale che era possibile intercettare quando i canali delle televendite occupavano uno dei venti tasti del telecomando ora non esiste più. Chi frequenta queste trasmissioni è spesso un appassionato, con una competenza medio-alta almeno del settore in cui fa acquisti o investimenti. Dice Costantini: «Ormai con il collezionista io devo trattare in modo paritario, non mi prendo più nessun vantaggio». Il valore effettivo della merce conta molto più che un tempo, i prezzi devono essere concorrenziali con quelli delle gallerie o delle vendite online, in alcuni casi la percentuale che finisce ai canali d’arte, che si comportano come semplici intermediari, è definita chiaramente in anticipo.
Stefano Orler con i suoi sette fratelli ha fondato Arte Network Orler Tv, dividendosi negli anni 90 da un’altra azienda familiare, quella dei cugini, titolari di Orler Tv (probabilmente la realtà maggiore per dimensioni e volume d’affari). Dice: «Fra le caratteristiche dei presentatori moderni oggi c’è la preparazione: studiamo, viaggiamo, siamo presenti a tutte le fiere internazionali. La nostra televisione è l’unica ad aver prodotto almeno un centinaio di veri e propri documentari di arte: dobbiamo essere all’altezza di una clientela sempre più competente».
Resta la capacità affabulatoria: rimane un’arma decisiva nelle mani dei televenditori, che non solo devono essere in grado di tenere alta l’attenzione e l’interesse su ogni singolo lotto da vendere, ma grazie a dirette di ore, con cadenza in certi casi settimanale in altri giornaliera, diventano quasi figure familiari. L’efficacia delle dirette, rispetto alle repliche, è tale da aver reso queste ultime dei meri riempitivi del palinsesto. In diretta un buon presentatore sa cogliere attraverso i rapporti con il centralino l’umore del pubblico, sa valutare l’interesse, sa quando insistere su un oggetto e quando passare oltre.
Il clima è decisamente poco ingessato, soprattutto nelle trasmissioni pomeridiane: gli studi di Telearte Tv sono in una sala aperta all’interno della sede dell’azienda, che funziona anche da magazzino e da ufficio. Il passaggio di persone, quadri, vestiti, oggetti, trasportatori, è continuo. Se il presentatore deve dire qualcosa a qualcuno che passa di lì, lo fa senza troppi problemi, diretta o no. Il cameraman è spesso coinvolto in mini-dialoghi, i silenzi possono essere prolungati, poi si riparte a descrivere gli oggetti: quattro ore per una singola trasmissione possono essere lunghe, l’idea è di diventare una presenza ricorrente nelle case delle persone, fare compagnia.
L’età media di chi guarda questi canali è piuttosto alta, solitamente sopra ai 45 anni; la Lombardia e Roma sono le zone dove si vende di più, ma anche molte regioni del Sud sono attive. Tutti gli operatori del settore descrivono la clientela come socialmente molto eterogenea: ci sono appassionati con grandi disponibilità economiche per cui gli acquisti televisivi sono una sorta di hobby nascosto (è molto citato il caso dell’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ma anche di molti dirigenti sportivi e atleti), ma anche persone con redditi più normali, attirate dalle possibilità di pagamenti dilazionati in quattro anni, o di permutare con altre opere d’arte già possedute. Molti vivono lontano dalle grandi città o difficilmente andrebbero in una galleria d’arte per acquistare opere.
Stefano Orler dice: «Per quel che riguarda l’arte moderna e contemporanea, quasi tutti sono investitori: il motore di tutto è quasi sempre un discorso speculativo. L’arte non ha mai tradito chi ha saputo affidarsi a gallerie serie, spesso i clienti rivendono le opere ancora prima di aver finito di pagarle». Altri operatori sottolineano che l’investimento può essere sì molto remunerativo, ma ha dei rischi. Ha senso soprattutto in un’ottica di lungo periodo. Anche senza considerare possibili “fregature” o svalutazioni, investire in arte vuol dire poi avere un oggetto non immediatamente spendibile: rivenderlo non è sempre un processo immediato o scontato.
Questa componente speculativa è un’altra delle ragioni della persistenza di questo metodo di vendita. Il mercato dell’arte si divide in “primario”, quando artista e gallerista vendono insieme l’opera, dividendo guadagni e sottraendo i costi di produzione, e l’ampio mercato “secondario”, dove i proventi non finiscono più all’artista, ma influiscono solo sul suo valore commerciale, con dinamiche a volte dannose per la carriera dell’artista stesso. È il fenomeno conosciuto come art flipping, per cui alcuni giovani artisti finiscono al centro di bolle speculative, che ingigantiscono in breve tempo le quotazioni delle loro opere rendendole inaccessibili per veri collezionisti, curatori di mostre e musei: la bolla speculativa spesso scoppia o comunque condiziona il normale sviluppo del lavoro e della carriera dell’artista. Per questo spesso le gallerie nelle vendite privilegiano i collezionisti di “reputazione”, che abbiano provato in passato di voler acquistare per tenere l’opera. Soprattutto per l’arte contemporanea, le televendite accontentano possibili clienti rimasti fuori dai canali di vendita più tradizionali.
Definire le dimensioni del pubblico, in assenza di dati affidabili, è complesso: i canali hanno un’idea chiara del bacino di clienti che hanno comprato in passato e che spesso tornano a comprare, che si aggira intorno ad alcune centinaia per ognuna. Stimano invece in modo empirico il pubblico davanti alla televisione in base al numero di chiamate che ricevono in diretta: quasi tutti parlano di migliaia di persone, che possono arrivare a 10-20 mila per le fasce d’ascolto più alte. Sono pubblici piccoli per una televisione, ma molto grandi in rapporto a quelli che si possono raggiungere con altri metodi di vendita.
Per mettere in piedi un canale di televendite prima di tutto bisogna avere una televisione su cui trasmettere. La maggior parte delle aziende sul mercato non è proprietaria della licenza del canale, ma paga l’affitto a strutture preesistenti. I costi in questi anni si sono notevolmente abbassati: nel 2005 mettere in onda una singola trasmissione poteva costare anche 15.000 euro, oggi la spesa per l’affitto, a livello orario, è di 300-500 euro.
Chi ha una trasmissione continua, come Telearte Tv (dodici ore di diretta, dodici di repliche al giorno), arriva a pagare 90.000 euro al mese. Fa eccezione ArteInvestimenti Tv, con sede a Sesto San Giovanni, ai confini di Milano: l’azienda è proprietaria di una concessione televisiva, che costa circa 800.000 euro l’anno. A questa spesa si aggiungono i costi delle trasmissioni e degli studi: Gabriele Boni racconta che sono quelli in cui si registravano prima il Processo di Biscardi, longeva trasmissione sportiva, poi alcune edizioni milanesi del Tg di La7.
La sua televisione occupa con i propri programmi in diretta solo 3 ore al giorno, quelle della prima serata, più un appuntamento la domenica mattina: ci aggiunge qualche replica, ma soprattutto vende gli spazi ad altri televenditori, di gioielli e orologi. A volte affitta gli studi per registrazioni di altre televendite, che poi vanno in onda su altri canali. Il vantaggio di possedere il canale, oltre che economico, è quello di poter scegliere gli altri inserzionisti, evitando accostamenti imbarazzanti: in anni passati le televendite di arte hanno spesso condiviso spazi con le pubblicità di telefoni erotici.
Le trasmissioni sono gestite da un comparto tecnico piuttosto ridotto, di solito da quattro a sei persone fra registi, tecnici e cameraman, che coprono due turni. Sono quasi sempre trasmissioni tematiche. In Arte Network Orler, che ha sede a Venezia e gallerie in varie città italiane, gli otto fratelli si occupano ognuno di una diversa categoria: arte moderna, arte contemporanea, icone russe, vetri di Murano, antiquariato e tappeti. Telearte Tv va dagli abiti vintage ai dipinti antichi, passando per gioielli, argenti e antichità.
Prima di ogni trasmissione quasi sempre si riempie un tavolo o un carrello con la merce che si vuole vendere: il presentatore la annuncia, la racconta, la elogia, minimizza i prezzi e aspetta riscontri dal centralino, che è appena fuori dall’inquadratura della telecamera e può dialogare con la diretta attraverso una sorta di gobbo elettronico. I centralinisti, che nelle realtà più piccole sono gli stessi titolari dell’azienda, sono un’altra figura fondamentale: devono strappare una prenotazione al cliente senza essere troppo aggressivi.
Se la prenotazione avviene, a diretta finita scatta la seconda fase, quella dell’effettiva vendita. La prima cosa da fare è verificare le referenze del compratore: esiste un servizio a pagamento, Cerved, per verificare quanto un cliente sia un pagatore affidabile, e inoltre le varie aziende del settore collaborano segnalandosi profili sospetti di possibili truffatori. Non sono scrupoli eccessivi: capita con una certa frequenza che la merce venga venduta a clienti che pagano con assegni scoperti, di banche inesistenti o che non vengano rispettate le scadenze dei pagamenti. Alcuni sono truffatori esperti, su cui è difficile o impossibile rivalersi per vie legali: è il motivo per cui alcune case evitano di vendere singole opere dal valore troppo alto. Un mancato pagamento di oltre 200.000 euro può mandare in grave crisi i conti dell’azienda. I prezzi delle opere variano a seconda dei casi, delle aziende e dei generi, ma possono andare da un migliaio di euro (anche meno in alcuni casi) fino a 200 mila euro per i quadri più costosi.
Completate le verifiche, l’opera viene prelevata dal magazzino, imballata e inserita fra le partenti: finiscono in quel gruppo dai 5 ai 10 pacchi al giorno, e ogni azienda ha un paio di giorni predefiniti ogni settimana per le spedizioni. Se ne occupano dei dipendenti che lavorano a provvigione, dividendosi le aree del paese e ottimizzando percorsi e viaggi. I presentatori invece non ottengono provvigioni sulle vendite, anche perché è difficile spesso definire chi ha effettivamente venduto un pezzo, che può essere stato presentato più volte da venditori diversi. In caso di consegne speciali, o su espressa richiesta del cliente, i conduttori della televisione accompagnano l’opera fino a casa del cliente: talvolta il potenziale incasso giustifica l’impegno. Se tutto va bene (e la gran parte degli operatori segnalano alti tassi di conversione da prenotazioni a vendita) l’oggetto è effettivamente venduto: soprattutto nel caso dell’arte moderna e contemporanea l’opera dovrebbe essere accompagnata dalla cosiddetta “autentica”, che garantisce che sia originale.
Un’altra parte del lavoro riguarda il reperimento delle opere da mettere in vendita: le televisioni le acquistano in stragrande maggioranza da privati, che possono essere collezionisti, investitori o persone che hanno ereditato quadri e oggetti da parenti. Alcune case operano anche in collaborazione con gallerie d’arte (o hanno esse stesse delle gallerie d’arte fisiche), per cui le televendite diventano un ulteriore strumento di vendita. Esiste però una consistente differenza di tassazione che rende preferibile trattare con privati. Oltre al 4 per cento fisso di SIAE per ogni compravendita, va considerato il 22 per cento di IVA: nel caso l’opera sia stata acquistata da una galleria va calcolato sul prezzo totale, nel caso arrivi da un privato solo sul margine, sull’utile del rivenditore.
Molto sfruttata è anche la formula del conto vendita: quadri e oggetti vengono affidati alle televisioni per essere venduti, il proprietario incassa a transazione avvenuta, lasciando la percentuale all’intermediario, che così non deve anticipare cifre che possono diventare consistenti. Alcune televisioni lavorano anche con artisti viventi che affidano le proprie opere direttamente: è un mercato limitato, anche per il tipo di clientela che preferisce artisti consolidati o cosiddetti “storicizzati”, cioè diventati oggetto di studi.
«È chiaro che la televisione ha una data di scadenza, ma al momento resta ancora il mezzo migliore, perché viene fruito in modo passivo: lo spettatore resta nelle mani del conduttore, mentre online è attivo, si sposta, mantiene meno l’attenzione, salta da un sito all’altro» dice Boni di ArteInvestimenti Tv, consapevole che in un futuro non così remoto l’azienda dovrà reinventarsi ancora. Oggi le case di televendite hanno quasi tutte uno streaming e canali di vendita online, che però rappresentano una parte limitata del fatturato. Alcune hanno affiancato uno o più spazi di vendita fisica, che dopo la pandemia sono particolarmente richiesti e frequentati.
Altre come Telearte Tv sono entrate nel mercato delle aste online, fiorente soprattutto all’estero: esistono varie piattaforme specializzate su cui appoggiarsi e su cui organizzare eventi, spesso tematici. Nel caso specifico la televisione romana ne organizza circa sette l’anno, ognuno con 100-300 lotti da battere: per ogni oggetto o ogni lotto è presente una descrizione online con foto in alta definizione. In un minuto si decide l’assegnazione, che in questo caso è vincolante (i tempi si prolungano in caso di opere contese). Esiste infine un mercato di oggetti d’arte anche sui social (soprattutto Facebook), per lo più condotto da soggetti indipendenti o specializzati: gli intermediari si sovrappongono e le tutele per i clienti sembrano minime, anche inferiori a quelle delle televendite degli anni Ottanta e Novanta.